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domenica 7 febbraio 2016

Uccellacci e Uccellini, Pier Paolo Pasolini

Padre e figlio camminano per le vie della periferia romana, apparentemente senza una meta. Durante il loro cammino incontrano un personaggio particolare, un piccolo corvo che dice di abitare nel paese di Ideologia, nella città del futuro, la Capitale, in via Karl Marx al numero settanta volte sette, di essere figlio di Dubbio e Coscienza. I due popolani gli rispondono ironicamente: noi abitiamo al Borgo della Monezza, in via Morti de Fame, numero 23. Il corvo chiede loro il permesso di poter raccontare una storia, una storia di uccellacci ed uccellini.

Ai tempi di frate Francesco, un gruppo di monaci da lui guidati è in un prato a meditare e pregare.  Francesco ordina a due monaci (interpretati da Totò e Ninetto Davoli) di andare a predicare il messaggio evangelico agli uccelli. Bisogna convertire prima i falchi e poi i passerotti. I due monaci si incamminano giungendo al covo dei falchi. Fra’ Ciccillo (Totò) si inginocchia e comincia a pregare. Resta fermo lì per mesi mesi, passano le stagioni, arriva il caldo, poi l’inverno, poi di nuovo la primavera. Alla fine riesce a trovare il linguaggio con il quale comunicare agli uccellacci l’amore di Dio. Questi accolgono con entusiasmo il messaggio evangelico, così i due monaci possono proseguire nella loro missione.
Giunti presso un vecchio rudere abitato da Sora Gramigna, Sora Grifagna e Sora Migragna, i monaci incontrano i passerotti. Totò si inginocchia, comincia a pregare e cerca il modo di comunicare con gli uccellini. Anche in questo caso il tempo passa, attorno a Fra’ Ciccillo si crea un luogo di culto tra il sacro e il profano, con altari, ceri, mercatini, spettacoli di artisti di strada. Il monaco si alza e distrugge il mercato, seguendo l’esempio di Gesù. Dopo mesi e mesi di preghiera, il Fra' Ciccillo finalmente comprende che i passerotti non comunicano cinguettando ma saltellando. Così apprende il loro linguaggio e comunica l’amore di Dio. I passerotti accolgono gioiosamente il messaggio cristiano.
Compiuta la loro missione, i due monaci sono pronti a tornare dal loro maestro, ma assistono ad un episodio sconvolgente: un uccellaccio attacca e ammazza un uccellino. Fra’ Ciccillo torna sconfortato da Frate Francesco, e gli riporta l’episodio. Gli uccellini amano Dio, ed anche gli uccellacci, ma non si amano tra di loro. Cosa possiamo fare, se c’è la classe dei falchi e quella dei passerotti, e se queste non possono andare d’accordo? San Francesco risponde che “Tutto ce poi fa’”:

Bisogna cambiarlo questo mondo. Fra’ Ciccillo è questo che non avete capito. Un giorno verrà un uomo dagli occhi azzurri e dirà: "Sappiamo che la giustizia è progressiva e sappiamo che man mano che progredisce la società, si sveglia la coscienza della sua imperfetta composizione e vengono alla luce le disuguaglianze stridenti e imploranti che affliggono l’umanità." Non è forse questa avvertenza, della disuguaglianza fra classe e classe, fra nazione e nazione, la più grave minaccia della pace? Andate e ricominciate tutto daccapo. In lode del signore.

La favola raccontata dal Corvo, un “intellettuale di sinistra prima della morte di Togliatti”, si conclude con i due frati che tornano indietro a predicare la pace tra la classe dei falchi e quella dei passerotti.

Ninetto, Totò e il Corvo proseguono nel loro cammino insensato, in una torrida giornata d’estate, nelle vie della triste e desolata periferia romana. Un deserto fatto di costruzioni fatiscenti, di piccoli e tristi bar, popolato da personaggi grotteschi: una ragazza che indossa un costume da angelo per una recita, un barista brutto fino alla crudeltà con dei capelli assurdi. Ragazzi che si esercitano a ballare al ritmo della tipica musica anni ’60, composta da Ennio Morricone, prendendo la “picciolata” al juke-box. Le vie del quartiere sono intitolate agli eroi locali: Via Benito la Lacrima (disoccupato), Via Antonio Mangiapasta (scopino), Via Lillo Strappalenzola (scappato di casa a 12 anni).

