giovedì 7 febbraio 2013

"Un volto non comune" di Iosif Brodskij


1987. L'Accademia Svedese, con la motivazione di premiare "una produzione letteraria di levatura eccezionale, improntata all'acutezza intellettuale e all'intensità poetica", insignisce del Premio Nobel per la Letteratura un poeta relativamente giovane (quarantasette anni), il più giovane vincitore fino a quel momento, con una produzione ridotta e una storia molto più che travagliata. E' un dissidente del regime sovietico, bandito dal Paese, dove è stato costretto a lasciare i carissimi genitori che non rivedrà mai più. E' un ebreo (dice di sé "Un cattivo ebreo" perché in parte cristiano). E' nato nel 1940 a Leningrado (da madre traduttrice e padre fotografo), ma scrive in inglese, è naturalizzato americano. Ha due macchine da scrivere: una verde con i caratteri cirillici, una blu con i caratteri latini. E' Josif Aleksandrovič Brodskij.

Iosif Brodskij
«Le circostanze della vita hanno fatto di me un ebreo errante. Ma sono più ebreo in termini esistenziali, per vicende personali, di quanto non lo sia per sangue.»

La vita forzatamente errabonda di Brodskij inizia nel 1964: viene denunciato da un giornale di Leningrado come antisovietico e pornografico e dopo il processo affronta cinque mesi di lavori forzati nella regione di Arcangelo. Torna a Leningrado ma non per molto: dal 1972, espulso dalla Russia, si trasferisce a Vienna (dove troverà in qualche modo rifugio presso lo stimato poeta Auden), a Londra, a Venezia (dove alla sua morte, nel 1996, per esplicita volontà viene sepolto), e definitivamente negli Stati Uniti.

In occasione del conferimento del Premio Nobel, Brodskij pronuncia un incantevole discorso, "Un volto non comune", contenuto insieme ad altri due nel piccolo volume pubblicato da Adelphi, "Dall'esilio".

Esordisce scusandosi per l'imbarazzo che prova, sensazione «aggravata non tanto dal pensiero di coloro che qui mi hanno preceduto quanto di coloro cui quest'onore non è toccato, cui non è stata data questa possibilità di parlare urbi et orbi». Si scusa addirittura per quanto si accinge a dire, invoca il perdono delle cinque "ombre" che lo turbano di continuo, i cinque autori dai quali si sente influenzato in massimo grado: Osip Mandel'štam, Marina Cvetaeva, Robert Frost, Anna Achmatova e (appunto) Wystan Auden. Subito si corregge: non sono ombre ma fonti di luce (lampade? stelle?)
«Il loro numero è grande e decisivo nell'esistenza di ogni uomo di lettere consapevole; e nel mio caso raddoppia, grazie alle due culture alle quali il destino ha voluto farmi appartenere».
Decisivo. Sì, perché le letture che un uomo ha fatto, in un momento o nell'altro della sua vita, a proposito o a sproposito, salteranno fuori: influenzeranno concretamente la sua vita.

La letteratura è «un mezzo di difesa contro l'asservimento» e una «polizza di assicurazione morale» e in quanto tale è più efficace di un sistema filosofico, di una dottrina religiosa. Perché? Perché questi ultimi sono totalizzanti, massificanti (processi, la totalizzazione e la massificazione, che Brodskij si è lasciato alle spalle fuggendo dal regime sovietico; processi che annichiliscono il singolo uomo, lo rendono tautologia e ripetizione di tanti altri uomini resi identici a lui, tutti pressati da un modello). Invece, il bello della letteratura è questo: che si nutre dell'umana diversità (e perversità). Si fa letteratura dell'assoluta e irriducibile singolarità di ognuno, della vita assolutamente singolare che ognuno di noi è chiamato a vivere. L'arte tutta «stimola nell'uomo, volente o nolente, il senso della sua unicità, dell'individualità, della separatezza, trasformandolo da animale sociale in un "Io" autonomo». Questo intendeva Baratynkskij quando attribuiva alla propria Musa "un volto non comune": è questo che la letteratura cerca e insieme offre, è da questo che sgorga ed è questo che produce.

Volumetto edito nel 1988, contenente i
tre discorsi: La condizione che chiamiamo
esilio
,Un volto non comune e il
Discorso per l'accettazione.
E l'arte tutta, non solo stimola l'uomo a vivere una vita singolare, ma a viverla in un modo etico. E' un invito implicito: è la conseguenza inevitabile, per una persona che legga, quella di affinare la propria sensibilità morale al pari del proprio gusto estetico. Infatti, se «la bellezza salverà il mondo» (come dice Dostoevskij) e «la poesia ci salverà» (Matthew Arnold), così sarà solo perché «l'estetica è la madre dell'etica»: l'uomo, prima di essere un animale morale, è un animale estetico. Un bambino che non distingue ancora il bene dal male, distingue già istintivamente un bel viso da un brutto muso da cui essere spaventato.

E' in quest'ottica che si inscrive lo straordinario potere dell'arte, la forza che rende la letteratura (e, dice Brodskij da buon poeta, la poesia in particolare) «uno straordinario acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione del mondo». E anche il benessere politico di un popolo viene così a derivare (almeno potenzialmente) dal grado di sensibilità estetica della sua classe dirigente, così come lo sviluppo (intellettuale ma non solo) di una Nazione è legato imprescindibilmente alla diffusione della cultura, della lettura e dell'arte presso tutto il popolo, e non solo presso una sparuta intelligencija.

Per concludere, eccovi questo breve estratto dal suo discorso, in cui ogni parola pesa come un'incudine e il cui contenuto è estremamente attuale e degno di essere diffuso.


«Dirò semplicemente che secondo me -non è una conclusione empirica, ahimè, ma solo teorica- per uno che ha letto molto Dickens sparare su un proprio simile in nome di una qualche idea è impresa un tantino più problematica che per uno che Dickens non l'ha letto mai. E parlo proprio di lettura di Dickens, Sterne, Stendhal, Dostoevskij, Flaubert, Balzac, Melville, Proust, Musil e via dicendo; cioè di letteratura, non di alfabetismo o di istruzione. Una persona che sa leggere e scrivere, una persona istruita può benissimo, dopo aver letto un libro o un libello politico, uccidere un suo simile e magari provare, nell'ucciderlo, un'esaltazione dottrinaria. Lenin era istruito, Stalin era istruito, e anche Hitler lo era; quanto a Mao Zedong, lui scriveva addirittura versi. Ma tutti avevano una cosa in comune: l'elenco delle loro vittime era infinitamente più lungo dell'elenco delle loro letture.»

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