Impropriamente noto come "I diari della motocicletta", "Latinoamericana" non è un testo politico ed è praticamente scevro da tecnicismi e asserzioni ideologiche o dottrinarie: non espone una verità già conquistata o un'ideologia già acquisita. È un testo snello, a volte poco più sviluppato di un semplice taccuino di appunti, uno zibaldone di pensieri sparsi e un resoconto asciutto e sbarazzino di un viaggio, ma soprattutto, è il racconto dell'acquisizione di un'ideologia, della maturazione di un pensiero che il giovane Ernesto Guevara ha sviluppato nel corso di un lungo e avventuroso viaggio per l'America Latina: è in questo senso che "Latinoamericana" rappresenta un testo cardine del cosiddetto guevarismo.
Alberto Granado (detto Mial), un giovane biochimico, e il suo amico Ernesto Guevara, non ancora il Che ma
Fuser, uno studente in medicina prossimo alla laurea, lasciano Buenos Aires in sella alla Poderosa II, una Norton 500 M18 del '39, con un bagaglio essenziale e grandi scorte dell'immancabile mate. È il 4 gennaio 1952 e l'America Latina è martoriata e dissanguata dalle multinazionali, gli indios conservano una percezione triste e rassegnata della propria identità culturale, gli operai e i mineros si assoggettano placidamente allo sfruttamento degli yankee e alle devastanti condizioni in cui versano, bisognosi di lavoro. Il giovane Ernesto non ha ancora nozioni esaurienti di tutto questo, ma la realtà dolorosa dell'America Latina è quanto apprenderà dal lungo e avventuroso viaggio. In otto mesi, lui e Alberto attraversano Chile, Perù, Colombia e infine Venezuela, prima in moto e poi a piedi, scroccando passaggi, imbarcandosi come clandestini, perfino arrivando in un'isolata circostanza a pagare un biglietto! La meta è il lebbrosario di San Pablo, in Perù, dove i due giovani intendono prestare opera di volontariato per un paio di settimane. Come per ogni viaggio che sia degno di essere definito tale, l'importante non è l'arrivo a destinazione ma tutto quanto si trova lungo la via. Ernesto si rende conto realmente delle condizioni di quella che chiama Maiuscola America, e che ritiene sia un'unica grande terra, per certi aspetti omogenea, suddivisa fittiziamente in Stati artificiali e inutili. La miseria e l'ingiustizia che imperversano nel continente fanno fermentare in lui quelle vaghe nozioni su socialismo, marxismo, fanonismo. Le condizioni amare e umilianti degli indios esacerbano i sentimenti di Ernesto verso l'imperialismo, lo sfruttamento dei mineros gli fa comprendere ed odiare la natura del capitalismo. Le sue "Notas de viaje" sono appunti frettolosi sulle sue avventure, intercalati da qualche riflessione sull'ideologia che inizia a comporsi e consolidarsi nel suo animo, come reazione alle molte ingiustizie di cui è per la prima volta testimone oculare. È durante il viaggio con Alberto Granado che nasce il Comandante: la persona che rientra a Buenos Aires nella tarda estate del '52 non è lo stesso giovane perplesso e indeciso che era partito otto mesi prima. La storia e la lotta di Che Guevara stanno per incominciare.
