Padre e figlio camminano per le vie della periferia romana,
apparentemente senza una meta. Durante il loro cammino incontrano un
personaggio particolare, un piccolo corvo che dice di abitare nel paese di
Ideologia, nella città del futuro, la Capitale, in via Karl Marx al numero
settanta volte sette, di essere figlio di Dubbio e Coscienza. I due popolani
gli rispondono ironicamente: noi abitiamo al Borgo della Monezza, in via Morti
de Fame, numero 23. Il corvo chiede loro il permesso di poter raccontare una storia,
una storia di uccellacci ed uccellini.
Ai tempi di frate Francesco, un gruppo di monaci da lui guidati
è in un prato a meditare e pregare. Francesco ordina a due monaci
(interpretati da Totò e Ninetto Davoli) di andare a predicare il messaggio evangelico
agli uccelli. Bisogna convertire prima i falchi e poi i passerotti. I due
monaci si incamminano giungendo al covo dei falchi. Fra’ Ciccillo (Totò) si
inginocchia e comincia a pregare. Resta fermo lì per mesi mesi, passano le
stagioni, arriva il caldo, poi l’inverno, poi di nuovo la primavera. Alla fine
riesce a trovare il linguaggio con il quale comunicare agli uccellacci l’amore
di Dio. Questi accolgono con entusiasmo il messaggio evangelico, così i due
monaci possono proseguire nella loro missione.
Giunti presso un vecchio rudere abitato da Sora Gramigna, Sora
Grifagna e Sora Migragna, i monaci incontrano i passerotti. Totò si
inginocchia, comincia a pregare e cerca il modo di comunicare con gli
uccellini. Anche in questo caso il tempo passa, attorno a Fra’ Ciccillo si crea
un luogo di culto tra il sacro e il profano, con altari, ceri, mercatini,
spettacoli di artisti di strada. Il monaco si alza e distrugge il mercato,
seguendo l’esempio di Gesù. Dopo mesi e mesi di preghiera, il Fra' Ciccillo finalmente
comprende che i passerotti non comunicano cinguettando ma saltellando. Così
apprende il loro linguaggio e comunica l’amore di Dio. I passerotti accolgono
gioiosamente il messaggio cristiano.
Compiuta la loro missione, i due monaci sono pronti a tornare
dal loro maestro, ma assistono ad un episodio sconvolgente: un uccellaccio
attacca e ammazza un uccellino. Fra’ Ciccillo torna sconfortato da Frate Francesco, e gli riporta l’episodio. Gli uccellini amano Dio, ed anche gli
uccellacci, ma non si amano tra di loro. Cosa possiamo fare, se c’è la classe
dei falchi e quella dei passerotti, e se queste non possono andare d’accordo?
San Francesco risponde che “Tutto ce poi fa’”:
Bisogna cambiarlo questo mondo. Fra’
Ciccillo è questo che non avete capito. Un giorno verrà un uomo dagli occhi
azzurri e dirà: "Sappiamo che la giustizia è progressiva e sappiamo che man
mano che progredisce la società, si sveglia la coscienza della sua imperfetta
composizione e vengono alla luce le disuguaglianze stridenti e imploranti che affliggono
l’umanità." Non è forse questa avvertenza, della disuguaglianza fra classe e
classe, fra nazione e nazione, la più grave minaccia della pace? Andate e
ricominciate tutto daccapo. In lode del signore.
La favola
raccontata dal Corvo, un “intellettuale di sinistra prima della morte di
Togliatti”, si conclude con i due frati che tornano indietro a predicare la
pace tra la classe dei falchi e quella dei passerotti.
Ninetto,
Totò e il Corvo proseguono nel loro cammino insensato, in una torrida giornata
d’estate, nelle vie della triste e desolata periferia romana. Un deserto fatto
di costruzioni fatiscenti, di piccoli e tristi bar, popolato da personaggi
grotteschi: una ragazza che indossa un costume da angelo per una recita, un
barista brutto fino alla crudeltà con dei capelli assurdi. Ragazzi che si
esercitano a ballare al ritmo della tipica musica anni ’60, composta da
Ennio Morricone, prendendo la “picciolata” al juke-box. Le vie del quartiere
sono intitolate agli eroi locali: Via Benito
la Lacrima (disoccupato), Via Antonio Mangiapasta (scopino), Via Lillo Strappalenzola
(scappato di casa a 12 anni).
