Il rapporto complesso con Hegel non è l'unica venatura polemica che attraversa l'opera di De Sanctis (ed essendo la sua un'opera essenzialmente militante, le è in certa misura "connaturato" un antagonismo teoretico ed ideologico con altre interpretazioni dell'arte in generale e della vita culturale italiana in particolare). Gli anni dell'elaborazione teorica di De Sanctis si inseriscono in un quadro di crisi culturale, quella «crisi di fine secolo» che vede scontrarsi con attriti epocali gli agglomerati titanici del «positivismo soverchiante» (come ne scrisse Croce in Storia d'Italia), del giovane marxismo e di un rinascente e non esaurito idealismo.
L'aspra lotta si conduce sui terreni della letteratura e della critica letteraria, della filosofia della storia, dell'estetica. Immerso in tale temperie, De Sanctis decide di contrastare non solo l'impianto teorico hegeliano, a cui pure, quanto il giovane marxismo, è debitore, ma anche e conseguentemente le posizioni di Benedetto Croce in merito alla metastoricità dei quattro "concetti puri" dell'arte, della logica, dell'economia e dell'etica. Di contro a tale pretesa e alla tesi hegeliana dell'opera letteraria come pura forma, De Sanctis rivendica l'unità storicistica di forma e contenuto, di vita culturale e nazionale, e gli esiti storico-politici di tale unità con i quali si confronterà, pochi decenni più tardi, il Gramsci dei Quaderni.
L'affluente, tra i più importanti e controversi della cultura italiana, che discende da Hegel a De Sanctis e a Gramsci, riverbera nell'intervento di Togliatti alla Commissione culturale nazionale del Pci del 3 aprile 1952 (ricordato nell'introduzione al saggio "L'anima e il mondo"), nel quale l'allora segretario nazionale del partito affermò che la cultura socialista «è tale per il suo contenuto, ma è nazionale per la forma» e che «il pensatore di cui in questo campo dobbiamo saper valutare sia le posizioni progressive che i limiti, è prima di tutto Francesco De Sanctis».
Il saggio di Emiliano Alessandroni "L'anima e il mondo. Francesco De Sanctis tra filosofia, critica letteraria e teoria della letteratura" si inserisce in tale alveo, proponendosi di ripercorrere l'opera di De Sanctis ma soprattutto di affrontare la questione della sua eredità, della comprensione dei suoi limiti storici ma anche della validità della sua lezione. Alessandroni raccoglie la sfida del «diffuso antidesanctisismo di ritorno» partorito, o almeno germogliato sullo stesso terreno ideologico, di quella «condizione postmoderna» negatrice dell'universale ed esaltatrice del particolare. La filosofia del capitalismo maturo rigetta le grandi narrazioni, fa assurgere la negazione dell'ideologia ad ideologia, rifiuta alla storia ogni andamento progressivo e ogni tensione teleologica, rigetta l'istituzione tout court, demolisce l'assunto hegeliano del reale come razionale e lascia solo il pulviscolo del soggettivismo etico ed estetico a colmare l'immenso spazio vuoto, il pressoché infinito margine di manovra dell'immaginazione. Ormai celebrato il «funerale dell'idea», quella grossa macchina ottusa e coercitiva che intrappola e soffoca la soggettività, si può asserire che la «differenza» ha preso ormai il posto della «dialettica» e festeggiare, finalmente, il dispiegarsi di ogni libertà umana (individuale).
La crisi dell'oggettivismo, del realismo, della Ragione hegeliana porta con sé la «crisi della critica». Il Geist, l'universale respiro della storia, viene sostituito dall'«immediatezza dionisiaca» di cui scrive Giorgio Colli in Scritti su Nietzsche. Abbandonata ogni pretesa di rinvenimento di "vero" nell'"intero", sfuma la possibilità di rintracciare la razionalità del sensibile, l'oggettività nell'artistico. L'ontologia perde qualunque significato e l'attività esegetica perde qualunque valore e utilità pubblica. Da tale processo De Sanctis non può che restare travolto.
