«Sii un ebreo in casa tua e un uomo di mondo fuori»
Pubblicato nel 1943 in lingua yiddish, La famiglia Karnowski narra la storia di tre generazioni, del
conflitto tra padri e figli, delle diverse aspirazioni, sogni, visioni del
mondo che caratterizzano le generazioni che si succedono, che necessariamente
confliggono, che con il tempo si riconciliano. La lotta che i figli conducono
nei confronti dei padri, dei valori tramandati, è un processo di sviluppo e
costruzione della propria identità. La questione della lotta generazionale si
intreccia con quella dell’identità: la storia della famiglia Karnowski,
scandita dalla discendenza David – Georg – Joachim narra del rapporto tra
queste tre generazioni. Una storia familiare che, come tutte le storie
familiari, si intreccia con le vicende storiche e politiche di più ampio
respiro, ma in questo caso il nesso è ancora più evidente. La famiglia
Karnowski è una famiglia ebrea di origine polacca, e le loro vicende coprono un
arco di tempo che va dalla fine dell’Ottocento alla Seconda Guerra Mondiale. La
lotta tra padri e figli, la conquista della propria identità diviene una vicenda
non più personale, ma universale. La ribellione di David, quella di Georg e
infine quella di Joachim è caratterizzata dal rifiuto della identità ebraica
tramandata dai propri padri: la ricerca di un modo nuovo di essere ebrei, la
problematicità dell’essere ebrei, il tormento, l’umiliazione che questa
identità comporta nel periodo della persecuzione nazista. Il tema
“psicoanalitico” del rapporto col Padre si intreccia con il tema teologico del
rapporto con Dio, con il tema storico-politico dell’identità di un popolo in un
mirabile equilibrio, con la sensibilità, la profondità che rifugge ogni
retorica, ogni forma di autocommiserazione, mettendoci di fronte ad una storia
che non ammette semplificazioni. La narrazione di Israel Joshua Singer è senza
ombra di dubbio rispettosa nei confronti di questa complessità, ironica e
drammatica, di spiccata intelligenza e profonda umanità.
David Karnowski è un ragazzo testardo e
arrogante, ma di grande intelligenza e acuto studioso dei testi sacri, come
tutti i membri della sua famiglia. Vive in un piccolo villaggio della Polonia,
Melnitz, ed entra ben presto in conflitto con la sua comunità religiosa. David
considera il chassidismo una religione popolana, oscurantista e superstiziosa.
Un Shabbat, durante la lettura della Torah, David entra in aperto conflitto con
il rabbino della sua sinagoga, sostenendo addirittura che il profeta Isaia era
un anti chassidico. Di fronte a questa eresia tutta la comunità si indigna.
David è uno studioso del grande filosofo Moses Mendelssohn, padre
dell’Illuminismo ebraico, che i poveri ignoranti di Melnitz non possono
comprendere. Decide di trasferirsi a Berlino, la città del suo grande maestro.
David da allora comincerà a parlare solo tedesco, avrà una totale repulsione
per la lingua yiddish, rifiuterà completamente la sua cultura di provenienza,
integrandosi perfettamente nella comunità ebraica berlinese, costituita da
brillanti studiosi, aristocratici che guardano con disprezzo gli immigrati
ebrei provenienti dalla Polonia o dalla Russia, con le loro lunghe barbe, il
loro spirito di patata grossolano, il modo spregiudicato di fare affari. Il Dio
di David è un dio tedesco, la sua lingua madre è il tedesco. Diversa è la
condizione di sua moglie, Leah, legata alle sue origini, che non riuscirà mai
ad adattarsi alla società berlinese: il suo Dio è un buon padre di famiglia
polacco, la sua lingua è l’yiddish, la sua identità è quella tramandatale dalla
sua famiglia. Berlino è una città estranea, il tedesco una lingua dura e
inaccessibile. Ma suo marito non è disposto a comprendere questi
sentimentalismi, e si ostina a parlare con lei il tedesco persino durante
l’amore!
