Una delle principali attività di noi giovani disoccupati –
purtroppo siamo un gruppo ben nutrito – è quella di cercare un lavoro. Diversi
sono i canali, le piattaforme di ricerca. Una delle principali è internet:
numerosissimi sono i siti che pubblicano annunci di lavoro, e noi impieghiamo
molto del nostro tempo a leggere le diverse offerte, cercando di capire se non
sono delle truffe, se fanno al caso nostro, se abbiamo i requisiti per poterci
candidare. Diverse sono le analisi e le valutazioni che facciamo
nell’impegnativa, faticosa e tediosa lettura delle moltitudini di offerte e
proposte che vagano per il web. In questo post vorrei tentare un tipo di
analisi diversa: un’analisi del linguaggio degli annunci di lavoro, della
terminologia, cercando di dare un senso complessivo a questo inafferrabile,
liquido “gioco linguistico”. Navigando su internet ci imbattiamo in un’infinità
di annunci diversi, che però a mio avviso presentano delle costanti. Isolerò
alcuni dei sostantivi e degli aggettivi che mi sembrano particolarmente
emblematici e di cui, con una veloce ricerca, potrete verificarne
l’onnipresenza.
OFFERTA 1: Operatore telefonico. Requisiti:
- - Buone capacità relazionali e comunicative
- - Forte predisposizione a lavorare in team e al guadagno
- - Capacità di ascolto e di gestione del colloquio telefonico
- - Capacità di convincimento
- - Attitudini all’attività di vendita
- - Massima serietà
- - Solarità, dinamicità e tenacia
OFFERTA 2: Addetto alle vendite
- - Spiccate capacità relazionali e di leadership
- - Flessibilità
- - Predisposizione al lavoro in team
- - Attitudine al problem solving
- - Determinazione al raggiungimento degli obiettivi
- - Creatività
- - Orientamento al cliente
- - Doti organizzative e di pianificazione
OFFERTA 3: Risorse Umane
- - Familiarità con i più moderni supporti informatici
- - Propensione al lavoro in team
- - Precisione, professionalità, affidabilità
- - Riservatezza
- - Flessibilità, proattività, assertività
- - Ottima capacità relazionale
- - Livello inglese buono/autonomo
Provando a
fare un’analisi di questi tre annunci , la prima cosa che mi colpisce è la loro
sostanziale omogeneità: non soltanto per quanto riguarda il modello di scrittura
utilizzato, il che è comprensibile, ma anche riguardo ai contenuti. Sono tre
offerte diverse, che riguardano tre differenti lavori, eppure sono richieste
più o meno le stesse “competenze”. Scrivo competenze tra virgolette perché non
mi sembra che si richieda una determinata preparazione, quanto piuttosto
determinati atteggiamenti psicologici: ad un operatore telefonico non si chiede
la conoscenza della lingua italiana ( che ingenuamente mi sembra l’unica
competenza di cui il candidato dovrebbe essere dotato), ma la “flessibilità”,
la “capacità relazionale”, “solarità, dinamicità e tenacia”. Al venditore viene
richiesta la capacità di “leadership” e all’addetto alle risorse umane viene
richiesta la “proattività” e l’ “assertività”. Questi annunci non ti chiedono
di saper fare alcune cose, ma di essere in un certo modo. Ti chiedono di
aderire ad un modello comportamentale che è considerato adeguato alla mansione
da svolgere. Un modello astratto, che vale per ogni lavoro, più o meno
qualificato: prima di capire quali sono le tue competenze è importante capire
se puoi essere ciò che noi ti chiediamo di essere.
Ma chi dobbiamo
essere? Qual è il modello, il “tipo”, che emerge dagli aggettivi e dai
sostantivi impiegati in questi annunci? Per tentare una risposta a questa
domanda dobbiamo cercare di capire cosa questi vocaboli significano, a quale
mondo, a quale contesto si riferiscono. Dobbiamo cercare di riportare queste
parole fluttuanti e disincarnate al concreto mondo del lavoro, nella sua
complessità e drammaticità. Cosa significa, ad esempio, “flessibilità”? Il
termine flessibilità fa parte del lessico del mondo del lavoro da un po’ di
tempo: in una società post-capitalistica o post-industriale il lavoro è
diventato “flessibile” e dobbiamo accogliere questo cambiamento con realismo.