Questa è la
storia che si ripete da secoli nelle periferie dimenticate, dall’epoca di San
Francesco a quella del Corvo, intellettuale di sinistra che assiste ai funerali
di Togliatti e all’indebolimento della presa del marxismo sulle masse. Assiste alla
sclerotizzazione di un’ideologia che non riesce a farsi comprendere da quelli
che dovrebbero essere i protagonisti del progetto politico che si prospetta
attraverso questa narrazione. Il piccolo Corvo è imbarazzato nel vedere i
soprusi che le classi povere fanno a quelle ancora più povere e nell’assistere
al servilismo che queste stesse classi riservano ai potenti e ai ricchi. Durante
il loro cammino, Totò dice che soltanto un ricco muore davvero. Quando un ricco
muore, si crea un vuoto che fa avvertire agli altri la sua assenza. I segni
della sua morte sono evidenti. Questo perché il ricco morendo ha perso
qualcosa: gli è stata tolta la vita, ma la vita gli aveva dato delle cose, a
lui è stato concesso il lusso di vivere. Quando muore un povero, invece,
nessuno si accorge che è morto, perché egli in realtà non ha mai vissuto, è
semplicemente passato “da una morte ad un’altra morte”.
Mettersi in
ginocchio di fronte a queste masse abbandonate a se stesse e cercare un
linguaggio per poter comunicare l’amore tra l’uomo e l’uomo, la solidarietà, la
cooperazione. Cercare una parola che unisca tra loro le classi subalterne, che
le inciti all’emancipazione. L’intellettuale non parla il linguaggio delle
masse, non le comprende e non è compreso. La predicazione dell’intellettuale di
sinistra è un buco nell’acqua, un’eco che si scontra con uno spazio vuoto. L’intellettuale
parla, parla, parla e nel frattempo il popolo, che guarda a lui con un misto di
ingenua curiosità e atavico scetticismo, continua a menare la propria vita, che
ostinatamente si afferma sempre allo stesso modo, come morte dell’altro, del
più debole. In questa ostinazione sta l’innocenza morale del popolo
pasoliniano: un’innocenza infantile, al di là del bene e del male. Se l’intellettuale
segue le ragioni della coscienza, abitando l’iperuranio dell’Ideologia, il
popolo segue le ragioni della vita, sorta con la sua incomprensibile testardaggine
nel Borgo della Monezza, in via Morto de Fame. Quale linguaggio, azione, potrà
unire questi due pianeti che seguono vie parallele che sembrano incontrarsi
soltanto per sbaglio, in epoche della storia sempre troppo brevi? Perché questo
sodalizio tra coscienza della miseria e miseria stessa sembra essere
puntualmente fallimentare?
“Che ce
possiamo fa’ se la classe dei corvi e quella dei passeretti non possono andare
d’accordo?”. “Tutto ce
poi fa’”, risponde frate Francesco.
Durante il
cammino del Corvo con i due protagonisti di questa favola densa di significato,
che Pasolini introduce con la didascalia “Dove va l’umanità? Boh!”, il motto di
Francesco sembra capovolgersi. Alla fine del film sembra che l’intellettuale
non possa farci proprio nulla. Non ha la Verità, ha più domande che risposte. “Dove
andate?”, chiede il Corvo a Totò e Ninetto, “Laggiù”, gli rispondono. “Ma dove?
A destra, a sinistra, dritto?”, e loro, tautologici, “Laggiù”. Il corvo non sa
dove stia andando la massa, e lo chiede a due emblematici esponenti, ma neanche
loro lo sanno. Vanno laggiù, e questo è sufficiente ad intraprendere il cammino
della vita, della storia. L’intellettuale fa loro delle prediche, racconta
delle parabole, e il popolo dapprima lo ascolta, ma alla fine non ne può più.
Estenuati dalla
logorrea del piccolo Corvo, dopo essere stati con una prostituta, i due
protagonisti decidono di mangiarlo. Dell’intellettuale di sinistra prima della
morte di Togliatti restano soltanto i resti bruciacchiati, mentre Totò e
Ninetto, sazi, contenti ed innocenti, tornano allegramente a casa.
Nessun commento:
Posta un commento