domenica 10 dicembre 2017

Black Friday - Le cose che una volta possedevi, ora possiedono te


Il sabato mattina dopo il Black Friday si lavora: non è un giorno qualsiasi. 
Se il Black Friday è la giornata in cui i commercianti, attraverso un'intelligente (per non dire scaltra) politica della promozione, invitano i consumatori ad entrare nei propri negozi, segnando l'inizio della stagione degli acquisti natalizi, il saturday successivo è il giorno in cui si innesca la vera e propria bomba. Entrambe le giornate sanciscono il via alla disumanizzazione: c'è chi si azzuffa per accaparrarsi una scopa elettrica scontata del 50%, chi trascorre la notte in accampamenti di fortuna messi a punto appena fuori dai centri commerciali, chi accende mutui per acquistare l'ultimo Iphone, chi attende davanti ad un monitor con diligenza maniacale l'esatto orario in cui questo o quel prodotto sarà scontato (sono le cosiddette offerte lampo), chi controlla minuziosamente la tracciatura del proprio pacco con il form per il reclamo già aperto su un'altra scheda del browser e chi, occupando una posizione aziendale di spicco, organizza veri e propri squadroni da combattimento che possano soddisfare la richiesta del mercato. 
Non si hanno notizie certe sull'origine del nome: forse Black Friday farebbe riferimento alle annotazioni dei libri contabili dei commercianti che, tradizionalmente, passavano dal colore rosso (indicante le perdite) al colore nero (indicante il guadagno). Denoterebbe, quindi, un venerdì particolarmente produttivo per le attività commerciali, che passerebbero dal "rosso" al "nero", dalla perdita al guadagno. Il primo Black Friday può esser fatto risalire al 1924, quando la catena Macy's organizzò la prima parata per celebrare l'inizio degli acquisti natalizi. Ma fu negli anni Ottanta che prese piede l'usanza di celebrare un Black Friday all'anno: il Paese capofila, gli Stati Uniti, lasciò quindi posto agli altri Paesi.
In quella giornata lo shopping diventa virale, nella misura in cui non si tratta più di acquistare qualcosa per necessità, ma semplicemente perché sarebbe assurdo non comprare, se si ha uno sconto! Allora si compra per il gusto di comprare. I siti internet di e-commerce, che pubblicizzano l'evento mesi prima, arrivato quel giorno, propongono nel layout della propria home page una serie di categorie, da cui il consumatore può attingere tutta una serie di consigli per gli acquisti: stai arredando casa? L'immagine di un sofà ti indicherà la categoria relativa agli oggetti per la casa: schiaccianoci di design, tovaglie antimacchia, decorazioni per il bagno in stile shabby chic (l'ultima moda in termini di arredamento), ombrelli che si aprono al contrario, profumatori per ambiente. Basta cliccare il tasto "compra", compilare qualche form e il gioco è fatto. E a spese ridotte! Non solo si ha uno sconto considerevole, ma le spese di spedizione (previste sempre, se si acquista online), per il Black Friday, sono gratuite. Siamo tutti felici quando il nostro pacco arriva direttamente sulla soglia di casa nostra e noi siamo lì, in pigiama, ad accogliere il corriere mentre fuori piove.


The future of commerce!

Più trovata pubblicitaria di questa, signori, non so cosa ci possa essere! E i retroscena sono preoccupanti: chi lavora behind the scenes, sa benissimo che non è tutto rose e fiori. D'altronde, il Black Friday si fonda su una concezione capitalistica e consumistica della realtà, the american dream: lavorare per lavorare, insomma. Dove non contano valori come la sicurezza o l'efficienza, ma conta l'how much and how, da tenere assieme, come due facce della stessa medaglia. How much and how diventa il motto dell'operaio, del corriere, del portapacchi, che pur di mantenere il proprio posto di lavoro scendono a compromessi inaccettabili. Lavorare tanto, ma mantenere una resa alta, anche se l'attenzione cala, anche se la stanchezza aumenta.
La disumanizzazione, così, passa anche attraverso il lavoro. Il picco di lavoro dura pochi mesi, per cui le aziende devono scegliere tra due possibilità: assumere personale precario da impiegare appositamente durante il picco di produzione (e con il Jobs Act, almeno in Italia, non è più un problema) oppure sottoporre il proprio organico già consolidato a ritmi incessanti, previo pagamento di somme incentivanti (straordinari o flessibilità che dir si voglia). Ma il lavoro non è solo la riscossione di uno stipendio: è crescita, progettualità, impegno, fiducia. In entrambi i casi, è sempre il dio denaro a vincere, dal momento che al lavoratore vengono sottratti proprio questi valori che fanno del lavoro ciò che nobiliterebbe l'uomo: il precario per la propria condizione di instabilità, che si traduce in un guadagnare tanto, ma per poco tempo; il lavoratore consolidato per la situazione in cui si viene a trovare, quella in cui guadagna tanto, ma senza la possibilità di godere del proprio denaro. 
Soluzioni? Ce ne sarebbero tante, ma andrebbero a discapito di chi sovvenziona questo modus operandi. È un circolo vizioso: il più potente stabilisce i termini, il più debole ne accetta passivamente le condizioni. 

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