«Le atrocità, gli orrori, i crimini più abietti non devono meravigliarti, Eugénie: quel che c'è di più sconcio, di più infame e di più proibito dà alla testa che è un piacere... e ci fa sempre orgasmare nella maniera più deliziosa.»
Se dovessi definire con un aggettivo quest'opera, il primo che mi viene in mente è "agghiacciante". In un boudoir, stanzetta in cui le donne solevano imbellettarsi, sofisticate, superficiali e annoiate dalla vita del buon borghese, fatta di feste, cene, teatri, la giovane Eugénie viene educata al "libertinismo". Di cosa si tratta? Il libertinismo implica la distruzione di tutti i valori morali condivisi, primo tra tutti il pudore nella sessualità: non si tratta di vivere una sessualità libera da ogni pregiudizio, ma si tratta di fare sistematicamente tutto ciò che è proibito, con lucidità, con freddezza. La pedofilia, la violenza, l'abuso diventano dei doveri: è l'antimorale di Sade, il sadismo. Il sadico non è colui che ha una vita sessuale libera, ma è l'ateo, il criminale, il blasfemo. Protagonista del romanzo è sicuramente Dolmancé, l'educatore di Eugénie: è il leader del gruppetto costituito dai due, dalla signora di Saint Ange, dal fratello di lei, "il cavaliere" e da un servo molto dotato, Augustin. Nelle orge descritte molto dettagliatamente, non c'è nulla della passionalità, dell'estasi che ad esempio gli antichi greci esprimevano nei loro riti orgiastici. C'è, invece, la freddezza di un uomo, Dolmancé, il quale ritiene che l'altro sia soltanto un oggetto di cui servirsi per raggiungere il proprio piacere, non importa se questo soffra o goda, ed insegna agli altri a fare la stessa cosa, soprattutto alla sua allieva Eugénie. La crudeltà è razionalizzata, sistematizzata. L'uomo non conta nulla, né per gli altri, né per la natura, né per se stesso. L'uomo è un corpo di cui si può disporre come meglio si crede, e i valori morali e religiosi sono soltanto delle imposizioni ormai vecchie e pedanti, che non fanno bene all'uomo né alla società: una società veramente riuscita è quella che nega l'esistenza di Dio e tutto ciò che questa fede comporta. L'uomo è fatto per far soffrire, perché destinato a soffrire: può abusare degli altri perché ha subito abusi e perché poi, le vittime diventeranno carnefici, nel ciclo di vendetta e sangue che la natura ha voluto. E se l'umanità si estinguesse perseverando in questa condotta? Tanto meglio. La natura "tollera", con un certo disgusto, le sue creature, e poco importa che l'uomo esista o meno. Ritornando all'aggettivo "agghiacciante" credo che adesso sia più chiaro il perché lo abbia usato: il sadismo non è quella caricatura che si vede in TV, in cui ci sono tipi un po' eccentrici vestiti con borchie, armati di frustini, che dicono di vivere esperienze sessuali eccentriche. Il sadismo parte da una concezione antireligiosa, antimoralistica, della società e dell'uomo, sostenute e portate fino alle estreme conseguenze, fino all'annientamento dell'altro, e con le quali bisogna confrontarsi: è la parte oscura di noi, quella distruttiva, che reprimiamo ogni giorno, che ci hanno insegnato a sublimare in azioni positive, per il bene degli altri. Viviamo in questo meccanismo credendo che il male non ci riguardi, e quando veniamo a sapere di episodi di cronaca nera, omicidi cruenti, stupri o abusi sui bambini, pensiamo che sono dei pazzi, o dei pervertiti. Ma è proprio di questo che si tratta? La differenza tra noi "buoni" e i "malvagi" è una differenza sostanziale o è solo una differenza di grado? Se così fosse, de Sade non sarebbe un apologeta della perversione, ma un conoscitore dell'inferno che l'uomo porta in sé, e che aspetta il momento opportuno per uscire; rappresenta la scelta che l'uomo può fare, di buttarsi a capofitto nel proposito di agire contrariamente alla morale, con la stessa determinazione con cui un uomo religioso può decidere di agire nella santità. Non si tratta di liberare i propri istinti, ma di seguire l'antimorale, è la guerra contro la morale. Ciò che noi chiamiamo Male, Sade lo chiama Natura: ma è davvero questa la natura dell'uomo? Personalmente, i personaggi di quest'opera, in particolare Dolmancé, il più interessante senza dubbio, non mi sono sembrati naturali, ma determinati a sacrificare una parte di sé, per esaltare il piacere dato dalla distruzione: schiacciati dall'ipocrisia e dalla tirannia della morale, hanno costruito un'antimorale, ma il rischio è quello di essere schiacciati da una nuova tirannia, che reprime in senso opposto, ma con la stessa intensità, le pulsioni contrastanti dell'anima, umiliandola esattamente come la religione umilia il corpo. Non c'è armonia, ma cieca violenza. Il romanzo si conclude con un delitto, la vittima è la madre di Eugénie, che cerca di difendere inutilmente i valori morali in cui crede e che costituiscono le basi dell'educazione che ha dato a sua figlia. Ma, ormai, questa ha ricevuto, in un sol giorno, una nuova educazione, e la crudeltà del delitto ne sarà una dura dimostrazione. Dopo aver messo in pratica tutti i suoi insegnamenti fino alle più terribili conseguenze, Dolmancé dice:
«Che splendida giornata! Non mangio mai meglio, non dormo mai così bene come quando mi sono macchiato a sufficienza, durante il giorno, di ciò che gli sciocchi chiamano crimine.»