Alessandroni, che si offre come avvocato dell'«imputato De Sanctis», riporta la critiche mosse all'autore irpino (e, per mezzo di lui, a Gramsci e al marxismo in generale) da Asor Rosa in Il "diagramma De Sanctis" e il nostro:
«La letteratura italiana non può essere subordinata alla storia etica e civile della nazione italiana».
Questa tesi, così lapidariamente esposta, è l'indice di una temperie culturale che crocifigge l'intellettuale engagé e denuncia ogni contaminazione socio-politica (e, negli echi crociani, perfino storica) nella sfera letteraria ed artistica in generale. L'intangibilità di un'arte metastorica tutela questa dal rischio della disonestà intellettuale, della frode ideologica, del tentativo di subordinare, appunto, l'estetico all'etico.
Alessandroni denuncia la «liquidazione sommaria» di De Sanctis operata in nome di una guerra allo «storicismo - desanctisiano, crociano, gramsciano», a quella connessione tra filosofia, storia e politica screditata dal pensiero postmoderno e postideologico. "Liquidazione" che è necessario denunciare proprio e massimamente in quanto "sommaria": la frenesia anti-ideologica che condanna De Sanctis per presunto abuso di categorie etico-politiche nella critica letteraria e per eccessiva politicizzazione delle stanze sacre e apolitiche dell'arte, gli attribuisce grossolanamente la posizione di un'arte per statuto subordinata ad altro, che sia l'etica o la politica. La storicità dell'arte e la sua intrinseca unità di formale e materiale, rivendicate da De Sanctis, insieme all'analisi socio-politica dell'oggetto artistico, non sono sufficienti a privare l'arte di uno statuto autonomo o di una piena dignità ontologica, né ne hanno l'intenzione. Scrive De Sanctis:
«La moralità è una buona cosa. Ma l'essere stati l'Ariosto o il Machiavelli immorali, ha così poco a fare con la storia letteraria delle loro opere, come l'immoralità di Bacone ha poco a fare col suo Organo. Se ne può parlare per incidente, ma non a criterio del merito delle loro scritture».
Si legge qui la rivendicazione dell'autonomia dell'arte, insieme, ancora una volta, alla traccia di Hegel: sono le stesse leggi estetiche, che esclusivamente dalla natura dell'oggetto estetico discendono, a rivelare il «torpore spirituale» delle opere che abbiano una finalità estrinseca, estranea all'ambito dell'arte. È in tali opere che si verifica quella subordinazione dell'arte ad altro, che viene malamente imputata a De Sanctis, e che le rivela come oggetti non artistici in senso proprio, al pari di opuscoli di propaganda o romanzi a tesi scritti su commissione. L'autentico diagramma De Sanctis dimostra di essere, di contro alle semplificazioni che lo rendono facile bersaglio della critica postmoderna e dei detrattori della tradizione marxista e del realismo (socialista), tutto interno all'orizzonte estetico di ascendenza hegeliana, e il suo autore valorizza la pienezza ontologica dell'opera d'arte sia in qualità di critico letterario che in qualità di teorico.
Il saggio di Emiliano Alessandroni ripercorre la genealogia del pensiero debole, mostra filiazioni e contraddizioni da Nietzsche a noi, riprende le critiche più o meno fondate all'approccio desanctisiano alla cultura e vi risponde puntualmente, sorretto da una bibliografia estesa e da uno stile espositivo allo stesso tempo minuzioso e chiaro. È un saggio militante, che non si limita a fare storia della letteratura, ma guarda al presente con acutezza e rigore teorico. "L'anima e il mondo" è una lettura che illustra ed interroga: sul senso della letteratura e sulla politicità dell'arte, su alcune categorie culturali e politiche in uso oggi, sulla possibilità e sulla necessità di recuperare un orizzonte comune e un senso collettivo dell'esistere e del fare arte. È facile ammirare questo saggio per la sua solidità, specie nei giorni culturalmente travagliati dell'individualismo neoliberista come somma libertà, della pretesa "trasversalità" del politico, dell'impoliticità assurta a patente di onestà intellettuale, della demonizzazione dell'ideologia e perfino della negazione per essa di ogni residuo significato storico.
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