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lunedì 25 marzo 2013

"La Macchina del Presagio" di Terry Goodkind


Dopo averci ammorbato con una saga di ben dieci libri (che poi si sono rivelati, a sorpresa, undici), Terry Goodkind non si è dato pace. Ha scritto un altro libro, direte. No, ha proprio iniziato un’altra saga. Sempre sugli stessi maledetti personaggi. Quindi in realtà non è un’altra saga, ma sempre la stessa che non ne vuole proprio sapere di avere fine. Ma finché la lettura è piacevole, che problema c’è?
La lettura di questo «primo romanzo della serie di Richard e Kahlan» (cito dalla copertina) in effetti è piacevole. Non del tutto soddisfacente ma piacevole. All’inizio riempie di curiosità, con questa gragnola di profezie che piovono sui personaggi all’improvviso, in una ciclica ricorrenza che ha del macabro e del perturbante.
Sulla questione della profezia, che è il filo portante della narrazione, devo spendere due parole. La vicenda è ambientata in un mondo in cui la magia e la profezia come sua manifestazione sono incluse in una concezione metafisica ricca di risvolti teologici. Apprezzo la costruzione di Goodkind in questo senso. Ma dove l'autore fallisce miseramente è il tentativo (imbarazzante) di filosofare sulla visione teleologica del mondo, sulle intuizioni profetiche, sull'onniscenza di Dio, sul libero arbitrio... Temi evidentemente delicati e degni di una riflessione approfondita che va ben oltre le competenze manifestate da Goodkind (che veste molto meglio i panni del narratore che quelli dello pseudo-filosofo) in questo libro.
In ogni caso, l’oscurità cerca altra oscurità e si insinua nel Palazzo del Popolo, turbando i protagonisti che, dopo anni di guerra, iniziavano ad illudersi di poter condurre una vita serena. Il nemico è invisibile ed insidioso, sembra poter spiare Richard e Kahlan tramite gli specchi e lo stesso buio notturno. Io nutro una profonda paura dell’abbinamento specchi-buio fin dalla più tenera età, e avrei trovato tutto davvero inquietante se ad un certo punto Samara non avesse fatto una capatina (senza peraltro alcun seguito, ma forse a ciò rimedieranno i prossimi libri) gettando sulla faccenda una luce un po’ ridicola. Samara, sì, quella di “The Ring”, o almeno una sua sosia molto credibile, benché anonima (pagina 162, leggere per credere).
Comunque, la storia sembra ingranare davvero con il ritrovamento della macchina dei presagi. Benché l’aspetto della macchina sia buffo e anacronistico (finestrella, lucina, fessura per erogare i presagi… Insomma, un distributore di bevande), devo rendere a Goodkind il merito di questo: è affascinante (nonché antico e riccamente sviluppato nella storia della letteratura) il tema di una macchina pensante. Una macchina che si esprime, benché cripticamente, interloquisce con chi la adopera, addirittura sogna… Misteriosa e malinconica, la macchina dei presagi mi ha coinvolto ed incantato.
L’incanto non è stato duraturo, però. A sfregiare un libro abbastanza avvincente (benché spesso barcollante e al limite del nonsense) c’è la forma, da un punto di vista editoriale più che letterario. Già leggendo altri libri della Spada della Verità sono incorsa in refusi a profusione e frasi che suonano veramente ma veramente male. Poca cura da parte della Fanucci Editore, ormai me ne sono fatta una ragione. Ma in questo libro si tocca veramente l’apice. Il merito credo sia dovuto ad una miscela esplosiva: traduzione pietosa ed editing inesistente. Se a ciò aggiungiamo un pizzico di Goodking-style (cioè sequenze illogiche, termini usati a sproposito e dialoghi ripetitivi fino al delirio), ecco il capolavoro.
Ad una sapiente combinazione di questi ingredienti dobbiamo perle come: «Sembrato che il terrore non dovesse mai terminare». O come: «Intendi che è sparito come se forse te lo stavi immaginando e ora te ne sei reso conto?», oppure «Kahlan non perse di vista delle occhiate di cuoio rosso davanti a Richard» (maledizione, cosa vuol dire non perdere di vista delle occhiate???).
Ma il clou lo abbiamo a cavallo tra i capitoli 33 e 34. Non posso riportare il brano integralmente per ovvi motivi di lunghezza e anche per evitare di dar luogo a qualche sgradevole spoiler, ma posso sintetizzarvi lo schema seguito dalla conversazione e riportarvi alcune battute significative.

