Durante un viaggio in treno, si accende tra un gruppetto di passeggeri,
un'interessante discussione sull'amore, sul matrimonio, ed infine sul ruolo
sociale, sui diritti e doveri, della donna. Siamo nella Russia di fine
Ottocento. Una vivace signora anima il dibattito, sostenendo che i matrimoni
contratti per mero interesse non sono dei veri matrimoni, che l'amore
dev'essere il sentimento portante di tale istituzione; l'istruzione, il
progresso, hanno fatto sì che non ci fossero più i matrimoni di un tempo, in
cui i coniugi si conoscevano il giorno delle nozze, e a loro non restava che
cercare di amarsi, o di tollerarsi.
Mentre si discorre in questo modo, si avvicina un uomo con delle idee molto
particolari: quelle della signora sono tutte sciocchezze, l’amore di cui si sta
parlando non esiste. Esiste l’amore carnale, e il matrimonio è l’istituzione,
cristiana e borghese, che regola e garantisce lo sfogo della perversità e della
meschinità umana. Quella matrimoniale, è una struttura fallace e dannosa per la
società: l’uomo e la donna sono attratti in modo animalesco gli uni dagli
altri, ma per quanto tempo? Si finisce per ignorarsi, disprezzarsi, e nel
peggiore dei casi, per odiarsi. Finché l’odio non spinge all’estrema azione, il
delitto.
Alla fine del dibattito, restano soltanto Pozdnyšev, quest’uomo misterioso,
e il nostro narratore, al quale sarà raccontata questa storia tormentata, fatta
di insaziabile passione erotica, frustrazione e odio.
Pozdnyšev comincia la sua storia parlando della sua
adolescenza, periodo in cui la sua innocenza viene corrotta. Le pulsioni
sessuali, il pensiero della nudità della donna, sono ricordate come le
perversioni di una natura innocente che decade, corrotta dalla società, dagli
amici, e dai suoi stessi istinti, per lui disgustosi e allo stesso tempo
irresistibili:
«Non conoscevo
ancora le donne, ma, come tutti gli sventurati fanciulli del nostro ambiente,
non ero più un ragazzo innocente, già da un anno ero stato corrotto dai
ragazzi; la donna, non una donna qualunque, ma la donna come qualcosa di dolce,
la donna, ogni donna, la nudità della donna mi tormentava già. I miei
isolamenti erano impuri. Mi tormentava come si tormentano i novantanove
centesimi dei nostri ragazzi. Inorridivo, soffrivo, pregavo e cadevo.»
Una
volta insinuatosi il germe della perversione, questo non può far altro che
crescere, nutrito dagli istinti sempre più forti e prepotenti, e dalle
occasioni che la società impudica e oscena offre continuamente. E così, la vita
del giovane prosegue all’insegna della degradazione e del libertinaggio. Ed era proprio questo comportamento che
garantiva l’approvazione sociale, nei salotti e nelle feste, durante le quali,
questi “deprevati trentenni” venivano
considerati “l’emblema della purezza”.
Dopo un periodo di bagordi e divertimenti, la
società richiede che si prenda moglie. E il nostro giovane, perfettamente
integrato nei costumi sconci e ipocriti vigenti, decide di prender moglie, e a
tal fine, di cercare una ragazza pura e innocente, di buona famiglia e con una
buona educazione.
«Dapprincipio si finge dinanzi alle fanciulle
che quella dissolutezza, che riempie metà della vita delle città e perfino
delle campagne, che quella dissolutezza non esista affatto. Poi ci si abitua tanto
a questa finzione che finalmente si comincia a credere con sincerità, come gli
inglesi, che siamo tutti persone morali e viviamo in un mondo morale.»
Tra moralità e
seduzione, i due giovani s’innamorano. Cos’è l’amore? Sentimento misterioso ed
incomprensibile, sfuggente e penetrante, sembrerebbe impossibile da descrivere,
spiegare, tanto che siamo portati a credere che abbia un’origine semidivina. E
invece, la spiegazione di Pozdnyšev è di natura fisiologica. L’amore deriva da
un eccesso di cibo, e da una sublimazione degli istinti sessuali primordiali,
una sorta di reflusso gastroesofageo- psichico. Se viviamo nel benessere,
ingurgitiamo più cibo di quanto necessitiamo. Le energie in eccesso, si
trasformano in pulsioni sessuali, e queste cercano di trovare sfogo in ogni modo; se le si
trattiene, ecco l’innamoramento. Tutto ciò che di nobile vediamo nell’amore,
non è altro che un maldestro tentativo di nobilitare la nostra propensione alle
“porcherie”. Il rapporto tre uomini e donne si riduce a questo: gli uomini
guardano le donne come oggetti atti a soddisfare le proprie voglie, e le donne
si lasciano guardare, desiderose di essere scelte; le donne sono schiave dei
desideri degli uomini, ma allo stesso tempo dominano gli uomini, poiché possono
eccitare gli istinti maschili, soddisfarli o respingerli a seconda delle
esigenze. I rapporti umani non sono altro che il desiderio più o meno
sublimato, di una grande ammucchiata: il matrimonio è l’istituzione che regola
tale orgia globale.