Georg,
figlio di David, della Torah non vuole saperne proprio nulla. Sbadiglia durante
le lezioni tenute da un noioso precettore che il padre gli ha imposto. Georg
vuole soltanto bighellonare, si iscrive svogliatamente alla facoltà di
filosofia, passa le sue serate a tracannare birra nella taverne e a sedurre le
cameriere, sperperando il denaro del padre. È forte e affascinante, di lui si
innamora Rebecca, figlia di Solomon Burak, un ebreo di Melnitz emigrato in
Germania per fare fortuna, uno di quei volgari commercianti che David
disprezza. Georg non vuole saperne di questa dolce e materna ragazza: Solomon
Burak andrà ad umiliarsi da David per convincerlo a combinare un matrimonio,
ma questi lo rifiuta con disprezzo. David
e Solomon rappresentano due ebraismi diversi: l’ebraismo naturalizzato
dell’alta borghesia berlinese e l’ebraismo orientale del ceto mercantile, in
cui tradizioni arcaiche ed esotiche si uniscono ad uno spiccato senso degli
affari. È l’ebraismo volgare e popolare che David ha sin da giovane rifiutato,
concentratosi a Berlino nella Dragonerstrasse. Due mondi che non si comprendono
e che saranno uniti soltanto dall’esterno, dalla semplificazione violenta
operata dal nazionalsocialismo.
Nel
frattempo Georg si innamora di una donna straordinaria, Elsa Landau. Figlia di
un medico ebreo che si prende cura di tutto il proletariato berlinese,
ricevendo come unico compenso quello che i proletari donano volontariamente.
Anche Elsa segue le orme del padre e studia come medico. Georg la segue
ciecamente e si iscrive a medicina per amore. Ma Elsa è una donna che rifiuta
il matrimonio perché vuole lottare per la realizzazione dei suoi ideali,
progetto incompatibile con la vita di una madre di famiglia: Elsa è una delle
migliori studentesse della facoltà di medicina, che impartisce lezioni agli
uomini, ma soprattutto, è una militante del partito comunista. Sarà questo suo
impegno ad allontanarla da Georg, ma anche dal suo amato padre. Diventerà
parlamentare del Reichstag, sarà incarcerata e perseguitata dai nazisti, sarà
costretta a condurre la sua lotta dagli Stati Uniti. Georg è furioso per
l’abbandono, detesta e ammira quella donna che non ha voluto essere sua,
l’unica fra tante altre donne. Sposerà Teresa, una donna bionda e mansueta, una
madre di famiglia che per suo marito sacrificherà tutto, più di quanto riesca
ad immaginare.
Joachim Georg Holbeck
Karnowski è il personaggio più tragico dell’intera vicenda. La sua ribellione
tipicamente Karnowski si traduce in una vera e propria scissione della
personalità: Jegor è ebreo e ariano insieme, nel periodo in cui il regime
nazista costruisce la sua unità annientatrice nell’individuazione di un nemico
esterno, che va eliminato, l’ebreo. Jegor è il frutto della propaganda nazista:
è vittima dell’antisemitismo e allo stesso tempo ne è un convinto sostenitore.
Il rifiuto della tradizione paterna non è un modo per costruire la propria
identità, ma un disperato tentativo di cancellarla, di annientare un’identità
che lo esclude, di abbracciare una nuova identità, quella ariana, per lui così
vicina ma irraggiungibile. Nazista, razzista ed ebreo: questa scissione che non
ammette sintesi si esprime nelle sue caratteristiche fisiche. Jegor ha gli
occhi azzurri di sua madre ma la pelle scura e il naso di suo padre: quel naso
adunco, orribile, mostruoso. Georg è l’ebreo di Jegor, il capro espiatorio su
cui riversare tutte le sue frustrazioni e il suo disprezzo. Lo odia
profondamente: Georg è mostruoso ma amato da tutte le donne – persino dalla sua
angelica e ariana madre! – forte, intelligente, tutto il contrario di quello
che viene descritto dalla propaganda del regime. E proprio per questo Jegor lo
odia… Come osa un inferiore avere un atteggiamento così arrogante?
