«Per chi ha conosciuto Marx nessuna leggenda è più ridicola di quella che lo raffigura come un uomo scorbutico, amareggiato, inflessibile e inavvicinabile, una sorta di Giove tonante arroccato nell'Olimpo di una solitudine inaccessibile, perennemente intento a scagliare i suoi fulmini e senza mai un sorriso sulle labbra. Una simile descrizione del più allegro e giocondo degli uomini, dell'uomo dall'umorismo spumeggiante e dal riso irresistibilmente contagioso, del più gentile, tenero e simpatico dei compagni di gioco, è una fonte di perenne stupore e di spasso per chiunque lo abbia conosciuto.»
Queste stupefacenti parole appartengono a Eleanor, la figlia del filosofo tedesco dall'aria burbera e dalla critica spietata. Qualcuno potrebbe pensare che una figliola adorante sia sempre di parte nel descrivere il proprio padre... Eppure, leggere qualche opera di Marx non fa che confermare quegli attributi così sorprendenti di cui fa menzione Eleanor. Un profano della filosofia può sentirsi intimidito di fronte all'immensa mole del Capitale, e anche un lettore avvezzo a testi impegnativi tendenzialmente lo immaginerà come un mattone improponibile, un condensato (uhm, non molto condensato in effetti!) di rigore scientifico, disciplina ideologica, sentenze implacabili. Ebbene, quell'indole burlona di Marx affiora inaspettata anche tra le pagine
dei suoi testi più tecnici e impegnati: si concede battute brillanti con la stessa frequenza di citazioni letterarie e poetiche che rivelano la sua vasta conoscenza umanistica, e un tono fortemente ironico quando non sarcastico pervade tutti i suoi testi.
"Scorpione e Felice" è la testimonianza più pura di questo Marx inaspettato e poco conosciuto: l'apparente nonsense del titolo (che riporta in realtà i nomi dei due protagonisti) è corredato dal sottotitolo definitorio, "romanzo umoristico". Nel 1837, il diciannovenne Karl invia a suo padre un bizzarro regalo di compleanno: alcuni capitoli del manoscritto intitolato "Scorpione e Felice". Più che un romanzo, in realtà, è un anti-romanzo: pervenutoci purtroppo in una forma fortemente frammentata e lacunosa che ne accresce la cripticità e ne mutila il senso, lo scritto giovanile di Marx non sembra molto un'autentica narrazione. La storia di Scorpione, Felice, Merten, Greta, si sfilaccia e perde di vista, un po' per l'assenza di numerosi capitoli andati perduti, un po' per l'attenzione dell'autore che sembrava rivolta a tutt'altro. Infatti, i brevi episodi narrativi sono intercalati da lunghe e brillanti divagazioni: un intero, geniale capitolo è dedicato a «lambiccamenti filologici» sull'origine del nome Merten (e in tale contesto, parlando di uno scoliasta, Marx nota che: «Benché noi non possiamo abbracciare la sua opinione, tuttavia essa merita un apprezzamento critico, giacché è scaturita dallo spirito di un uomo che univa a una straordinaria erudizione una grande capacità di fumare - per cui le sue pergamene erano avvolte dalla sacra esalazione del tabacco ed erano quindi state riempite di oracoli in un sibillino entusiasmo d'incenso»), un altro fornisce una versione alternativa sul senso del celebre incipit giovanneo e sull'essenza del Sacro Verbo (che, scopriamo con stupore, risiede tra le cosce di Greta), da un altro apprendiamo che «il maggiorascato è la lisciviatrice dell'aristocrazia» (proprio così).
Il giovane studente in filosofia non era ancora il grande pensatore che tanto peso avrebbe avuto nella storia dell'Occidente e del mondo, ma dai frammenti di "Scorpione e Felice" trapela una cultura già vasta, piena di riferimenti dotti e ricercati (Hoffmann, Shakespeare, Ovidio, Virgilio, Hegel, Hume, Schiller sono solo alcuni degli autori citati), e quello spirito polemico, decostruttivo e irrequieto che troverà soddisfazione anni dopo nelle critiche a Hegel, a Feuerbach, a Stirner, a Proudhon, ai socialisti utopisti come agli economisti classici, fino a porre il sistema e il metodo marxisti in aperta ostilità contro l'impianto capitalistico-borghese della società.
Un giovane brillante, voglioso di discutere i dogmi indiscutibili e di ritorcersi contro quella borghesia nel cui seno aveva pure avuto la ventura di nascere: tutto il carattere di Marx trasuda da "Scorpione e Felice", che non smette di stupire con il suo tono dissacrante che parodizza e ridicolizza la società del tempo, l'atteggiamento degli accademici, la bigotteria e il filisteismo della borghesia, la religiosità didascalica ed enciclopedica fatta di citazioni latine e legendae aureae sui Santi.
«"Un cavallo, un cavallo, un regno per un cavallo" disse Riccardo III.
"Un uomo, un uomo, me stessa per un uomo" disse Greta.»
Il senso dell'umorismo è il talento di pensare e guardare altrimenti, e la burla è un atteggiamento rivoluzionario. Jean-Paul Sartre era l'incubo dei suoi professori perché non si stancava mai di complottare con i suoi compagni per realizzare scherzi e tormentare gli individui più seriosi. Proprio lui nella novella autobiografica "Gesù la civetta" rivela di essere il «satiro ufficiale» della sua comitiva, ed esalta il canular, l'essere burlone, come autentica forma di sovversione dell'ordine costituito. Poco meno di un secolo prima, Marx mostrava il medesimo spirito e scriveva queste pagine che, benché parziali e frammentarie, si lasciano leggere con curiosità e piacere, regalandoci uno sguardo insolito su un gigante del pensiero.
La bella edizione degli Editori Internazionali Riuniti con testo tedesco a fronte è anche corredata da vignette e annotazioni di Engels, compagno di vita, studio e burle per Marx. E se anche di Engels pensavate fosse un tipo serioso e compito... ricredetevi!
«Noi Friedrich Engels
poeta sommo nel ristorante del municipio di Brema e privilegiato
BEONE
comunichiamo e informiamo a tutti i precedenti, i presenti,
gli assenti e i futuri
che siete tutti asini, creature pigre, che continuano
a essere inferme del tedio della propria esistenza,
canaglie che non mi scrivono e così via.
Dato sul nostro sgabello del bancone
in un momento in cui non avevamo i postumi di uno sbornia.»