L’articolo indeterminativo del titolo del romanzo,
pubblicato nel 1892, ci porta subito al cuore dell’opera. "Una vita" indica sia
la non originalità della vita narrata, una vita come tante, di un impiegato
qualunque in una banca qualunque di una città qualunque, ma anche
l’indeterminatezza di questa vita. Non solo l’anonimato di un’esistenza
riproducibile su larga scala, esattamente come una merce, ma anche l’incapacità
di questa esistenza di darsi una forma, di aderire ad un ruolo sociale, di
scegliere. Una vita è la storia di un uomo la cui esistenza non è che la
negazione della vita stessa.
Alfonso è un giovane di
provincia che si trasferisce in città per lavorare in una prestigiosa banca, la
Maller & Co. Sin dai primi giorni del suo lavoro alla corrispondenza sente
quell’attività come insopportabile: trascrivere per un’intera giornata le
stesse parole, con lo stesso linguaggio freddo, sterile, incomprensibile, porta
la mente del giovane a distrarsi. Non riesce a concentrarsi sul lavoro che sta
facendo e, in quelle poche occasioni in cui riesce, tutto il peso della fatica
e dell’insensatezza di quel lavoro gli piomba addosso.
Questo piccolo uomo, vestito miseramente, che si confonde
nella città tra tanti altri omuncoli, cova dentro di sé sogni di gloria. Vuole
diventare un grande filosofo, scrivere un libro sulla idea di morale. Vuole
dimostrare la tesi per cui le idee morali sono sempre condizionate dal contesto
storico e sociale in cui si danno. Un’idea non originale, pensa, ma che egli
saprà descrivere con intelligenza ed eccellenti argomentazioni. Alfonso vuole
essere un filosofo e vivere secondo grandi e nobili princìpi morali. Dopo il
lavoro, si reca ogni sera in biblioteca, dove si sottopone a faticosi studi
filosofici.
Una sola ora passata
su qualche difficile opera critica lo quietava per un’intera giornata. Inoltre,
in poco tempo, gli era venuta l’ambizione e lo studio era divenuto il mezzo a
soddisfarla. Le cieche obbedienze a Sanneo, le sgridate che giornalmente gli
toccava sopportare, lo avvilivano; lo studio era una reazione a
quest’avvilimento. Dinanzi ad un libro pensato faceva sogni da megalomane, e
non per la natura del suo cervello, ma in seguito alle circostanze; si trovava
ad un estremo, si sognava nell’altro.
Un giorno conosce
Macario, un parente del Sig. Maller, il padrone della banca, il quale lo prende
subito in simpatia. Macario è il contrario di Alfonso: il primo è padrone di
sé, deciso, istintivo, conquista le donne con estrema facilità, il secondo
insicuro, remissivo, riflessivo fino all’inazione. Macario si rivolge sempre ad
Alfonso come ad un inferiore, e da inferiore, lo introduce nell’esclusivo circolo
di casa Maller. Qui conosce Annetta, la figlia del padrone, una ragazza frivola
e capricciosa con aspirazioni intellettuali, che dapprima tratta Alfonso come
se non esistesse, poi, per capriccio, decide di diventargli amica. La relazione
tra i due si articola in diverse fasi: una prima segnata da una rispettosa
amicizia, durante la quale i due decidono di scrivere un romanzo insieme –
Alfonso vorrebbe scrivere un romanzo introspettivo, mentre Annetta impone le
sue idee manieristiche e vuote – una seconda segnata dal corteggiamento
insistente di Alfonso e dal rifiuto di Annetta, una terza in cui Annetta cederà
al corteggiamento di Alfonso.
René Magritte, L'Heureux donateur, 1955 |
L’amore tra i due è un amore freddo, caratterizzato dai
continui tormenti di Alfonso e dall’ipocrisia di Annetta: Alfonso sa che
Annetta non lo ama, che ha ceduto per mera sensualità, che non potrà mai amarlo
perché Alfonso è il suo “rospo”, come suole chiamarlo. Alfonso si tormenta
perché adesso dovrebbe sposarla: è un suo dovere coronare un rapporto erotico
di amore e moralità, ma d’altro canto, tutti penseranno che ha sedotto Annetta
per sposarla e fare carriera in banca. In qualsiasi modo agisca, Alfonso sarà
visto dagli altri come un essere meschino, un inetto e arrivista, oppure come
un mascalzone.
