martedì 7 gennaio 2014

"La sonata a Kreutzer", Lev Tolstoj

Durante un viaggio in treno, si accende tra un gruppetto di passeggeri, un'interessante discussione sull'amore, sul matrimonio, ed infine sul ruolo sociale, sui diritti e doveri, della donna. Siamo nella Russia di fine Ottocento. Una vivace signora anima il dibattito, sostenendo che i matrimoni contratti per mero interesse non sono dei veri matrimoni, che l'amore dev'essere il sentimento portante di tale istituzione; l'istruzione, il progresso, hanno fatto sì che non ci fossero più i matrimoni di un tempo, in cui i coniugi si conoscevano il giorno delle nozze, e a loro non restava che cercare di amarsi, o di tollerarsi.
Mentre si discorre in questo modo, si avvicina un uomo con delle idee molto particolari: quelle della signora sono tutte sciocchezze, l’amore di cui si sta parlando non esiste. Esiste l’amore carnale, e il matrimonio è l’istituzione, cristiana e borghese, che regola e garantisce lo sfogo della perversità e della meschinità umana. Quella matrimoniale, è una struttura fallace e dannosa per la società: l’uomo e la donna sono attratti in modo animalesco gli uni dagli altri, ma per quanto tempo? Si finisce per ignorarsi, disprezzarsi, e nel peggiore dei casi, per odiarsi. Finché l’odio non spinge all’estrema azione, il delitto.
Alla fine del dibattito, restano soltanto Pozdnyšev, quest’uomo misterioso, e il nostro narratore, al quale sarà raccontata questa storia tormentata, fatta di insaziabile passione erotica, frustrazione e odio.
Pozdnyšev comincia la sua storia parlando della sua adolescenza, periodo in cui la sua innocenza viene corrotta. Le pulsioni sessuali, il pensiero della nudità della donna, sono ricordate come le perversioni di una natura innocente che decade, corrotta dalla società, dagli amici, e dai suoi stessi istinti, per lui disgustosi e allo stesso tempo irresistibili:

«Non conoscevo ancora le donne, ma, come tutti gli sventurati fanciulli del nostro ambiente, non ero più un ragazzo innocente, già da un anno ero stato corrotto dai ragazzi; la donna, non una donna qualunque, ma la donna come qualcosa di dolce, la donna, ogni donna, la nudità della donna mi tormentava già. I miei isolamenti erano impuri. Mi tormentava come si tormentano i novantanove centesimi dei nostri ragazzi. Inorridivo, soffrivo, pregavo e cadevo.»

Una volta insinuatosi il germe della perversione, questo non può far altro che crescere, nutrito dagli istinti sempre più forti e prepotenti, e dalle occasioni che la società impudica e oscena offre continuamente. E così, la vita del giovane prosegue all’insegna della degradazione e del libertinaggio.  Ed era proprio questo comportamento che garantiva l’approvazione sociale, nei salotti e nelle feste, durante le quali, questi “deprevati trentenni” venivano considerati “l’emblema della purezza”.
Dopo un periodo di bagordi e divertimenti, la società richiede che si prenda moglie. E il nostro giovane, perfettamente integrato nei costumi sconci e ipocriti vigenti, decide di prender moglie, e a tal fine, di cercare una ragazza pura e innocente, di buona famiglia e con una buona educazione. 

