Il mondo della Bassa è bucolico e sanguigno: il Grande Fiume scorre negli argini, serpeggia tra i campi coltivati e i pascoli, portando con sé «incredibili favole vere». Ne sono protagonisti i lavoratori della Bassa, gli abitanti dell'anonimo paesello che nei film sarà ribattezzato Brescello, i Rossi "trinariciuti" e soprattutto Don Camillo. Il pretone di campagna è celeberrimo in Italia e all'estero (Guareschi è l'autore italiano più tradotto), tanto da non abbisognare affatto di presentazione. Sagace fino all'acidità, astuto fino all'inganno, irascibile fino ad essere manesco, è un personaggio così spropositato da apparire del tutto verosimile. Epiche le sue rispostacce, come il suo innocente sventolarsi con una panca quando le provocazioni dei rossi lo fanno accaldare. Accattivante ed indimenticabile, incarnato da uno strepitoso Fernandel, è il giusto ed intramontabile monumento alla memoria di un autore straordinariamente dotato e brillante. La penna di Guareschi è straordinaria, i suoi racconti impareggiabilmente piacevoli, spesso brillanti e spassosi, talvolta commoventi. Quelli di Guareschi furono un ingegno, un talento letterario e una felice ispirazione purtroppo asserviti ad una causa discutibile.
Nei film di Duvivier, Gallone e Comencini (la cui visione, nel mio caso, ha preceduto la lettura dei racconti) Don Camillo risulta generalmente vincitore nelle diatribe ideologiche e politiche che lo contrappongono al sindaco comunista Peppone, ma non mancano compromessi, pareggi, momentanee sconfitte. Soprattutto, le due parti sono sostenute in un modo quasi equilibrato: a trionfare non è una fazione o l'altra, ma sempre e comunque la comune umanità che precede e fonda le ideologie. La profonda umanità dei personaggi è corroborata da una salda amicizia, nata per caso durante la Resistenza, e screzi, dispetti e finanche scazzottate non sono che il grazioso ornamento di un rapporto litigarello ma in fin dei conti armonioso.
Nei racconti la situazione è molto meno equilibrata, arrivando ad essere esplicitamente schierata.
Di fronte ad una provocazione:
«Peppone voleva dire un sacco di cose ma gli si ingolfò il carburatore e si limitò a farsi venire le vene del collo grosse come bastoni.»
Ci sembra di riconoscere l'adorabile sindaco delle pellicole: uomo volenteroso e impulsivo, con la miccia un po' troppo corta e qualche sbavatura impacciata e timida nel comportamento, tale da suscitare solo tenerezza. Ebbene, il compagno Bottazzi dei racconti devia da questo identikit: non è solo simpaticamente goffo, ma un autentico pusillanime (in uno dei racconti arriva a votare il candidato della DC alle elezioni per il nuovo sindaco, in preda ad un attacco di insicurezza; in un altro racconto, intimorito dalla linea del proprio partito e dall'eccessiva disciplina pretesa dai suoi superiori, medita a lungo nella cabina elettorale per poi consegnare la scheda bianca; del resto, è stato Guareschi a coniare in altra sede lo storico slogan "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no"). I passi indietro e le piccole contraddizioni di Peppone costituiscono nei film delle divertenti gag, paradossali e spensierate; nei racconti, i suoi atteggiamenti contraddittori ed ipocriti sono delle precise armi ideologiche utilizzate da Guareschi per fare apparire i comunisti di Brescello come privi di spina dorsale, opportunisti, disonesti, ottusi, violenti, creduli. Gli uomini di Peppone si comportano come degli autentici delinquenti, arrivando ad intimidazioni e atteggiamenti di tipo marcatamente mafioso (un rosso di un paese vicino con l'aiuto dei suoi uomini e il tacito consenso di Peppone, uccide un rivale in amore etichettandolo genericamente come "nemico del popolo" e ne fa sparire il corpo, seppellendolo nei campi).
Guareschi impernia la sua narrazione su un tripode dottrinario chiaramente manifesto: anticomunismo, simpatie filomonarchiche (la bandiera con lo stemma sabaudo si presenta nei racconti prima di coprire la sua stessa bara, durante il funerale che sarà disertato dalle autorità) e aderenza abbastanza ortodossa al cattolicesimo. Animato da una volontà quasi catechizzatrice, Guareschi prende talvolta degli sgradevoli scivoloni. Se il Crocifisso dell'altar
Fernandel e Gino Cervi nei panni di Don Camillo e Peppone |
Quanto all'anticomunismo, Guareschi forse cerca (invano) di "avanzare mascherato" alla maniera cartesiana. Inserisce le sue morali della favola nei racconti, ma purtroppo lo fa in modo spesso grossolano: quelle che forse era sua intenzione rendere delle frecciatine sottilissime e taglienti, in realtà sono prese di posizione esplicite e molto dozzinali. Parlando della linea filomonarchica e fortemente conservatrice del suo giornale Candido, Guareschi puntualizzò di essere animato da ideali di destra, senza con ciò essere fascista, né del resto antifascista. Questo inutile sbandierare la propria ignavia crolla come un castello di carte nel leggere i suoi racconti.
In particolare, la linea dell'avversione politica (del tutto legittima) si stempera in direzione di un generale disprezzo per la classe operaia in quanto tale, e qui Guareschi a parer mio prende una grave cantonata.
Guareschi in un proprio "autoritratto" sull'argine del Po |
Ognuno abbia le sue opinioni: quello che rimprovero a Guareschi è solo la mancata eleganza in numerosi passaggi. Avrebbe potuto far passare i suoi (discutibili) messaggi in modi più raffinati, meno offensivi, rifuggendo alcuni cliché ed evitando facili generalizzazioni e atteggiamenti talvolta infantili.
Il mio commento sulle storie del Mondo Piccolo in una parola sola: "Peccato".
Nessun commento:
Posta un commento