Nicci: «Perché il libro non funziona come dovrebbe?»

Richard: «Non lo so.»

Nicci: «Devi aver appreso qualcosa.»

Richard: Sì, che «dovrebbe funzionare, ma semplicemente non lo fa». Se applichi le regole del libro per decifrare i simboli, ottieni «assurdità prive di senso».

Zedd: «Forse questo libro, Regula, in realtà non ha nulla a che vedere con la macchina.» Sei sicuro che ci sia un nesso tra i due?

Richard: Sì, perché questo simbolo qui, «che occupa l’intera pagina iniziale […] è lo stesso simbolo presente su tutti e quattro i lati della macchina».

Zedd: «Quello stesso simbolo è su entrambi, il libro e la macchina?»

Richard: Sì.

Zedd: Sai cosa voglia dire il simbolo?

Richard: «Temo di no.»

Zedd: «C’è questo sulla macchina? Lo stesso disegno?»

Richard: «Esattamente lo stesso simbolo». Solo che «pare che debba funzionare, ma non lo fa». Comunque questa roba sembra un nove [mezz’ora, anzi, tre pagine di discussione su cosa significhi il nove, con Nicci che sa tutto ma si diletta ad esercitare la maieutica socratica su Richard per costringerlo a indovinare]. Ma «perché il nove è alla rovescia?»

Zedd: «Alla rovescia?»

Richard: «Sì, l’intero simbolo è alla rovescia. Lo puoi capire perché anche il nove è alla rovescia».

Zedd: «Ma ora che lo fai notare, sembra proprio alla rovescia».

Richard: «Alla rovescia… proprio così! […] è alla rovescia. Tutto in questo libro è rovesciato».

Berdine: «Rovesciato?»

Richard: «É tutto rovesciato rispetto al modo in cui la macchina vede il simbolo».

Zedd: «Cosa vuol dire che è alla rovescia? Cos’è alla rovescia?»

Kahlan: I simboli sono tutti uguali. «Perciò cosa ti fa pensare che siano alla rovescia?»

Zedd: «Esatto». [Ma che risposta è???]

Richard: I simboli «sono tutti ribaltati» [almeno cambiamo vocabolo], «sono tutti sbagliati».

Zedd: «Se tutti quanti, in ogni posto, sono uguali, come possono essere tutti sbagliati?»

Nicci: «Come sai che sono sbagliati? Come sai che sono alla rovescia?»

Richard: «Perché questo è quello che vediamo quando guardiamo all’interno. Ma non è quello che la macchina vede».

Nicci: «Hai detto prima che è alla rovescia rispetto al modo in cui la macchina vede il simbolo».

Zedd: «Dunque?»

Richard: «Ebbene, tutti gli altri simboli –sui lati della macchina e nel libro- sono uguali» ma mentre la macchina vede un nove, «tu vedi il nove così: alla rovescia. […] Ma è alla rovescia dal punto di vista della macchina sul nostro mondo».

Kahlan: «Ma certo. Richard ha ragione. Questi sono tutti rovesciati».

