venerdì 26 aprile 2013

"Fight Club" di Chuck Palahniuk


L'anonimo protagonista è sul tetto dell'edificio più alto del mondo e con lui c'è Tyler Durden, «perfettamente bello, un angelo nella sua onnibiondezza» che gli tiene una pistola in bocca. Sotto di loro il palazzo è pieno di esplosivo, mancano pochi minuti alla deflagrazione. Questo è lo spaesante inizio di "Fight Club", un libro truce e contorto, cinico e profetico.
Il protagonista è anonimo e del tutto calato in una vita anonima, uno yuppie che trascorre i suoi giorni senza infamia né lode in conformità alla più pura american way of life. È demotivato e spento, ansioso e perseguitato dall'insonnia, legato solo al lavoro e perfettamente parte degli ingranaggi di una società capitalistica e consumistica in cui «le cose che una volta possedevi, ora possiedono te» e in cui ti adegui a fare un lavoro che detesti e che ti frustra solo per poterti permettere di comprare cazzate che non ti servono davvero. 
E poi, di colpo, arriva Tyler Durden. Misterioso e volitivo, imprevedibile e creativo, sembra cavalcare la linea sottile tra genio e squilibrio psichico. È convinto portatore di una filosofia di vita rigorosa.


«Il modo in cui la vedeva Tyler era che attirare l'attenzione di Dio per essere stati cattivi era meglio di non ottenere attenzione per niente. Forse perché l'odio di Dio è meglio della sua indifferenza. Se tu potessi essere o il peggior nemico di Dio o niente di niente, che cosa sceglieresti? Noi siamo i figli di mezzo di Dio, secondo Tyler Durden, senza un posto speciale nella storia e senza speciale attenzione. Se non otteniamo l'attenzione di Dio non abbiamo speranza di dannazione o redenzione».

Il protagonista non riesce a sopportare la vacuità e la molle insensatezza della sua vita. Prima cerca di ritrovare la serenità frequentando dei gruppi di sostegno per ammalati, sperando di uscire più vivo e felice dal confronto con chi sta obiettivamente peggio (e in uno di questi gruppi incontra Marla, protagonista femminile, con la quale si instaura presto un triangolo amoroso dai risvolti imprevedibili). Poi, il protagonista decide di appigliarsi ciecamente al suo nuovo amico:


«Oh, Tyler, ti prego salvami. [...] Liberami dai mobili svedesi. Liberami dall'artistico-funzionale. [...] Possa non essere mai completo. Possa non essere mai soddisfatto. Possa non essere mai perfetto. Liberami, Tyler, dall'essere perfetto e completo».

Il male e la violenza insensati sono meglio dell'insensato niente. Così nasce il primo fight club, la cui prima regola «è che non si parla del fight club». È un ritrovo di uomini che hanno perso ogni punto di riferimento e ogni energia vitale, uomini che lottando fra loro fino a spaccarsi i denti e deturparsi i volti recuperano la percezione del proprio potenziale fisico e psichico, la consapevolezza del proprio potere, la propria autostima, la propria identità. Paradossalmente, ritrovano sé stessi in un luogo in cui nessuno è sé stesso, perché il fight club è irreale ed etereo, tutelato da silenzio e dissimulazione. «Il fight club esiste soltanto nelle ore che vanno tra quando il fight club comincia e quando il fight club finisce».

Dopo una scazzottata, dopo aver massacrato un altro uomo o dopo essere stato da lui massacrato, il protagonista si sente rinato. «Dopo una sera al fight club ogni cosa del mondo reale si ridimensiona. Niente può farti incazzare. La tua parola è legge e se qualcuno viola quella legge o la mette in dubbio, non t'incazzi lo stesso». Lottare è una sorta di pratica zen, una forma di meditazione guidata, che dà al protagonista la forza di riformare la propria vita, di darle un nuovo corso.

«Il mio capo mi domanda: "In che razza di casino ti cacci tutti i fine settimana?"
È solo che non ho voglia di morire senza qualche cicatrice addosso, rispondo. Non serve più a niente avere un bel corpo intonso. Vedi quelle belle macchine con la loro bella carrozzeria virginale, fresche fresche di concessionario classe 1955 e a me viene sempre da pensare, Dio che spreco.»

Il fatto è che «forse l'automiglioramento non è la risposta. [...] Forse la risposta è l'autodistruzione». In una società che mercifica ogni cosa, che reifica l'uomo stesso nell'identificarlo con i suoi possessi materiali (la bella macchina e i mobili dell'Ikea), la soluzione è sfilarsi dal meccanismo. L'opposizione al modus vivendi dello yuppie è frontale, e si manifesta nella lotta; l'opposizione alla società, ai suoi ritmi e alle sue regole, si incanala nel Progetto Caos, l'evoluzione del fight club. Tyler porta la propria filosofia oltre il limite, la radicalizza, e finisce col porsi a capo di una vera e propria organizzazione di stampo terroristico e anarchico.
«Non c'è niente di statico. Perfino la Gioconda se ne va a pezzi.» L'abbandono dei personaggi a sé stessi è totale: il glaciale consumismo fornisce la materia prima per un nichilismo disperato, per uscire dal quale i protagonisti sono disposti a diventare dei criminali.

Chuck Palahniuk trasmette la sensazione straniante e alienata dei personaggi attraverso il suo stile caratteristico, fatto di cori che si ripresentano, di ripetizioni che tolgono naturalezza al racconto, di periodi e descrizioni scarni. Umorismo nero, dettagli macabri e squallidi, profusione di slang e turpiloquio. "Fight club" è un libro allucinato e allucinante, giocato sul filo del disagio psichico. È una critica ironica, poetica e feroce della società statunitense (e più in generale occidentale), è un urlo di malessere e sconforto. È davvero un grande libro.



Edito per la prima volta nel 1996 e subito riconosciuto come un'opera straordinaria ed esemplare, nel 1999 "Fight Club" è diventato un film diretto da David Fincher (interpretato da Brad Pitt, Edward Norton ed Helena Bonham Carter) e ormai considerato un cult.

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