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domenica 14 febbraio 2016

"Una donna spezzata" di Simone De Beauvoir

«Prima, non uscivo granché dal mio guscio, ma quando ne uscivo, tutto m'interessava: i paesaggi, la gente, i musei, le strade. Adesso sono una morta. Una morta che dovrà tirare avanti ancora per quanti anni? Già una giornata mi sembra tanto: quando apro un occhio, al mattino, mi sembra impossibile arrivare sino alla sera. Ieri, mentre facevo il bagno, il solo fatto di sollevare un braccio mi poneva un problema; perché sollevare un braccio? Perché mettere un piede davanti all'altro? Quando sono sola, resto immobile sull'orlo del marciapiede, per parecchi minuti di seguito, totalmente paralizzata.»

Monique, protagonista di questo romanzo straziante, è una donna spezzata: in frantumi sono il suo orgoglio, i suoi nervi, la sua vita quotidiana, ma cosa assai più grave, in frantumi è il suo stesso io, la sua individualità. Dalle prime pagine, il suo essere inizia ad assottigliarsi, a sfilacciarsi, e al finale non ne rimane che una traccia appena percettibile, informe, che lei stessa non sa riconoscere.
Tra i quaranta e i cinquant'anni, con due figlie ormai grandi e lontane da casa, Monique scopre che suo marito frequenta un'altra donna. Regge il colpo con dignità e pacatezza, senza scenate e con molte concessioni, cullata dal mantra standard che le arriva da ogni parte - È normale che il marito tradisca la moglie! - e dalla solida speranza che, stanco della nuova avventura, Maurice tornerà presto da lei. Ma giorno dopo giorno, la relativa serenità e

il clima disteso si incrinano sempre più: mezze frasi, coperture saltate, indizi e ricordi che a posteriori acquisiscono un senso fanno comprendere a Monique che la verità è ancora più atroce. Il tradimento di Maurice non dura da poco e non è neanche il primo. Il marito, che sembra pieno di senso di colpa, buona volontà e una certa forma di devozione alla moglie, si mostra per un fedifrago seriale, avvezzo a nascondere la verità, incapace di tutelare veramente Monique e i suoi sentimenti.
Da questa improvvisa solitudine alla disperazione è un passo: perché Monique sente che è troppo tardi. Se avesse saputo otto anni prima, quando tutto è cominciato - dice a se stessa, un po' per consolazione, un po' per rimprovero - avrebbe potuto avere anche lei altri uomini, cercare un lavoro, altri amici e interessi, e avrebbe avuto accanto le sue figlie. Ma lei non ha nulla di tutto questo, lei non ha nulla, e crede sia troppo tardi per potere conseguire qualsiasi cosa. La vita stessa, questo contenitore che a rigore si può riempire di qualunque cosa, per Monique è soltanto un vaso vuoto che niente può più colmare, che varrebbe forse la pena infrangere del tutto, se una sottile traccia di vitalità, un moto interiore inspiegabile non la tenesse cocciutamente attaccata alla sopravvivenza, seppure nell'abbandono, seppure nell'angoscia.
Il grande dolore di Monique non è causato solo dalla perdita di un uomo o dall'improvviso vuoto umano che le si è fatto attorno - ora che le figlie sono distanti, i conoscenti sanno e parlano, le amiche consigliano con reticenza e tracce di malevolenza - o dalla frantumazione di una routine quotidiana tutto sommato serena e tranquilla. No: non sono amore famiglia e vita quotidiana, è Monique stessa che è perduta. Sì, perché lei non è mai stata altro che questo: moglie e madre. Lasciati gli studi per la vita familiare, senza un lavoro né il desiderio mai di averlo, la sua unica ambizione era educare nel modo migliore le due figlie e vivere serenamente col marito, stretta a lui da un patto inviolabile e reciproco di eterna fedeltà. Era soddisfatta delle due figlie: le parevano una ragazza romantica fatta per gli affetti domestici e un'altra libera e con un brillante avvenire professionale davanti a sé. Adesso, nel vortice che ha travolto tutto seminando solo domande e sensi di colpa, a Monique la maggiore 
appare una fallita, una casalinga affatto brillante che pur di avere la sicurezza di una famiglia ha sposato il primo mediocre ragazzo che le fosse passato a tiro; e la minore, una ragazza cinica e quasi spietata, che si divide tra lavoro, frivolezze e incontri privi di calore umano. E il proprio io, questa donna che le pareva soddisfatta e serena, questa moglie-madre perfetta, rassicurante e sensibile, premurosa e chioccia, questa donna che non viveva per altro che per i suoi cari, adesso appare a se stessa una matrona autoritaria e invadente, che ha ridotto la figlia maggiore a un fantoccio senza aspirazioni e costretto la minore a fuggire verso la libertà, oltreoceano. Questa donna, questa moglie, che non è altro: a cosa le servirà la vita ora che Maurice ama un'altra?
Simone De Beauvoir
Saprà questa donna reinventarsi? Inventare un'altra se stessa, che abbia bisogno degli altri ma senza dipenderne ottusamente? Non lo sappiamo: di lei sappiamo che non ha più certezze, né sugli altri né su di sé, né sul suo avvenire. Prostrata nei nervi e nel fisico, la vediamo logorarsi in un tormentoso viluppo di richieste dell'amante di lui che diventano pretese, di contese per i minimi tempi e spazi vitali, di umiliazioni e sottomissioni forzate, quando ogni tentativo di ribellione e ogni rivendicazione è bollato con un altero: Non fare scenate. È straziante passare per queste pagine fatte di bugie, impotenza e affronti, è doloroso accompagnare Monique in questo viaggio verso la distruzione di sé stessa che non arriva che a un misero barlume di rinascita futura. L'ultima cosa che leggiamo di lei è la sua paura: della solitudine, del nulla, del domani. La più grande lezione che questo libro doloroso ci ha insegnato è quella dell'indipendenza. È un libro atroce e vero, rapido e traumatico: una sorsata alcolica che brucia e spalanca la visuale. Un libro necessario, puro come un diamante.

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