«Poi vai e rischia quel che devi rischiare come qualsiasi uomo o uccello o pesce.»
Il vecchio pescatore Santiago, con i suoi frequenti crampi e il vezzo da pescatore solitario di parlare da solo ad alta voce. Il mare, nella figura del magnifico marlin lungo oltre cinque metri e dai fianchi striati di color lavanda. Due protagonisti avvinti in una lotta estrema e a suo modo epica, due avversari che sono tali fino alla morte, senza del resto mai sentirsi nemici.
Per ottantatré giorni il vecchio Santiago non pesca più nulla: la fortuna sembra avere abbandonato la sua barca, che esibisce la vela ammainata come un simbolo di perenne sconfitta. Il giovane Manolin, che di solito lo accompagna al largo, è costretto dai genitori a lavorare con pescatori più fortunati. Il vecchio si sente più solo che mai. Si imbarca da solo e giura a sé stesso che prenderà almeno un pesce e né la vecchiaia, né i crampi, né la cronica assenza di fortuna possono scoraggiarlo, perché «un uomo può essere distrutto, ma non può essere sconfitto». Le difficoltà, il dolore, lo sconforto non
possono motivare una resa.
possono motivare una resa.
Il grande pesce abbocca, un marlin maestoso che rapisce il vecchio al mondo per giorni e notti interi, mette alla prova il suo fisico indebolito dall'età, la sua resistenza al mare e alla fatica, la sua fede. Ma la lotta non diventa mai odio, neppure per un attimo, nemmeno nel suo clou, nell'apice della violenza assassina che fa del cacciatore/pescatore quello che è.
La bellezza de "Il vecchio e il mare" sta in quella congiunzione che unisce i due nomi in un tutto realmente organico. Santiago e il mare-marlin non sono antagonisti ma compagni, costretti ad affrontarsi senza odiarsi.
«Vorrei poter dar da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello. Ma devo ucciderlo e mantenermi forte per farlo.»
Il pesce non vuole fare del male a Santiago, ma affronta l'inganno dell'esca e poi la violenza dell'attacco con la muta dignità dell'animale nel cui occhio, tutt'altro che stupido, si riflette l'intero mare. Santiago deve fare del male al grosso pesce, ma lo rispetta e a suo modo lo ama. Usa verso la sua vittima quella grazia che può scaturire solo dalla consapevolezza della piccolezza umana, quella gratitudine che i cacciatori primitivi esprimono pregando e lodando il fratello animale che si è lasciato uccidere perché loro possano nutrire sé stessi e altri uomini. Il mondo moderno col suo cinismo è tagliato fuori da questo intimo colloquio tra Santiago e la natura: l'uomo prevale sul pesce come potrebbe farlo un guerriero in uno scontro tra pari, leale e dignitoso, e lo fa provando un acuto senso di umiltà. Il carnofallogocentrismo che Derrida denunciava nella figura del torero come in quella del cacciatore-pescatore, la predominanza violenta dell'uomo (precisamente maschio) sulla natura inerte e sottomessa sono totalmente estranei alla figura poetica e gentile di Santiago, pescatore per necessità e forse per vocazione, ma acutamente consapevole del legame intimo e indissolubile, quasi di sangue, che unisce l'uomo alle altre bestie, tutti ugualmente soli davanti alla morte e alla necessità di affrontarla con coraggio e onestà quando essa si presenti, sotto qualunque forma.
Dopo aver vinto il Premio Pulitzer, Hemingway ottiene anche il Premio Nobel ed entrambi, principalmente, per "Il vecchio e il mare". Con modesta ironia, l'autore disse che il secondo premio gli era stato conferito perché per la prima volta aveva scritto una storia senza usare la parola "shit". In realtà, lo stesso Hemingway era soddisfatto del suo lavoro e in una lettera a Wallace Meyer affermava che il libro «diceva qualcosa sulla dignità dell'animo umano». Nonostante la stroncatura di Dwight Macdonald che etichettò l'opera come eccellente esemplare di midcult, "Il vecchio e il mare" fu largamente apprezzato dal resto della critica e anche calorosamente accolto dal pubblico (se ne vendettero milioni di copie in pochissimo tempo). Nel 1958, il successo fu suggellato da una prima trasposizione cinematografica, diretta da John Sturges sotto la supervisione dello stesso Hemingway.
Il racconto, apparso nel 1952, può sembrare ispirato dal tardo soggiorno cubano di Hemingway, durante il quale si dedicò appunto alla pesca a bordo dell'imbarcazione Pilar, ma il materiale grezzo di cui disponiamo dimostra che la storia era delineata in modo piuttosto preciso nella testa dell'autore già da una quindicina d'anni. Nel '36 Hemingway appuntava:
«Un vecchio che pescava da solo in un'imbarcazione catturò un grande pesce spada che tirando la pesante cima condusse l'imbarcazione verso il mare aperto. Due giorni dopo il vecchio fu raccolto dai pescatori a 60 miglia verso est, con la testa e la parte anteriore del pesce legate lungo la barca. [...] Il vecchio era rimasto col pesce un giorno e una notte, un altro giorno e un'altra notte mentre il pesce nuotava in profondità e tirava la barca. [...] Mentre era legato lungo la barca i pescicani lo avevano azzannato e il vecchio combatté da solo dalla sua imbarcazione nella Corrente del Golfo, prendendoli a mazzate, a coltellate, colpendoli con un remo, finché fu esausto e i pescecani ebbero mangiato tutto quello che potevano contenere. Quando i pescatori lo raccolsero piangeva nella barca, quasi impazzito per la perdita, e i pescicani stavano ancora nuotando intorno alla barca.»
Se questa storia (che peraltro pare essere vera) mostra un uomo distrutto per la perdita del corpo del marlin duramente pescato, il finale di Santiago esprime ben altri sentimenti. Sì, il vecchio pescatore di Hemingway è duramente provato nello spirito e riporta segni fisici dello sforzo (i palmi tagliati dalla lenza e sanguinanti) ma ha vinto la sua prova.
Hemingway rifuggiva con forza la violenza per la violenza, e misconosceva qualunque significato ai valori che avessero bisogno dell'uso della violenza per affermarsi. «Questo valeva per la guerra, questo valeva per il patriottismo, questo valeva in generale per i partiti dell'ordine» scrive Fernanda Pivano. Il fratricidio operato da Santiago ai danni del grosso pesce è un atto di tutt'altra natura: è la prova di un uomo che non accetta di dirsi sconfitto e si mette in gioco alla pari con il suo fratello-avversario.
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