martedì 16 luglio 2013

"Il cavallino di fuoco" di Vladimir Vladimirovič Majakovskij

«Il bambino 
chiede al padre:
"Vorrei tanto un bel cavallo,
ho deciso che da grande
vorrò esser cavaliere.
E per questo a cavalcare
voglio adesso incominciare".
Anche il babbo si è convinto
e decidono
di andare
un cavallo
a comperare.
Colmi sono gli scaffali 
d'ogni sorta di balocchi;
nel negozio invece
ahimé
di cavalli non ce n'è!
Cosa dire?
Cosa fare?
Sì... dal maestro si può andare
che i cavalli sa approntare.»


Il cavallino di fuoco è una delle opere minori e meno conosciute di Majakovskij. Si tratta di un poemetto composto nel 1918, in forma di filastrocca, e apparentemente rivolto ad un pubblico infantile. Della tradizionale lirica infantile, infatti, Il cavallino di fuoco ha tutte le caratteristiche: la storia semplicissima, il protagonista bambino, la rima e soprattutto lo schema per cui ai personaggi iniziali se ne aggiunge sempre uno ulteriore (schema davvero caratteristico della letteratura per l'infanzia, come delle canzoni: basti pensare alla fiaba della gallina dalle uova d'oro, oppure alla canzone La fiera dell'est).
Chiunque conosca Majakovskij può però facilmente immaginare che Il cavallino di fuoco non è una filastrocca così innocente. Fin dai primi versi, infatti, il lettore è calato in un contesto preciso: un bambino (sicuramente non figlio di proletario) espone un capriccio al padre, che ha la possibilità e il piacere di assecondarlo.
Vediamo allora il bambino e il compiacente genitore recarsi in un negozio di giocattoli, dove il cavallino non si trova. Si richiede allora l'operato di un artigiano che realizzi il giocattolo: uno dopo l'altro vengono coinvolti (e si uniscono al gruppo) diversi lavoratori, dal falegname al fabbro al pittore, dal momento che il lavoro di uno solo di essi non è sufficiente. Infatti, l'operaio della cartiera può offrire il cartone per l'ossatura del cavallino, ma i chiodi dovrà metterli il fabbro; allo stesso modo, bisogna rivolgersi ad un falegname per avere le ruote di legno, mentre un altro artigiano deve offrire dei ciuffi per realizzare coda e criniera, e il pittore è il solo che può completare l'opera dipingendo il cavallino di colori sgargianti.
Il tema centrale del poemetto si affaccia allora con prepotenza: la funzione e il valore del lavoro tecnico e manuale, verso cui Majakovskij nutriva profondo rispetto e al quale dedicò numerosi componimenti e versi (Il poeta è un operaio, ad esempio, oltre ai mille e sparsi riferimenti al carbone e alla nafta di Baku). L'opera del tecnico non è inferiore né superiore a quella dell'intellettuale: sono entrambi ingranaggi fondamentali, senza i quali la grande macchina del sociale si fermerebbe. Allora, tra significato letterale e metafora, leggiamo: 


«Cavalcare: 
una parola!
Non si corre senza ruote.
Vi provvede il falegname
con prontezza e precisione.
Svelto e alacre in un minuto,
taglia, pialla,
sega, lima...
e le ruote eccole qua.»

Il retroterra marxista di Majakovskij emerge con chiarezza dalla contrapposizione tra la classe di appartenenza del piccolo protagonista (evidentemente borghese) e quella dei diversi lavoratori, così come dalla nobilitazione del lavoro in quanto tale. Ma Il cavallino di fuoco ha una morale più specifica: l'obiettivo sarà conseguito (cioè il cavallino bramato dal bimbo realizzato) solo a patto che tutti i diversi artigiani collaborino.
Qui emergono l'acutezza di Majakovskij e il suo sarcasmo, sempre in agguato, anche dietro i componimenti più innocenti (sullo stesso registro simil-infantile sono state composte Amore nella marina militare e Fiaba su un Cappuccetto Rosso, mentre esplicitamente rivolta all'infanzia e fortemente ideologica è la Fiaba su Petja, bimbo grassone, e Sima che invece è come un chiodo del 1925). Il vero significato de Il cavallino di fuoco è lampante anche per il lettore disattento: né più né meno che "lavoratori di tutto il mondo unitevi!" (o, più "laicamente", l'unione fa la forza).


«Per nessuno c'è più tregua,
la giornata è laboriosa
col migliore materiale
costruito è l'animale.
Tutti insieme in gran daffare
incollando e ritagliando
or preparan zampe e dorso
or gli mettono un gran morso.»

Come scriveva Majakovskij in una bellissima lirica:


«L'arma nostra
è la solidarietà di uomini
diversi per lingua,
ma
uguali per classe.» 

Anche nel Cavallino, l'arma-strumento indispensabile per conseguire la vittoria è la stessa. Benché stilisticamente e artisticamente subordinata ad altre opere maggiori e più famose, Il cavallino di fuoco è una perfetta sintesi dell'opera di Majakovskij nel senso che in esso riconosciamo tutte le sue costanti: il fine pedagogico ed educativo della poesia, innanzitutto; la celebrazione della classe operaia; la speranza (se non la certezza) di un trionfo conseguibile attraverso gli sforzi congiunti. Il cavallino di fuoco desiderato dal bambino è il simbolo di un qualunque obiettivo, destinato ad essere mancato dal singolo ma raggiungibile dal collettivo. E di qui il lieto fine, quando il gruppo degli artigiani contempla il giocattolo ultimato:


«Trotta innanzi,
trotta indietro: 
com'è ardente il suo galoppo!»


Il falegname, il pittore, il fabbro e gli altri veri protagonisti
de "Il cavallino di fuoco" nella splendida edizione
illustrata da Flavio Costantini.

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