L’adolescenza di Jegor è un percorso folle e tortuoso, tragico, di ricerca di
una figura paterna che sia degna: prima l’ariano zio Holbeck, quando emigrerà
in America con la sua famiglia sarà il funzionario del regime Zerbe.
Antisemiti, nazisti, gente di razza superiore che dapprima sembrano prendersi
cura di lui, ma che poi finiscono con il rifiutarlo in quanto ebreo. La vita di
Jegor è una continua umiliazione, che il ragazzo subisce e cerca: è l’ariano
che umilia e distrugge l’ebreo.
Quando la famiglia Karnowski emigrerà negli Stati Uniti, la
drammatica e intensa vicenda di queste tre generazioni giungerà in qualche modo
ad una sintesi. David, che si era già riconciliato con suo figlio Georg durante
i primi anni delle persecuzioni, in America si riconcilia con suo Padre: con la
lingua yiddish, che diventerà la sua lingua abituale, con l’umile lavoro di
guardiano della sinagoga, con Solomon Burak,
al quale chiederà perdono, con la dolce e popolana religiosità dei suoi
avi. Anche Jegor, dopo tormenti e umiliazioni, ritorna da suo padre: deluso dai
falsi miti della razza, debole e moribondo si accascia sulle scale della casa
paterna. Georg lo accoglierà con tutto l’amore di cui è capace, e si prenderà
cura di quel povero figlio che aveva addossato su di sé tutto il peso della
persecuzione del suo popolo, tutto l’odio che aveva pervaso l’Europa, quello
violento dei carnefici, e quello che le vittime avevano dovuto subire.
Concludo
questo post riportando un breve passo del romanzo, in cui l’autore mette in
evidenza la molteplicità di ebraismi che popolava la Germania sin dal XIX
secolo e come queste molteplicità vivessero nell’incomunicabilità, nella
mancanza di solidarietà e persino nell’aperta conflittualità. L’idea che a mio
avviso Singer cerca di comunicare ai suoi lettori è che l’Ebreo non esiste: non
esiste un unico popolo compatto, portatore di un identità granitica. Questa
identità è stata costruita dall’esterno, è frutto della propaganda, del mito
della razza.
Al grido
nazista “Quando il sangue ebraico zampilla dal coltello, allora tutto va di
nuovo bene, così bene”, gli ebrei delle diverse comunità si chiedono quale sia
il sangue ebraico che deve essere versato:
Da parte sua neppure
David Karnowski credeva di poter essere davvero perseguitato in una nazione in
cui aveva vissuto e prosperato per così tanti anni. Non aveva forse mandato il
suo unico figlio al fronte? Negli affari non era così onesto e corretto che
tutti i tedeschi cristiani con cui trattava tessevano le sue lodi? Inoltre, si
era sforzato di apprendere la lingua e i costumi della nazione in cui viveva e
di liberarsi di ogni traccia delle sue origini orientali. Se vi era davvero un
pericolo, riguardava coloro che erano emigrati nel dopoguerra e si erano
stabiliti sulla Dragonerstrasse. Nonostante provasse compassione per loro in
quel frangente, David Karnowski nutriva anche un rancore segreto verso gli
ebrei dello Scheunenviertel. Erano troppo disonesti, avevano approfittato
dell’inflazione per acquistare immobili a cifre irrisorie e in genere avevano
un modo di fare losco e subdolo. Segretamente provava anche una certa
repulsione per i numerosi ebrei con le palandrane e i lunghi riccioli alle
orecchie che si erano infiltrati in città – sedicenti ecclesiastici di ogni
tipo che urtavano la sua sensibilità quando gli capitava di incrociarli in tram
e in metropolitana. Alcuni di loro si erano spinti a fare la questua anche
nella parte occidentale della città. Con il loro aspetto esotico e le maniere
esecrabili non rendevano certo onore alla comunità ebraica di Berlino. Lui
stesso non poteva sopportare i loro modi. C’era da meravigliarsi che
suscitassero risentimento tra i gentili?
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