In tutto il romanzo si intrecciano vicende in cui l’amore, i
doveri morali, le convenzioni sociali si confondono, appartengono ad un flusso
di sentimenti in cui non è possibile distinguere cosa provano davvero i
personaggi, se le motivazioni che adducono alle loro azioni sono autentiche o
sono animate dalla menzogna o dalla malafede. Annetta chiede ad Alfonso di
partire perché vuole discutere col padre dell’accaduto e non vuole che il suo
seduttore si trovi a subire delle conseguenze sul lavoro: ma è davvero per
questo motivo che lo fa? Oppure vuole allontanarlo per organizzare un altro
matrimonio, magari con Macario? Francesca, l’amante di Maller, dice ad Alfonso
che se partirà, avrà rinunciato ad Annetta per sempre. Ma perché Francesca si
interessa alla causa di Alfonso? Per interesse, perché pensa che, se Annetta
sposa un inferiore, anche suo padre potrà sposare un’inferiore, ossia
Francesca.
Le stesse dinamiche di
sotterfugi, amori, interessi personali si ripetono all’interno della famiglia
che ospita Alfonso. La Sig.ra Lanucci vuole che sua figlia faccia un buon
matrimonio e la destina ad Alfonso, il quale però la rifiuta. La ragazza sarà
poi sedotta da un giovanotto di umili origini, e Alfonso convincerà il ragazzo
a sposare la povera ragazza, incinta, promettendogli del denaro. Alfonso sente
il dovere di aiutare questa famiglia che vive nella miseria, ma allo stesso
tempo li disprezza. Sacrifica una sua piccola rendita per far sposare una
ragazza di cui non gli importa nulla. Ma non è generosità, bensì desiderio di
riconoscenza, come farebbe un superiore con degli inferiori.
L’unico rapporto davvero autentico della vita di Alfonso è
quello con sua madre. Il romanzo si apre con una lettera di Alfonso in cui la supplica di dirgli solo una parola: “Torna”. Quella parola non sarà mai pronunciata. Alfonso, dopo la notte con Annetta, accoglie la
richiesta di quest’ultima di allontanarsi dalla città. In banca chiede un
permesso con la scusa che sua madre è malata. Quando torna al paese, la troverà malata per davvero. La assiste, la accudisce notte e giorno per tutto il tempo che le rimane. Quando lei
muore, Alfonso versa poche lacrime. Anche qui le convenzioni, la presenza di
altre persone che lo guardano, gli impedisce di sfogare il suo dolore.
Quando torna in città,
Annetta è promessa sposa di Macario. Alfonso lotta per riguadagnarsi il
rispetto di Maller e quello di Annetta. Capisce che la ama davvero, che non era
animato solo dalla sensualità. Ma non riesce, agli occhi dei due superiori, a
togliersi quell’immagine di meschino e di inetto. Ogni tentativo di parlare di
quella notte d’amore, ogni minimo riferimento, è percepito sia da Annetta che
da suo padre come un velato ricatto. Finché Alfonso non scopre che Annetta lo
vuole morto.
Una vita. Una vita schiacciata all’interno di un meccanismo
tanto complesso quanto efficiente: una macchina fatta di gerarchie sociali
immutabili, che segnano tra gli individui degli abissi che non si possono colmare col sesso né con
l’amore, che è uno dei tanti specchi che riflettono queste distinzioni. Una
macchina fatta di mille convenzioni, di paletti che segnano il percorso obbligatorio
da percorrere. Una macchina in cui i valori morali sono a doppio fondo, quello
in superficie, pubblico, che accoglie questi valori come assoluti, e quello
privato, in cui questi valori sono irrisi o ignorati. Alfonso non riesce ad
adeguarsi al movimento degli ingranaggi, non riesce a vivere la doppiezza delle
relazioni umane. Non riesce a vivere. Di fronte a questa incapacità, alla noluntas generata dalla meschinità della
vita, Alfonso compie l’unica scelta autentica che può compiere, quella del suicidio.
Egli invece si sentiva incapace alla vita. Qualchecosa, che di spesso
aveva inutilmente cercato di comprendere, gliela rendeva dolorosa,
insopportabile. Non sapeva amare e non godere; nelle migliori circostanze aveva
sofferto più che altri nelle più dolorose. L’abbandonava senza rimpianto. Era
la via per divenire superiore ai sospetti e agli odii. Quella era la rinunzia
ch’egli aveva sognata. Bisognava distruggere quell’organismo che non conosceva
la pace; vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta perché era fatto a
quello scopo. Non avrebbe scritto ad Annetta. Le avrebbe risparmiato persino il
disturbo e il pericolo che poteva essere per lei una tal lettera.
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