Non è più possibile, si dice, svolgere il medesimo lavoro dalla maggiore età
alla pensione, nella stessa azienda, con la stessa mansione. Bisogna essere “flessibili”!
Adattarsi all’idea di cambiare lavoro, azienda, mansione, località di
residenza. Essere “dinamici”, disposti a spostarci continuamente da un impiego
all’altro, senza sosta, per tutta la vita. “Flessibilità” significa per i
lavoratori incertezza, precarietà, impossibilità di accumulare esperienze, di
crescere. Un continuo e frustrante dover ricominciare sempre daccapo. La
flessibilità, per chi la subisce, altro non è che rassegnazione alla
precarietà.
Questo lavoratore che non nutre alcuna premura per il tipo di
contratto che gli viene proposto dal datore (il tipo flessibile) deve anche essere
dotato di una personalità “assertiva”. Non sono una psicologa, quindi non mi
addentrerò in una maldestra spiegazione delle caratteristiche di questo modello
comportamentale. Voglio concentrarmi sul significato concreto che, a mio
avviso, questo termine assume in un contesto lavorativo. Il giudizio assertorio
è quello che attesta un dato di fatto: «È così» o «Non è così». In un contesto lavorativo è dunque richiesto
che il lavoratore sia in grado di affermare o negare determinati dati di fatto,
che sia capace di convincere gli altri della veridicità delle sue asserzioni e
che, partendo da queste, possa approntare determinate strategie (“proattività”,
capacità di “problem solving”). Quale spazio riserva una personalità assertiva
alle domande? Ai dubbi? Qual è il suo senso della possibilità? La sua capacità
di giudizio etico o estetico? Il datore
non richiede queste “competenze”: non è necessario che il lavoratore sia
incline a porsi dei dubbi, a formulare giudizi diversi da quelli assertori, a
muovere delle critiche o sollevare delle obiezioni. Non sono richieste queste
capacità razionali, o forse, è richiesto che non si sia dotati di tali
capacità.
Nel 1955
Herbert Marcuse scriveva in Eros e
Civiltà che il principio di realtà teorizzato da Freud si è trasformato, nella società di massa tecnologizzata, in principio di
prestazione. Aderire al senso di realtà significa ignorare le proprie
inclinazioni, reprimere il principio di piacere, per far sì che il
comportamento adottato quotidianamente sia conforme a quello che la società ci
chiede. Non sono ammesse personalità eccentriche, deboli, dubbiose, insicure,
fantasiose perché tendono a disperdere le energie, a non incanalarle
nell’obiettivo stabilito, mettendo in discussione l’obiettivo stesso. Il principio di prestazione si concretizza
negli annunci di lavoro, nei colloqui in cui ti chiedono «Quali sono le tue
ambizioni?» - come se fosse scontato, se non d’obbligo, avere delle ambizioni –
indagando la tua psiche, i tuoi desideri, piuttosto che le tue competenze. Il
principio di prestazione ha organizzato il modello cui tutti dobbiamo aderire
completamente, pena l’esclusione dal mondo del lavoro, con tutta la frustrazione
e il senso di inadeguatezza che tale esclusione comporta.
Vorrei
concludere questo post con una mia personale offerta di Non-lavoro, un umile invito a liberarsi dall'opprimente angoscia causata dal sacrificio ( di sé, del proprio tempo, delle proprie energie) che il lavoro richiede, a chi ce l'ha e a chi lo cerca. Un invito a dare sfogo a tutte le capacità e ai desideri che continuamente siamo costretti a soffocare.
AAA Cercasi perdigiorno. Requisiti:
- - Inflessibilità
- - Assoluta ignoranza dell’inglese e del pacchetto Office
- - Senso di inadeguatezza
- - Incapacità di leadership
- - Immaginazione
- - Radicale tendenza al dubbio, alla domanda e alla critica
- - Dispersione delle proprie energie
- - Totale mancanza di senso della realtà
Nessun commento:
Posta un commento