Con il matrimonio arrivano
i figli, con i figli numerosi litigi. Per Pozdnyšev la peggiore perversione
matrimoniale è l’accoppiamento durante la gravidanza, è il modo autentico e
primordiale con il quale si oltraggia la donna. L’amore ai fini della procreazione
è già di per sé deplorevole, ma questo amore fine a se stesso, è semplice
dimostrazione del fatto che non siamo altro che squallide bestie. Perché il
genere umano dovrebbe sopravvivere? Se il fine del genere umano è il
progressivo miglioramento, fino alla meta finale della perfezione, una volta
raggiunta questa, noi esseri umani dovremmo estinguerci. La sessualità è un
momento di passaggio: permette che una nuova generazione nasca, e che possa
avere successo laddove la precedente ha fallito, ossia nell’annullamento della
passione stessa. Nonostante tale visione della natura umana, il percorso
individuale di Pozdnyšev è tutt’altro che un percorso di ascesi: scende negli
inferi della passione, si sporca con il desiderio sessuale, con la gelosia, con
la brama di possesso della propria moglie, fino a raggiungere l’apice, il
momento tragico dell’omicidio. I litigi vengono narrati con un ritmo violento,
che rimanda ad un amplesso: da un banalità qualsiasi, il tono diventa sempre
più acceso e drammatico:
“Si
sente che da un momento all’altro può cominciare quel tremendo litigio, in cui
si ha voglia di uccidere se stessi o lei. Sai che sta per cominciare, e ne hai
paura come del fuoco, e perciò vorresti trattenerti, ma l’ira invade tutto il
tuo essere. Lei è in una situazione simile, anzi peggiore, dà un’altra
interpretazione ad ogni tua parola, attribuendole un significato falso; ed ogni
sua parola è imbevuta di veleno; dovunque sa che posso soffrire di più, là
appunto mi colpisce. Più si va innanzi, peggio è. Io grido «Taci», o qualcosa
del genere. Lei esce precipitosamente dalla stanza, e corre nella camera dei
bambini. Io cerco di trattenerla, per finire il discorso e dimostrarle tutto,
la prendo per un braccio. Lei finge che le abbia fatto male, e grida…»
Protagonista di questa
storia è anche la musica. Un maestro di violino, Truchačevskij, comincia a
frequentare la casa dei due coniugi, accompagnando la moglie del protagonista
al pianoforte. Pozdnyšev nutre una profonda gelosia, tormenta se stesso con
pensieri vorticosi e contraddittori, sostenendo ora di non essere geloso, ora
di essere consumato da questo sentimento, ora negando una relazione tra i due,
ora avendone la certezza matematica. La musica è come la passione che nutre per
sua moglie, lo trascina fuori da sé, oltre i suoi principi, le sue idee, oltre
i suoi stessi sentimenti. Ed è una sensazione sublime, gioiosa e terribile. In
particolare, è la Sonata a Kreutzer di
Beethoven, suonata nel salotto di casa dai due amanti, che lo trascina in un
vortice di emozioni contrastanti:
“Dicono
che la musica agisca in modo da elevare l’anima: sono sciocchezze, non è vero. Agisce,
agisce terribilmente, parlo di me stesso, ma niente affatto in modo da elevare
l’anima; non agisce in modo né da elevare, né da abbassare l’anima, ma in modo
da eccitare l’anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticarmi di me,
della mia vera situazione, mi trasporta in una situazione nuova, e che non è la
mia; sotto l’influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non
provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso.”
Ascoltando questa
sonata, Pozdnyšev pensa che forse la sua gelosia è infondata, comincia a vedere
un contegno e una severità in sua moglie, che non aveva mai visto prima. Forse ci
può essere un altro finale per questa storia. Ma così non è. La passione,
sentimento bieco ed immorale, che allontana l’uomo dalla sua umanità, che tormenta i suoi pensieri attraverso la
gelosia, porterà il protagonista a conficcare un pugnale nel costato di sua
moglie, con la coscienza dell’orrore della sua azione, ma con una certezza
altrettanto crudele: quella di una forza cieca dentro lui, che lo aveva
trascinato nell’oblio, e che mai gli avrebbe permesso di rivedere la luce.
Questione della natura umana. Una via alternativa è quella dl Maestro: ''Emanciparmi dall'incubo delle passioni cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male essere un'immagine divina di questa realtà.": peccato che è un'idea fondamentalmente utopica. Sono le passioni, gli istinti che mettono in moto l'essere; ma cosa vi resta una volta combuste? La ricerca di una nuova. E' un ciclo infinitamente vizioso.
RispondiEliminaIl tentativo di liberarsi dalle proprie passioni è utopico, in quanto queste sono parte essenziale della nostra natura. D'altro canto, assecondarle non porta al raggiungimento della felicità, ma alla perenne insoddisfazione, e nei casi estremi, all'autodistruzione. L'esistenza diventa una lotta quotidiana per il raggiungimento di un equilibrio, sempre fragile e precario.
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