«Dapprincipio si finge dinanzi alle fanciulle che quella dissolutezza, che riempie metà della vita delle città e perfino delle campagne, che quella dissolutezza non esista affatto. Poi ci si abitua tanto a questa finzione che finalmente si comincia a credere con sincerità, come gli inglesi, che siamo tutti persone morali e viviamo in un mondo morale.»
Tra moralità e seduzione, i due giovani s’innamorano. Cos’è l’amore? Sentimento misterioso ed incomprensibile, sfuggente e penetrante, sembrerebbe impossibile da descrivere, spiegare, tanto che siamo portati a credere che abbia un’origine semidivina. E invece, la spiegazione di Pozdnyšev è di natura fisiologica. L’amore deriva da un eccesso di cibo, e da una sublimazione degli istinti sessuali primordiali, una sorta di reflusso gastroesofageo- psichico. Se viviamo nel benessere, ingurgitiamo più cibo di quanto necessitiamo. Le energie in eccesso, si trasformano in pulsioni sessuali, e queste cercano di  trovare sfogo in ogni modo; se le si trattiene, ecco l’innamoramento. Tutto ciò che di nobile vediamo nell’amore, non è altro che un maldestro tentativo di nobilitare la nostra propensione alle “porcherie”. Il rapporto tre uomini e donne si riduce a questo: gli uomini guardano le donne come oggetti atti a soddisfare le proprie voglie, e le donne si lasciano guardare, desiderose di essere scelte; le donne sono schiave dei desideri degli uomini, ma allo stesso tempo dominano gli uomini, poiché possono eccitare gli istinti maschili, soddisfarli o respingerli a seconda delle esigenze. I rapporti umani non sono altro che il desiderio più o meno sublimato, di una grande ammucchiata: il matrimonio è l’istituzione che regola tale orgia globale.
Con il matrimonio arrivano i figli, con i figli numerosi litigi. Per Pozdnyšev la peggiore perversione matrimoniale è l’accoppiamento durante la gravidanza, è il modo autentico e primordiale con il quale si oltraggia la donna. L’amore ai fini della procreazione è già di per sé deplorevole, ma questo amore fine a se stesso, è semplice dimostrazione del fatto che non siamo altro che squallide bestie. Perché il genere umano dovrebbe sopravvivere? Se il fine del genere umano è il progressivo miglioramento, fino alla meta finale della perfezione, una volta raggiunta questa, noi esseri umani dovremmo estinguerci. La sessualità è un momento di passaggio: permette che una nuova generazione nasca, e che possa avere successo laddove la precedente ha fallito, ossia nell’annullamento della passione stessa. Nonostante tale visione della natura umana, il percorso individuale di Pozdnyšev è tutt’altro che un percorso di ascesi: scende negli inferi della passione, si sporca con il desiderio sessuale, con la gelosia, con la brama di possesso della propria moglie, fino a raggiungere l’apice, il momento tragico dell’omicidio. I litigi vengono narrati con un ritmo violento, che rimanda ad un amplesso: da un banalità qualsiasi, il tono diventa sempre più acceso e drammatico:
“Si sente che da un momento all’altro può cominciare quel tremendo litigio, in cui si ha voglia di uccidere se stessi o lei. Sai che sta per cominciare, e ne hai paura come del fuoco, e perciò vorresti trattenerti, ma l’ira invade tutto il tuo essere. Lei è in una situazione simile, anzi peggiore, dà un’altra interpretazione ad ogni tua parola, attribuendole un significato falso; ed ogni sua parola è imbevuta di veleno; dovunque sa che posso soffrire di più, là appunto mi colpisce. Più si va innanzi, peggio è. Io grido «Taci», o qualcosa del genere. Lei esce precipitosamente dalla stanza, e corre nella camera dei bambini. Io cerco di trattenerla, per finire il discorso e dimostrarle tutto, la prendo per un braccio. Lei finge che le abbia fatto male, e grida…»
Protagonista di questa storia è anche la musica. Un maestro di violino, Truchačevskij, comincia a frequentare la casa dei due coniugi, accompagnando la moglie del protagonista al pianoforte. Pozdnyšev nutre una profonda gelosia, tormenta se stesso con pensieri vorticosi e contraddittori, sostenendo ora di non essere geloso, ora di essere consumato da questo sentimento, ora negando una relazione tra i due, ora avendone la certezza matematica. La musica è come la passione che nutre per sua moglie, lo trascina fuori da sé, oltre i suoi principi, le sue idee, oltre i suoi stessi sentimenti. Ed è una sensazione sublime, gioiosa e terribile. In particolare, è la Sonata a Kreutzer di Beethoven, suonata nel salotto di casa dai due amanti, che lo trascina in un vortice di emozioni contrastanti:
“Dicono che la musica agisca in modo da elevare l’anima: sono sciocchezze, non è vero. Agisce, agisce terribilmente, parlo di me stesso, ma niente affatto in modo da elevare l’anima; non agisce in modo né da elevare, né da abbassare l’anima, ma in modo da eccitare l’anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticarmi di me, della mia vera situazione, mi trasporta in una situazione nuova, e che non è la mia; sotto l’influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso.”

Ascoltando questa sonata, Pozdnyšev pensa che forse la sua gelosia è infondata, comincia a vedere un contegno e una severità in sua moglie, che non aveva mai visto prima. Forse ci può essere un altro finale per questa storia. Ma così non è. La passione, sentimento bieco ed immorale, che allontana l’uomo dalla sua umanità,  che tormenta i suoi pensieri attraverso la gelosia, porterà il protagonista a conficcare un pugnale nel costato di sua moglie, con la coscienza dell’orrore della sua azione, ma con una certezza altrettanto crudele: quella di una forza cieca dentro lui, che lo aveva trascinato nell’oblio, e che mai gli avrebbe permesso di rivedere la luce. 

2 commenti:

  1. Questione della natura umana. Una via alternativa è quella dl Maestro: ''Emanciparmi dall'incubo delle passioni cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male essere un'immagine divina di questa realtà.": peccato che è un'idea fondamentalmente utopica. Sono le passioni, gli istinti che mettono in moto l'essere; ma cosa vi resta una volta combuste? La ricerca di una nuova. E' un ciclo infinitamente vizioso.

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    1. Il tentativo di liberarsi dalle proprie passioni è utopico, in quanto queste sono parte essenziale della nostra natura. D'altro canto, assecondarle non porta al raggiungimento della felicità, ma alla perenne insoddisfazione, e nei casi estremi, all'autodistruzione. L'esistenza diventa una lotta quotidiana per il raggiungimento di un equilibrio, sempre fragile e precario.

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