giovedì 11 gennaio 2018

Il sogno cinese e il sogno americano - Intervista ai marxisti cinesi


A partire dall'attuazione della politica di riforma e apertura promossa da Deng Xiaoping negli anni '80, la Cina ha conosciuto uno strabiliante sviluppo economico che ha fatto uscire 700 milioni di cittadini cinesi dalla condizione di povertà. Tale sviluppo, seppure rallentato dalla crisi globale degli ultimi anni che ha limitato le esportazioni, non mostra alcuna intenzione di arrestarsi. Il soft power cinese e l'influenza del colosso asiatico nelle relazioni internazionali continua ad accrescersi di pari passo con il suo PIL. Se da un lato la Cina intimidisce le potenze occidentali e minaccia il loro primato sociale ed economico, dall'altro lato l'Occidente guarda con crescente curiosità al sogno cinese, al socialismo con caratteristiche cinesi e agli straordinari risultati conseguiti negli ultimi decenni.
Le tre interviste a marxisti cinesi aiutano il lettore occidentale non solo a familiarizzare con categorie politiche tipicamente cinesi, ma anche a valutare meglio le scelte operate dal Partito Comunista Cinese nell'affrontare le sfide del passato e quelle del presente, in un'agenda di sviluppo che intende continuare ad accrescere i livelli materiali e culturali della popolazione tenendo insieme anche una crescente attenzione all'ambiente, una maggiore democratizzazione della politica, l'implementazione di uno stato diritto, la salvaguardia della pace e della cooperazione internazionale, che protegga i Paesi più deboli e in via di sviluppo dall'egemonia delle potenze imperialiste e dalle loro ingerenze politiche negli affari interni. Questi sono gli elementi primari del sogno cinese: un sogno di pace e sviluppo per tutti i popoli.


«Il sogno americano può essere esplorato su due livelli. Il primo, in senso stretto, riguarda la vita, cioè la credenza che la società americana ha costruito da molto tempo. Fintanto, cioè, che uno rispetta le regole e lavora duro, a prescindere dalle origini o dal contesto, alla fine avrà successo. L'altro, in senso lato, è la versione politica, che delinea l'assetto politico americano, cioè la tanto decantata libertà americana, la democrazia, i diritti umani, visti come il miglior sistema per raggiungere la felicità personale. [...]
Il sogno americano è molto più di una categoria materiale. Incoraggia gli individui a 
sfruttare appieno i propri talenti per raggiungere l'autorealizzazione. [...] La versione di vita del sogno americano ha attirato uomini e donne da tutto il mondo per andare negli Stati Uniti e realizzare i propri sogni, mentre le versione politica fa riferimento a "valori universali" che gli Stati Uniti pubblicizzano e diffondono ovunque. [...]
Il sogno americano e il sogno cinese sono simili. Il 7 giugno 2013, il presidente cinese Xi Jinping, dopo un colloquio con il Presidente Obama nella sua residenza in California, ha chiaramente detto in un incontro successivo con i giornalisti che: "Il sogno cinese di raggiungere la prosperità nazionale, la rinascita nazionale, e la felicità del popolo è un sogno di pace, di sviluppo, di cooperazione e di reciproca convenienza, che è simile ai sogni dei popoli di altri paesi, inclusa l'America". [...]
Tuttavia, ci sono molte differenze tra il sogno cinese e il sogno americano:
Primo, le loro connotazioni sono diverse. Al contrario del sogno americano, che sottolinea le sfide personali e il successo, il sogno cinese mette l'enfasi sull'unità della prosperità nazionale, sulla rinascita nazionale, sulla felicità del popolo e sullo stretto legame tra la sorte degli individui e quello della nazione.
Secondo, i loro valori sono differenti. Il sogno americano enfatizza la soddisfazione personale, sostenendo di essere orientato verso gli individui e mettendo la libertà per prima. Il sogno cinese enfatizza il collettivismo e i valori chiave socialisti, sostenendo di essere orientato alla famiglia e mettendo la responsabilità per prima.
Terzo, i loro modi di realizzazione sono diversi. Il sogno americano è un sogno mondiale, realizzato attraverso l'espansione esterna e l'egemonismo. La storia americana è una storia fatta di espansionismo, di saccheggio e addirittura di aggressione. Il sogno cinese si realizza attraverso l'ascesa pacifica, compiuta attraverso sforzi concertati di tutto il Partito e di tutto il popolo. [...]
Quarto, le loro prospettive sono differenti. Il sogno cinese ha aperto un futuro radioso per l'esplorazione dello sviluppo diversificato della civiltà umana. [...]
Il sistema politico americano definisce le regole di cui beneficiano i ricchi a spese degli interessi degli altri gruppi. La regolamentazione finanziaria spiana la strada al prestito predatorio e agli affari abusivi delle carte di credito, che fanno affluire i soldi dal basso all'alto. [...] Il neoliberismo sostenuto dagli Stati Uniti non ha portato benessere sociale, ma ha rafforzato il capitale predatorio. Il sistema neoliberista è un sistema predatorio. [...] La democrazia che gli Stati Uniti hanno sostenuto è ora bloccata da diversi gruppi di interesse altamente organizzati e mobilitati. Oggi, la "divisione dei poteri" di cui gli Usa sono fieri è diventata sinonimo di incompetenza di governo o addirittura di paralisi politica. [...] Al momento, il sogno americano non è realistico per gli americani, cioè è essenzialmente il sogno di un'oligarchia finanziaria invece di essere il sogno del popolo reale. Il sogno mondiale americano sfida la pace mondiale. Si tratta essenzialmente di cercare di perseguire l'egemonia economica, politica e militare in nome della protezione della libertà, della democrazia e dei diritti umani.»