Una conversazione fra sordi. Una vita per capire che i simboli sono tutti uguali e tutti rovesciati. E soprattutto una risata interminabile.
Ora, immaginate questa manica di deficienti alle prese con i soliti cattivi astutissimi e spietatissimi dei fantasy e otterrete il degno dodicesimo libro (checché se ne voglia dire, è un seguito dei primi undici! Che non mi si scocci con questa storia della nuova serie!) della Spada della Verità. Una trama abbastanza incasinata per incuriosire, con qualche elemento veramente pregevole di tanto in tanto (una su tutte, la bellezza tormentosa e struggente della figura delle Mord-Sith, benché si vestano e atteggino a signorine dedite al sadomaso… Ma questo è un altro discorso). Una lettura leggera e piacevole (e a tratti, come ho spiegato, imprevedibilmente divertente anche contro il manifesto intento dell’autore).

venerdì 1 marzo 2013

"Lo stagno di fuoco" di Daniele Nadir

«Ci son mosche su di me
Ci son mosche su di te
Ma su Gesù neanche una
Ma su Gesù neanche una

Ci son mosche su di me-ee
Ci son mosche su di te-ee
Ma su Gesù neanche... una
Ma su... Ge-sù... neanche... una
No, no!


Cavallo di battaglia di Jou Gould (ubriaco)
mentre si esibisce (ballando)
nella ridda di Joseph Ferdinand Gould
alle feste più esclusive del Greenwich Village,
nonché canzone dell'Esercito della Salvezza
in voga i primi del XX secolo»


Premetto che amerei sbattere in galera (e dare la chiave della cella in pasto a un alligatore) chi scrive certe cavolate (per essere signorile) sulle copertine dei libri. Un esempio? "Lo stagno di fuoco" è un libro (incantevole, incredibile) ambientato quasi esclusivamente nell'Inferno, in un Inferno fantasioso e pazzesco; racconta dell'Apocalisse, di come un pugno di uomini e angeli restino fuori dalla suddivisione buoni-cattivi per motivi misteriosi, e di come i protagonisti si muovano tra dannati ed Eminenze, demoni e Squartatoi alla ricerca di un fine che sia il più lieto possibile.
Dove sta la cavolata, vi chiedete? Sta nel fatto che un maledetto genio ha definito "Lo stagno di fuoco" «il romanzo storico sugli ultimi giorni dell'umanità». Proprio così, storico. Non fantasy, eh! È evidente che un romanzo che tratta di tutte quelle belle cose non sia fantastico ma storico, e magari anche ben documentato. Già. E la cosa più bella è che a scrivere questa corbelleria non è stato un umile blogger come me, o qualche recensore folle o qualche bimbominkia con una cognizione distorta dei generi letterari. Qualcuno ha scritto questa definizione, con manifesta fierezza, sulla copertina de "Lo stagno di fuoco", e la Sperling, che non è certo una casa editrice piccola e sprovveduta, non ha evidentemente avuto niente da ridire. Boh. Lasciamo perdere.Tornando al libro... Anzi, no, voglio sproloquiare ancora un attimo. Sapete cosa si trova in giro? Recensioni in cui si dice peste e corna di questo libro perché, a detta di qualcuno, ha una grave pecca, un difetto inemendabile che dovrebbe coprire Daniele Nadir di onta ed infamia. Sapete quale difetto? Tenetevi forte. Quello di avere troppe pagine. Proprio così, il numero di pagine influisce direttamente, e non incidentalmente, sulla qualità di un romanzo. Non perché lo stile sia pesante, la lettura noiosa, la scrittura prolissa (cose che comunque reputo non vere, ma de gustibus...), ma proprio perché le pagine sono troppe. Tant'è...

