martedì 17 aprile 2018

Un racconto boreale: "Luce d'estate ed è subito notte" di Jón Kalman Stefánsson

"Luce d'estate ed è subito notte" è interessante e "algido" come di solito sono i libri di Iperborea. È semplicissimo e insieme pretenzioso. Rappresenta un ripiegamento della narrativa sull'addome molle del focolare, del tedio quotidiano, della routine con gli stati d'animo che ciclicamente trascina con sé. È una scelta intimista e minimale, sorretta da un registro quotidiano e da descrizioni essenziali, rapido e spontaneo come un racconto orale. Il narratore sembra avvinto dalla tensione tra l'infinitamente piccolo dell'io (la memoria individuale, gli interrogativi quotidiani, la sognante progettualità) e l'infinitamente grande (il "senso della vita", gli abissi del cielo con le sue lunghissime notti e i suoi lunghissimi giorni, il respiro del mare, la volta stellata). Il personaggio dell'Astronomo è il referente, presso la sua piccola comunità, di questo infinitamente grande che inghiotte l'uomo e lo libera da ossessioni e paure superflue: è il personaggio che manda in malora il matrimonio con una bellissima moglie, il Maglificio che dirige con profitto, la casa invidiabile, per dedicarsi allo studio del latino e degli astri, nel suo ritiro spoglio sulla collina.
Ai piedi dell'Astronomo si srotola il tappeto dell'esistenza minuta: l'impiegata delle poste che sbircia la corrispondenza dei compaesani per diffondere informati pettegolezzi, il magro Jónas che fa il poliziotto per seguire le orme del padre ma ama gli uccelli del cielo e dedica tutto il suo tempo libero a studiarli e disegnarli, la contadina Ásdís che scoperto il tradimento del marito uccide gli animali domestici, la cagna con i suoi cuccioli, dà fuoco all'automobile e costringe il marito a vendere tutte le terre di famiglia, per vivere una vita nuova in un'altra casa e con un altro lavoro. 



Le comparse delle storie precedenti diventano protagonisti degli episodi successivi, in un intreccio di storie particolari che rende l'affresco di un villaggio islandese incastrato tra la campagna e i fiordi, riscaldato dalla calda Corrente del Golfo e dalle passioni dei suoi abitanti. Le loro vicissitudini sono raccontate con un occhio alla terra (la sveglia, il lavoro, gli agnelli e i camion, la televisione, il sesso, il fitness, i dolci da offrire agli ospiti in soggiorno) e uno al cielo (la sumarljós, il lunghissimo chiarore dell'estate; il volo delle diverse specie di
uccelli e i loro stridii; i cambiamenti di umore del clima, con le sue pioggerelle frequenti e fitte, che trasformano le aie in spiazzi fangosi). La narrazione è estremamente frammentata, svincolata da qualunque logica temporale e dalle costrizioni di sintassi e periodo. Lo stile segue piuttosto la logica della poesia (Jón Kalman Stefánsson esordisce come poeta alla fine degli anni Ottanta, e solo in seguito si dedica alla prosa) e modula la voce come per una lunga telefonata, che pretende di raccontare la molteplicità delle vite individuali e normali, piccole e incrostate sul terreno islandese, per dedurne l'universale, l'eterno, il davvero-importante, oltre le frenesie del consumismo e le promesse delle pubblicità. 
Naturalmente ho trovato irritanti queste velleità sacerdotali, ma affascinanti e malinconiche le descrizioni del fiordo grigio e degli stormi vagabondi, della memoria delle cose (più importante e vera delle cose stesse) e dei progetti destinati spesso al naufragio. "Luce d'estate ed è subito notte" è un libro che non vedevo l'ora di finire; ma quando l'ho finito, ho desiderato invano che ne restasse ancora un pezzetto. 


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