Questo passo dell'intervista a Deng Chundong, Presidente dell'Accademia del Marxismo presso la CASS (Chinese Academy of Social Sciences) di Pechino, è tratto dal volume "Inteviste ai marxisti cinesi", tradotto e curato da Francesco Maringiò per le Edizioni MarxVentuno.
A questo link è possibile contattare le Edizioni MarxVentuno e vedere i dettagli su questa e altre pubblicazioni: http://www.marx21books.com/Pubblicazioni.html

mercoledì 10 gennaio 2018

Spartacu strit viu’ - Alessandra Mallamo

«Cos’è che fa camminare la strada? È il sogno.»
detto di Tuhair

Ricordarsi all’improvviso di Mejerchol’d, Grotowsky, Artaud, di cosa è stato il teatro nel Novecento, di come ci ha insegnato a scompensare i centri di equilibrio su cui avanzano le nostre giornate. E ricordarsene nel posto giusto: nel buio di un piccolo teatro comunale della “periferia dell’impero”.


Spartacus strit viu’


“L’attore è un atleta del cuore” scriveva Artaud ne Il teatro e il suo doppio, ed è proprio l’impegno fisico, lo sforzo muscolare, che localizza storie e passioni sul palcoscenico, a giustificare uno spettacolo teatrale su un uomo come Franco Nisticò, un “gladiatore” che nella sua vita ha cercato giustizia e libertà dando tutto ciò che poteva dare; come Spartaco, appunto (non a caso Karl Marx ha scritto: “Spartaco è l'uomo più folgorante della storia antica. Un grande generale, un personaggio nobile, veramente rappresentativo del proletariato dell’antichità”).
Ciò che permette di restituire tutto questo senza retorica è il corpo di un attore.
Il volto è nascosto da un casco: come quello che i gladiatori indossavano quando scendevano nell’arena ma anche come le maschere che hanno popolato il teatro in tanti luoghi e tempi diversi. Il copricapo “marziano” e “marziale” di Francesco Gallelli è l’oggetto che tiene insieme la dimensione spettacolare della lotta - i gladiatori non erano anche loro i protagonisti di uno spettacolo? - e il pericolo del campo di battaglia, che richiede di rischiare e di mettere in gioco se stessi.
Ma il casco è anche solo un casco, di quelli che mettiamo quando andiamo in moto; un casco/elmetto/maschera che ricorda così anche la bruta realtà della strada/arena/teatro di cui si parla: la 106, su cui corrono e trascorrono le nostre vite.
Dunque attore e gladiatore: oscillando tra questi due momenti si articola tutto lo sviluppo dello spettacolo e si spiega perché un’opera su un uomo che ha lottato con tutto se stesso per la sua terra è allo stesso tempo un discorso su cosa significa fare teatro in questa terra, ovvero su cosa significa fare teatro tout court.