Niente da fare, queste recensioni mi fanno ridere troppo. Mi sembra di rivedere la pubblicità della carta igienica, con Dante tutto contento che butta giù l'ultimo verso, «l'Amor che move il sole e l'altre stelle», e Beatrice che commenta: "Bellina codesta commedia, Dante, divina! Ma non sarà un tantino lunga?". Mi viene da chiedermi se questi signori reputino un biglietto da visita letterariamente più degno de "I fratelli Karamazov", vista questa corrispondenza biunivoca tra brevità e qualità.
Non intendo sostenere che "Lo stagno di fuoco" sia un romanzo perfetto e senza macchia, o che sia la punta di diamante della letteratura contemporanea. Eppure, la sua qualità mi sembra evidente. Nadir dà un po' il mal di mare, col suo stile oscillante tra picchi elevatissimi (le descrizioni gustosissime delle nature angeliche e demoniache, i brani aulici e quasi poetici e gli sfarzosi racconti nel racconto) e rarissime eppure presenti "fosse delle Marianne" (mi riferisco in particolare allo stile rapidissimo e quasi elementare delle prime pagine). Parlando di fantasy italiano, dopo aver letto Licia Troisi, Daniele Nadir sembra Calliope in persona. Giuro.
Lo Stagno non si presenta come un libro modesto o dimesso, ma questa sua ambiziosa esuberanza non è da rimproverare all'autore, che sembra decisamente all'altezza dei suoi propositi. Nadir è un mix esplosivo di erudizione (storica e mitologica in primo luogo), una fantasia allucinata, uno stile ricchissimo, un'attenzione maniacale per i dettagli più succulenti, il gusto per le suggestioni epiche, apocalittiche e fantastiche. Condire il tutto con le bellissime illustrazioni di Mattia Ottolini. Infornare per alcune settimane (ho impiegato parecchio a leggerlo, per la sua densità che non è necessariamente e direttamente correlata al numero delle pagine). Si otterrà una lettura capace di impressionare profondamente, colpire con tutto il proprio carattere, stupire per la sua qualità e per il suo essere così diversa dai best-seller del momento. Anche i personaggi (tranne la protagonista, Sara, che è praticamente un'ameba) sono delineati sapientemente. Spiccano su tutti, naturalmente, Joe Gould (il tizio che si esibisce ubriaco ballando e parlando il gabbianese), Giuda (scappato niente meno che dalla bocca di Satana, riportandone brutti ricordi e comprensibili motivi di disagio psichico) e l'Arcangelo Michele (potentissimo ed imperturbabile, insospettatamente virile, una lama di diamante, un guerriero santo e implacabile, dotato di «stronza cavalleria»).
Per farla breve, difficilmente nel panorama italiano riuscirei ad indicare un fantasy più ricco, documentato e letterariamente elevato. Allora, per quale motivo non reputo lo Stagno un romanzo perfetto?
Perché, in parte leggendo con attenzione e in parte facendo riferimento ai nutriti ringraziamenti dell'autore, ci si rende conto di quanto poca sia la farina del suo sacco. Certamente non è stato Nadir ad inventare cerchie angeliche e personaggi religiosi, questo è ovvio e banale. Neanche Dante ha inventato granché da quel punto di vista! No, quello che mi ha onestamente deluso è stato scoprire che da un punto di vista strettamente contenutistico lo Stagno sembra un gigantesco copia-e-incolla.
Il Quirim, il sadico gioco delle tre leve, Nadir lo deve ad un suo amico Federico. La Crociata dei Fanciulli, a quanto dice, è un evento storico attestato da non so chi. Il bombardamento di feci (ehm... leggete e capirete!) durante l'assedio di Nuova Dite è un omaggio al Fabulazzo osceno di Franca Rame e Dario Fo. La leggenda dell'Ebreo Errante, quella di Fenrir che inghiotte la luna e molte altre sono evidentemente attinte dalla tradizione mitologica di diverse culture. Il brano sulla luna verso la fine del romanzo è preso dal Cyrano di Rostand. Ma, ciò che ha demolito il mio entusiasmo più di tutto il resto, è stato scoprire che neanche il protagonista è originale di Nadir, bensì preso in prestito dalla realtà (essendo una persona realmente vissuta) attraverso la meravigliosa mediazione de Il segreto di Joe Gould di Joseph Mitchell.
Considerato che, come ho detto prima, l'originalità è uno dei migliori pregi dello Stagno, capirete la mia delusione (constatato che di originale, alla fin fine, non c'è neanche il protagonista!).
Eppure... Non so. Nutro una specie di amore-odio per questo romanzo. Gli devo delle suggestioni che sono rimaste incise davvero in profondità nella mia fantasia, e se rimprovero qualcosa a Nadir, ho molto altro per cui lodarlo. Lo Stagno è un romanzo davvero controverso. Ho detto (lungamente) la mia ma sento di non avergli reso giustizia, perché ci sarebbe ancora davvero molto da dire. Non mi resta che consigliarne caldamente la lettura. Nel bene e nel male, "Lo stagno di fuoco" è un libro raro e imperdibile.

