«Il sesso femminile è la clitoride,
il sesso maschile è il pene.»
Questo è l’assioma
di partenza del celebre saggio di Carla Lonzi del 1971. Da questa “scoperta” l’autrice
sviluppa la sua teoria psicoanalitica che, a partire dalla mappatura dei luoghi
del piacere sessuale femminile, ricostruisce la soggettività della donna come
soggettività autonoma rispetto a quella maschile, un “soggetto imprevisto” che
mette in discussione le fondamenta della cultura e della civiltà, che irrompe
nel mondo dialettico costruito dagli uomini, uscendo dalla dimensione spettrale
in cui l’uomo l’ha relegata e affermando la propria esistenza piena, densa,
concreta.
Perché la
clitoride come organo precipuo della sessualità femminile è una scoperta? Dagli
albori della civiltà sino alla psicoanalisi freudiana, l’organo della
sessualità femminile è stato identificato con la vagina. Lonzi comincia la sua
riflessione ribaltando questo dato di fatto, mettendo in discussione un dogma
accettato sia dagli uomini che dalle donne e sostenendo che proprio questa
accettazione è stata l’origine dell’ «angoscia della donna» e, più in generale,
del disagio della civiltà. Il fatto che la vagina sia stata dichiarata sede
ufficiale del piacere femminile è il primo atto di colonizzazione del corpo
della donna da parte dell’uomo. Il primo atto di violenza e sottomissione, da
cui si dispiegano la personalità aggressiva, dominatrice dell’uomo e la
personalità alienata e spettrale della donna.
La vagina è
una zona «moderatamente erogena». L’autrice riporta gli studi di Freud e Reich
sulla frigidità femminile oltre che studi anatomici sull’orgasmo vaginale e quello
clitorideo. Nella psicoanalisi “maschile” l’orgasmo clitorideo è considerato un
tipo di piacere infantile, mascolino, autoreferenziale. La donna sana e
pienamente sviluppata è colei che, dandosi completamente al suo uomo, è capace
di raggiungere l’orgasmo vaginale. Coloro che non ne sono capaci, sono affette
da frigidità, non hanno avuto un regolare sviluppo sessuale. Lonzi si pone una domanda apparentemente semplice:
perché la clitoride, l’unico organo che è in grado di procurare alla donna un
orgasmo certo, spontaneo, immediato, è considerato un organo sessuale
infantile? Perché l’orgasmo vaginale, che invece richiede una serie complessa
di mediazioni psichiche e di processi di adattamento, è considerato l’autentico
orgasmo femminile?
Nel maschio il piacere e la procreazione coincidono
nel medesimo atto. Il pene è l’organo che provvede al soddisfacimento di entrambi
i bisogni, quello individuale e quello della specie. Nella donna le cose non
stanno così: la vagina è sì l’organo della procreazione, ma non è quello del
piacere sessuale, se non in misura marginale. L’atto colonizzatore dell’uomo
impone la coincidenza che è solo a lui propria. Sull’oblio di questa
infibulazione originaria si fondano tutte le civiltà umane.
La vagina diventa il totem della sottomissione
femminile e la clitoride il tabù, lo scandalo di una sessualità femminile che
non ha bisogno dell’uomo. L’identità della donna si avviluppa in questa
proibizione ancestrale, cercando in ogni epoca di adattarsi. Ma questo
adattamento non è indolore, né compiuto definitivamente. Emergono allora due
tipi psicoanalitici: la donna vaginale e la donna clitoridea.
La donna vaginale è colei che è riuscita ad adattarsi
alla proibizione imposta dall’uomo. Vive l’illusione dell’orgasmo come il
momento in cui il piacere della donna e quello dell’uomo esplodono all’unisono.
Vive l’illusione della sessualità, del sesso come atto d’amore. Sacrifica il
suo piacere immediato, quello clitorideo, alla trascendenza del Vero Amore, del
Vero Piacere, di quel “qualcosa in più” che solo l’uomo può dare. È una donna che cerca di adeguarsi al maschio
in ogni sua azione, anche quando rivendica i propri diritti e il proprio ruolo
nella società. Una società che resta quella edificata dal maschio, nella quale
la donna vaginale non chiede altro che di essere accolta e accettata. La donna
vaginale lotta per il diritto all’aborto e alla contraccezione senza però
chiedersi “Per chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi?”, senza
risolvere la contraddizione della società contemporanea per cui si controllano
le nascite ma si lascia intatto il modello di sessualità procreativa. Una
contraddizione che resta irrisolta e tutta a vantaggio dell’uomo.
La donna clitoridea è invece una donna che non riesce
ad adattarsi, che attraversa l’angoscia della sua diversità per poi affermarne
la potenza e la preziosità.
«La donna clitoridea
non è la donna liberata, né la donna che non ha subíto il mito maschile –
poiché queste donne non esistono nella civiltà in cui ci troviamo – ma quella
che ha fronteggiato momento per momento l’invadenza di questo mito e non ne è
rimasta presa. La sua operazione non è stata ideologica, ma vissuta durante
buona parte della propria vita attraverso ogni sorta di sbandamenti rispetto
alla norma, sbandamenti che nella cultura maschile venivano interpretati come
una ovvia manifestazione delle velleità dell’inferiore. Ma è stato proprio
attraverso di essi che la donna ha potuto cominciare a sperimentare la propria
iniziativa resistendo alla pressione della colonizzazione che la richiamava
pesantemente ai ruoli con la promessa di gratificazione e consenso dell’uomo.
La donna clitoridea ha registrato con rabbia, impotenza e deliberazione totale
di salvare almeno se stessa, il momento in cui le proprie compagne venivano
inghiottite dal mondo maschile e sparivano senza lasciare traccia di sé e non
ha potuto darsi ragione di tutte quelle vite perdute, del fatalismo con cui
alla fine accettavano che un altro ispirasse i pensieri e i gesti, e ha intuito
una macchinazione storica contro il suo sesso. La donna clitoridea è una donna
che ha resistito sull’autocoscienza reprimendo in se stessa tutta una parte di
femminilità finché non ha scoperto che era la parte della femminilità che l’uomo
aveva imposto e alimentato nella donna, ma lei non l’ha fatto sulla garanzia
della liberazione, ma sull’autenticità che può finire nel nulla di fatto».
La donna
clitoridea è una figura psicoanalitica,
storica, umana che pone, con la posizione della sua esistenza autonoma e
indipendente, nuovi modi di vita e di relazione, che il femminismo interpreta
ed elabora. Non è l’antagonista dell’uomo, ma semplicemente un soggetto
diverso, che non rivendica l’integrazione all’interno di una società già data,
ma cerca di modificarla attivamente. La donna clitoridea propone una nuova
forma di sessualità in cui il piacere della donna è rispettato, e in cui l’uomo,
rinunciando al suo ruolo di dominatore, elimina ogni criterio efficientistico
che quel ruolo comporta (dalle ossessioni per le dimensioni del pene a quelle
per la durata delle prestazioni sessuali). La donna, attraverso la presa di
coscienza della sua sessualità, recupera il suo piacere immediato e spontaneo,
che non genera frustrazione né angoscia. Ricostruisce la propria identità, si
afferma come autocoscienza, pronta a rivivere quella solidarietà femminile che
caratterizza l’infanzia e l’adolescenza. Si fa soggetto concreto e creativo e,
solo in quanto tale, disposto a spendersi per gli altri.