Fuser, uno studente in medicina prossimo alla laurea, lasciano Buenos Aires in sella alla Poderosa II, una Norton 500 M18 del '39, con un bagaglio essenziale e grandi scorte dell'immancabile mate. È il 4 gennaio 1952 e l'America Latina è martoriata e dissanguata dalle multinazionali, gli indios conservano una percezione triste e rassegnata della propria identità culturale, gli operai e i mineros si assoggettano placidamente allo sfruttamento degli yankee e alle devastanti condizioni in cui versano, bisognosi di lavoro. Il giovane Ernesto non ha ancora nozioni esaurienti di tutto questo, ma la realtà dolorosa dell'America Latina è quanto apprenderà dal lungo e avventuroso viaggio. In otto mesi, lui e Alberto attraversano Chile, Perù, Colombia e infine Venezuela, prima in moto e poi a piedi, scroccando passaggi, imbarcandosi come clandestini, perfino arrivando in un'isolata circostanza a pagare un biglietto! La meta è il lebbrosario di San Pablo, in Perù, dove i due giovani intendono prestare opera di volontariato per un paio di settimane. Come per ogni viaggio che sia degno di essere definito tale, l'importante non è l'arrivo a destinazione ma tutto quanto si trova lungo la via. Ernesto si rende conto realmente delle condizioni di quella che chiama Maiuscola America, e che ritiene sia un'unica grande terra, per certi aspetti omogenea, suddivisa fittiziamente in Stati artificiali e inutili. La miseria e l'ingiustizia che imperversano nel continente fanno fermentare in lui quelle vaghe nozioni su socialismo, marxismo, fanonismo. Le condizioni amare e umilianti degli indios esacerbano i sentimenti di Ernesto verso l'imperialismo, lo sfruttamento dei mineros gli fa comprendere ed odiare la natura del capitalismo. Le sue "Notas de viaje" sono appunti frettolosi sulle sue avventure, intercalati da qualche riflessione sull'ideologia che inizia a comporsi e consolidarsi nel suo animo, come reazione alle molte ingiustizie di cui è per la prima volta testimone oculare. È durante il viaggio con Alberto Granado che nasce il Comandante: la persona che rientra a Buenos Aires nella tarda estate del '52 non è lo stesso giovane perplesso e indeciso che era partito otto mesi prima. La storia e la lotta di Che Guevara stanno per incominciare.
"Latinoamericana" è una lettura facile e ispirante, ricca di aneddoti e di confidenze sincere che permettono al lettore di guardare da vicino il giovane Che ancora in formazione e di scoprire le cause della sua ferrea convinzione. È il resoconto di una scelta che diventa sempre più nitida, gradualmente più consapevole: la scelta tra il perseverare di un sistema ingiusto e vessatorio e la lotta ardente e rivoluzionaria. È un cult da non perdere.
«La notte, che si era ritratta al contatto con le sue parole, mi catturava di nuovo, confondendomi dentro di sé; ma, nonostante le sue parole, adesso sapevo... sapevo che nel momento in cui il grande spirito divino avesse separato con un abisso enorme l'umanità in due sole fazioni antagoniste, io sarei stato con il popolo; e so, perché lo vedo scritto nella notte, che io, eclettico dissezionatore di dottrine e psicanalista di dogmi, ululando come un ossesso, assalterò le barricate e le trincee, tingerò di sangue la mia arma e, pazzo di furia, sgozzerò tutti i vinti che cadranno nelle mie mani. E poi mi vedo, come se una stanchezza enorme sgretolasse la mia esaltazione, cadere immolato all'autentica rivoluzione standardizzatrice delle volontà, e pronunciare il "mea culpa" esemplare. Sento già le mie narici dilatate assaporare l'odore acre della polvere da sparo e del sangue, della morte dei nemici; già contraggo il mio corpo, pronto alla battaglia, e preparo il mio essere come se fosse un recinto sacro, perché in esso risuoni con vibrazioni nuove e nuove speranza l'urlo bestiale del proletariato trionfante.»
Nel 2004, Walter Salles ne ha tratto il film "I diari della motocicletta", diventato così celebre da soppiantare spesso il titolo originale del libro con quello dello stesso film (l'edizione seguente della Piccola Biblioteca Oscar Mondadori è appunto sottotitolata così, oltre a riportare un fotogramma del film in copertina). Nel soggetto sono confluite anche le informazioni tratte dal libro di Alberto Granado, "Un gitano sedentario (Con el Che por America Latina)". Il film ha ricevuto due nomination agli Oscar, vincendone uno per la miglior canzone ("Al otro lado del río").
Nella foto, Gael García Bernal nei panni di Fuser (Ernesto).
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