Biografia, ma anche autobiografia, anzi nessuno delle due: la passione di Franco, il corpo di Francesco e viceversa. Non ci sono furti, non ci sono indebiti paragoni o mescolanze, solo la condivisione dell’arena, anzi la condivisione della strada.
Teatro come lotta, attore come lottatore. In questa congiunzione il gladiatore di Spartacu stit viu’ sviluppa la sua muscolatura affettiva attraverso lo sforzo, il respiro e il sudore. Massimo dispendio di energia per la creazione del bios scenico minimo, la posizione fondamentale che consiste nel rifiutare l’enfasi o la disperazione per concentrarsi sull’unica cosa che conta: l’intensità.
Intensità che aumenta a ogni giro della corda che Francesco salta ininterrottamente per tutta la prima parte della performance: salto, nome, età, luogo, salto, nome, età, luogo, salto, nome, età, luogo. Un elenco interminabile e straziante di vite perse affolla il discorso mentre l’attore continua a saltare e parlare e respirare. Chi non respira dopo un po’ è lo spettatore, ipnotizzato dall’alone luminoso della corda che gira ritmicamente e in ansia perché non si capisce quando finirà (“Sbaglierà? La smetterà prima o poi? Rallenterà? Perché lo sta facendo?”).
Ripetizione, Rabbia, Resistenza. Ripetizione per dire la monotonia di una vita non libera, rabbia per dire la perdita, resistenza per imparare a lottare.
Nel saltare la corda si tengono insieme la frustrazione e la rivalsa e sulla scena vediamo lentamente un corpo che cambia, che si trasforma e innerva le parole che pronuncia. Il salto della corda è infatti l’esercizio fondamentale del lottatore, e in particolare del boxeur, per sviluppare rapidità, gioco di gambe, resistenza e fiducia. Nello sferrare un pugno è più importante la posizione dei piedi che la forza del braccio poiché è lo spostamento del centro di equilibrio a determinare la potenza. La corda, dunque, può essere una frusta o una catena ma è proprio grazie a questo che impariamo a condurre la nostra lotta, a prepararci, ad affermare una forza.
Altrimenti resteremo sempre e soltanto all’estasi vuota dell’attore che “imita” un passo dell’Alcesti, che riproduce con le sole espressioni del volto o con un gesto vuoto la psicologia di un dolore; si tratta invece di essere Alcesti, di vivere e comprendere la perdita di Admeto, quando perde la donna che ama. Si tratta, più precisamente, di ri-vivere, essere capaci di trasformare il dolore, far vivere ancora quelli che ci sono stati portati via, ri-creare il senso di una vita in tutta la sua complessità; anche se questo significa mischiare il triviale e il terribile, l’epopea di biutiful con l’evento spaventoso del comizio di Berlinguer a Padova.
Tutto ciò per imparare a condurre una battaglia autenticamente politica, dove, per prima cosa, bisogna lasciar andare la retorica del vittimismo; l’etica dello schiavo su cui da sempre fanno leva speculatori, ignoranti arricchiti e politicanti da quattro soldi; la logica della necessità che ci spinge a sopportare tutto e ad abbandonare le nostre priorità. Sembra che per imparare, di nuovo, tutto ciò che conta veramente nella vita occorra la finzione, l’arte, il teatro. Serve “l’immagine atletica di un corpo impegnato nella lotta”.


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