mercoledì 5 dicembre 2012

"La spada della verità vol. 7" di Terry Goodkind


«La vita è il futuro, non il passato.»

Cala rapidamente la sera e il freddo è intenso e pungente. Il cadavere di un soldato giace riverso nella neve e una ragazza, Jennsen, si ferma ad osservarlo. Incuriosita, lo fruga: tra le sue cose trova del denaro, un pugnale con la R della casata dei Rahl in rilievo sull'elsa e un messaggio che per lei equivale ad una condanna a morte. Non le resta che occultare il cadavere, avvisare la propria madre dell'allarme e darsi ad una fuga precipitosa, ma prima di riuscire ad allontanarsi Jennsen viene raggiunta da un giovane misterioso di cui non conosce le reali intenzioni.

Chi sperava di trovare nel settimo volume de "La spada della verità" i resoconti delle impavide gesta di Richard Rahl o i pettegolezzi freschi sulla sua comitiva non sarà soddisfatto prima delle ultime cento pagine. Spiazzante ma senza dubbio originale: il protagonista acclamato ed indiscusso della fortunata saga, infatti, non è che un personaggio marginale del volume. Il punto di vista è quello di Jennsen appunto, una ragazza praticamente priva di un'identità riconosciuta e di una vita propria. Il suo cognome è Rahl e suo padre, Darken, ha cercato di farla uccidere dai suoi quadrati fin dal giorno in cui ha saputo della sua esistenza. Tra fughe precipitose e immani sacrifici, Jennsen ha vissuto nel costante terrore di venire trovata e uccisa. Sua madre, unica persona che si curi di lei, l'ha addestrata all'uso del coltello nel timore, fondato, che prima o poi uno scontro armato sia inevitabile. Alla morte di Darken Rahl, la vita per le due giovani donne diventa ancora più dura, perché al tiranno succede Richard Rahl, un uomo ancora più temibile a sposato con una donna di rara crudeltà, la Madre Depositaria in persona.
Il totale capovolgimento dei punti di vista è la caratteristica principale e senza dubbio vincente di questo volume. Richard è il nemico, il "cattivone" di turno, e obiettivo della protagonista è quello di sfuggirgli e, se possibile, eliminarlo. Terry Goodkind ha abilmente intorbidito le acque e trasformato una sorta di esercizio di scrittura in un volume scorrevole e piacevolmente misterioso, perché imperniato sulla nozione, che non verrà chiarita fino all'ultimo, di "buchi nel mondo" o Pilastri della Creazione (titolo completo, in lingua originale, del volume).
I punti a sfavore sono una scarsa verosimiglianza in alcuni passaggi e qualche spruzzo di banalità qui e là. Su una struttura del tutto originale, come ho detto, per via del ribaltamento dei ruoli, è imbastita insomma una trama che è parecchio lontana dalla perfezione. Il finale è immensamente scontato e inoltre un po' precipitoso, ma segue il resto della storia meccanicamente e in perfetta logica (e soprattutto coerentemente al carattere volubile della protagonista, che a parer mio non brilla particolarmente per intelligenza).
Io non stravedo per la saga di Goodkind, ma ho trovato soprattutto quest'ultimo volume una lettura abbastanza piacevole e senz'altro leggera (solo 528 pagine e uno stile poco impegnativo).
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