«Avevamo scambiato qualche frase senza capo né coda sulla letteratura moderna: sui timidi progressi della psicologia nel romanzo francese contemporaneo, sulle audacie di certi autori stranieri, ecc. Gli ho citato un recente articolo del "Temps" che accusa i giovani romanzieri americani di affrontare per puro capriccio argomenti "scabrosi" e del tutto "inverosimili". Al che lui ha risposto qualcosa di vago, ma con un tono inaspettatamente irritato, del tipo: "Io certa gente non la capisco, signor du Gard! A loro sembra sempre tutto inverosimile! Ma la vita non è fatta quasi unicamente di dettagli eccezionali?"»
Trattare un tema scabroso prevedendo, o piuttosto auspicando, di farne oggetto di scandalo: questo è il difetto di certa letteratura indelicata o modaiola, sempre intrinsecamente e snobisticamente borghese, che schiaffa sotto la lente d'entomologo l'immorale, lo sconcio, il perverso, e lo disseziona dalla cattedra professorale.
Non è questo il caso della "Confessione africana" di Roger Martin du Gard, che affronta il tema scabroso per eccellenza, il tabù di tutti i tabù: l'amore incestuoso. L'autore (premio Nobel per la letteratura nel 1937) riferisce di un incesto tra fratello e sorella delicatamente, quasi sottovoce, trasmettendo una straordinaria assenza di stupore, attraverso un racconto dall'architettura perfetta.
L'espediente letterario è un «caro amico» che invita insistentemente du Gard a inviargli qualcosa da pubblicare sulla sua rivista. L'idea di du Gard è riadattare, omettendo i luoghi esatti e i nomi reali, qualche vecchia pagina di diario, che sarebbe tuttavia incomprensibile senza qualche precisazione sugli antefatti. La prima parte del racconto, l'introduzione alla "confessione africana", è a sua volta racconto, magistralmente camuffato e disinvoltamente somministrato al lettore. Si legge della visita di du Gard, qualche anno prima, al nipote malato ricoverato a Font-Romeu, e della conoscenza in quell'occasione dell'italiano Leandro Barbazano e del nipote di questi, Michele Luzzati, ragazzo pallido e gracile, a sua volta ammalato.
La degenza dei ragazzi nella pensione di Font-Romeu e la morte del giovane Michele gettano le basi di un'amicizia che porterà du Gard e Barbazano, anni più tardi, a incontrarsi nella città nordafricana (la chiamerò Y, scrive l'autore, a designare Orano, Algeri, Costantina o Tunisi) in cui l'italiano gestisce una importante e sempre affollata libreria insieme al cognato Luzzati.
Luzzati e Amalia, la sorella di Barbazano, mostrano un'adiposa opulenza orientale e una tribù di bambini pasciuti e chiassosi tra cui l'autore stenta a immaginare il gracile primogenito Michele.
Du Gard e Barbazano partono insieme a bordo di un piroscafo per attraversare il Mediterraneo con meta Marsiglia. Dopo tanto preambolo si consuma qui, sul ponte silenzioso dell'imbarcazione e nell'aria tiepida e leggera della notte, la "confessione africana" che du Gard assicura al «caro amico» di riportare parola per parola. Il lungo monologo di Barbazano, mai interrotto dal giudizio o dall'interrogazione dell'interlocutore, racconta delle avventure amorose di un'adolescenza spensierata, e di cui Amalia, con cui il ragazzo condivideva la stanza da letto in cameratesca promiscuità, sapeva e taceva. «Eravamo proprio come due compagni», dice Barbazano, o come quelle vecchie coppie che non hanno segreti e sono cementate dall'intimità e la confidenza di un'intera vita trascorsa insieme. L'arrivo estivo di una delle ragazze del fratello, la magra e frizzante Ernestina che arriva a trascorrere la notte con Leandro alla presenza di Amalia, spacca l'idillio e instilla nella sorella un'aperta gelosia che raggela i rapporti tra fratelli, in un'oscillazione tra dispetto, noncuranza e voglia di lite. È la gelosia di un'amante tradita, è il preludio dell'esplosione di un'attrazione che viene raccontata con tutta la naturalezza della "normalità".
«... perché proprio quella mattina, in quel preciso momento, nel percorso fra il catino e il letto, ho improvvisamente pensato che mia sorella era una donna fatta come tutte le altre - anzi, che era infinitamente più desiderabile della magra Ernestina... L'ho buttata sul letto insultandola come se fossi ancora arrabbiato con lei. Mi ricordo che ha smesso tutt'a un tratto di dibattersi: è rimasta supina, senza nemmeno cercare di rialzarsi - e mi guardava fisso.»
Du Gard raccoglie la confessione e la riferisce fedelmente: mostra il desiderio di Barbazano di alleggerirsi di un segreto mai rivelato, non perché orribile o disumano, ma perché intimo e tenero. La Amalia del presente non somiglia più all'Amalia attraente e appassionata della gioventù e anche Leandro non è più il ragazzo in cerca di avventure o pazzo di amore. Il servizio militare di lui, il matrimonio forzato di lei, i figli, il tempo hanno aggredito quella bolla di amorosa felicità domestica fino a sgonfiarla. La vita è passata sulla relazione come una mano di vernice, appiattente e normalizzante, estinguendo i furori e fiaccando le confidenza, riducendo quell'avventura a un sogno di giovinezza, a cui guardare senza rimpianto ma senza pentimento, e con un po' di tenerezza. La costruzione di du Gard è un'occhiata lanciata in un passato intimo, nella polpa morbida di un frutto legnoso, una vita ormai adulta che ha conosciuto nostalgie e dolori, che ha attraversato la guerra. "Confessione africana" è un gioiellino, che nella sua folgorante brevità condensa abissi psicologici verosimili ed autentici, nonostante la risposta stizzita di Barbazano all'articolo del "Temps". Du Gard accarezza delicatamente la vita e ne trasmette la ruvidezza, la temperatura, la vibrazione, senza pesantezza né retorica, senza perbenismo né velleità sociologica.
«Tacque. E tutta la storia, quella sera, sotto quel bel cielo notturno, pareva in effetti così semplice che non ho trovato niente da dirgli.»