 In queste vie si consuma una storia di uccellacci ed uccellini. Il cammino senza senso di Totò e Ninetto, assume presto la forma chiara e distinta, con tutta la sua potenza favolistica e metaforica, dell’oppressione e dell’abuso, del dominio dell’uomo sull’uomo. I due innocenti popolani giungono in un casolare diroccato, fatiscente, in cui c’è una donna che cucina un nido d’uccelli per il marito, ridotto ad uno spettro scheletrico, mentre continua a gridare ai propri figli che sono a letto “Dormite, è ancora notte!” da ben tre giorni. Cerca di impedire loro di svegliarsi, perché non sa cosa come sfamarli. I due girovaghi rivendicano severamente il pagamento di alcuni debiti, cui i poveri passerotti non possono adempiere. Ma durante il loro cammino, la posizione degli uccellacci si rovescerà in quella di uccellini: si recheranno da un ricco signore, in cui si tiene una festa di “dentisti dantisti”, per contrattare il pagamento di alcuni debiti. Saranno assaliti da cani inferociti, gettati per terra e minacciati.

Questa è la storia che si ripete da secoli nelle periferie dimenticate, dall’epoca di San Francesco a quella del Corvo, intellettuale di sinistra che assiste ai funerali di Togliatti e all’indebolimento della presa del marxismo sulle masse. Assiste alla sclerotizzazione di un’ideologia che non riesce a farsi comprendere da quelli che dovrebbero essere i protagonisti del progetto politico che si prospetta attraverso questa narrazione. Il piccolo Corvo è imbarazzato nel vedere i soprusi che le classi povere fanno a quelle ancora più povere e nell’assistere al servilismo che queste stesse classi riservano ai potenti e ai ricchi. Durante il loro cammino, Totò dice che soltanto un ricco muore davvero. Quando un ricco muore, si crea un vuoto che fa avvertire agli altri la sua assenza. I segni della sua morte sono evidenti. Questo perché il ricco morendo ha perso qualcosa: gli è stata tolta la vita, ma la vita gli aveva dato delle cose, a lui è stato concesso il lusso di vivere. Quando muore un povero, invece, nessuno si accorge che è morto, perché egli in realtà non ha mai vissuto, è semplicemente passato “da una morte ad un’altra morte”.  
Mettersi in ginocchio di fronte a queste masse abbandonate a se stesse e cercare un linguaggio per poter comunicare l’amore tra l’uomo e l’uomo, la solidarietà, la cooperazione. Cercare una parola che unisca tra loro le classi subalterne, che le inciti all’emancipazione. L’intellettuale non parla il linguaggio delle masse, non le comprende e non è compreso. La predicazione dell’intellettuale di sinistra è un buco nell’acqua, un’eco che si scontra con uno spazio vuoto. L’intellettuale parla, parla, parla e nel frattempo il popolo, che guarda a lui con un misto di ingenua curiosità e atavico scetticismo, continua a menare la propria vita, che ostinatamente si afferma sempre allo stesso modo, come morte dell’altro, del più debole. In questa ostinazione sta l’innocenza morale del popolo pasoliniano: un’innocenza infantile, al di là del bene e del male. Se l’intellettuale segue le ragioni della coscienza, abitando l’iperuranio dell’Ideologia, il popolo segue le ragioni della vita, sorta con la sua incomprensibile testardaggine nel Borgo della Monezza, in via Morto de Fame. Quale linguaggio, azione, potrà unire questi due pianeti che seguono vie parallele che sembrano incontrarsi soltanto per sbaglio, in epoche della storia sempre troppo brevi? Perché questo sodalizio tra coscienza della miseria e miseria stessa sembra essere puntualmente fallimentare?
“Che ce possiamo fa’ se la classe dei corvi e quella dei passeretti non possono andare d’accordo?”.  “Tutto ce poi fa’”, risponde frate Francesco.
Durante il cammino del Corvo con i due protagonisti di questa favola densa di significato, che Pasolini introduce con la didascalia “Dove va l’umanità? Boh!”, il motto di Francesco sembra capovolgersi. Alla fine del film sembra che l’intellettuale non possa farci proprio nulla. Non ha la Verità, ha più domande che risposte. “Dove andate?”, chiede il Corvo a Totò e Ninetto, “Laggiù”, gli rispondono. “Ma dove? A destra, a sinistra, dritto?”, e loro, tautologici, “Laggiù”. Il corvo non sa dove stia andando la massa, e lo chiede a due emblematici esponenti, ma neanche loro lo sanno. Vanno laggiù, e questo è sufficiente ad intraprendere il cammino della vita, della storia. L’intellettuale fa loro delle prediche, racconta delle parabole, e il popolo dapprima lo ascolta, ma alla fine non ne può più.
Estenuati dalla logorrea del piccolo Corvo, dopo essere stati con una prostituta, i due protagonisti decidono di mangiarlo. Dell’intellettuale di sinistra prima della morte di Togliatti restano soltanto i resti bruciacchiati, mentre Totò e Ninetto, sazi, contenti ed innocenti, tornano allegramente a casa.


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