mercoledì 13 marzo 2019

La donna clitoridea e la donna vaginale, di Carla Lonzi


«Il sesso femminile è la clitoride, il sesso maschile è il pene.»

Questo è l’assioma di partenza del celebre saggio di Carla Lonzi del 1971. Da questa “scoperta” l’autrice sviluppa la sua teoria psicoanalitica che, a partire dalla mappatura dei luoghi del piacere sessuale femminile, ricostruisce la soggettività della donna come soggettività autonoma rispetto a quella maschile, un “soggetto imprevisto” che mette in discussione le fondamenta della cultura e della civiltà, che irrompe nel mondo dialettico costruito dagli uomini, uscendo dalla dimensione spettrale in cui l’uomo l’ha relegata e affermando la propria esistenza piena, densa, concreta.

Perché la clitoride come organo precipuo della sessualità femminile è una scoperta? Dagli albori della civiltà sino alla psicoanalisi freudiana, l’organo della sessualità femminile è stato identificato con la vagina. Lonzi comincia la sua riflessione ribaltando questo dato di fatto, mettendo in discussione un dogma accettato sia dagli uomini che dalle donne e sostenendo che proprio questa accettazione è stata l’origine dell’ «angoscia della donna» e, più in generale, del disagio della civiltà. Il fatto che la vagina sia stata dichiarata sede ufficiale del piacere femminile è il primo atto di colonizzazione del corpo della donna da parte dell’uomo. Il primo atto di violenza e sottomissione, da cui si dispiegano la personalità aggressiva, dominatrice dell’uomo e la personalità alienata e spettrale della donna.

La vagina è una zona «moderatamente erogena». L’autrice riporta gli studi di Freud e Reich sulla frigidità femminile oltre che studi anatomici sull’orgasmo vaginale e quello clitorideo. Nella psicoanalisi “maschile” l’orgasmo clitorideo è considerato un tipo di piacere infantile, mascolino, autoreferenziale. La donna sana e pienamente sviluppata è colei che, dandosi completamente al suo uomo, è capace di raggiungere l’orgasmo vaginale. Coloro che non ne sono capaci, sono affette da frigidità, non hanno avuto un regolare sviluppo sessuale.  Lonzi si pone una domanda apparentemente semplice: perché la clitoride, l’unico organo che è in grado di procurare alla donna un orgasmo certo, spontaneo, immediato, è considerato un organo sessuale infantile? Perché l’orgasmo vaginale, che invece richiede una serie complessa di mediazioni psichiche e di processi di adattamento, è considerato l’autentico orgasmo femminile?

Nel maschio il piacere e la procreazione coincidono nel medesimo atto. Il pene è l’organo che provvede al soddisfacimento di entrambi i bisogni, quello individuale e quello della specie. Nella donna le cose non stanno così: la vagina è sì l’organo della procreazione, ma non è quello del piacere sessuale, se non in misura marginale. L’atto colonizzatore dell’uomo impone la coincidenza che è solo a lui propria. Sull’oblio di questa infibulazione originaria si fondano tutte le civiltà umane.
La vagina diventa il totem della sottomissione femminile e la clitoride il tabù, lo scandalo di una sessualità femminile che non ha bisogno dell’uomo. L’identità della donna si avviluppa in questa proibizione ancestrale, cercando in ogni epoca di adattarsi. Ma questo adattamento non è indolore, né compiuto definitivamente. Emergono allora due tipi psicoanalitici: la donna vaginale e la donna clitoridea.

La donna vaginale è colei che è riuscita ad adattarsi alla proibizione imposta dall’uomo. Vive l’illusione dell’orgasmo come il momento in cui il piacere della donna e quello dell’uomo esplodono all’unisono. Vive l’illusione della sessualità, del sesso come atto d’amore. Sacrifica il suo piacere immediato, quello clitorideo, alla trascendenza del Vero Amore, del Vero Piacere, di quel “qualcosa in più” che solo l’uomo può dare.  È una donna che cerca di adeguarsi al maschio in ogni sua azione, anche quando rivendica i propri diritti e il proprio ruolo nella società. Una società che resta quella edificata dal maschio, nella quale la donna vaginale non chiede altro che di essere accolta e accettata. La donna vaginale lotta per il diritto all’aborto e alla contraccezione senza però chiedersi “Per chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi?”, senza risolvere la contraddizione della società contemporanea per cui si controllano le nascite ma si lascia intatto il modello di sessualità procreativa. Una contraddizione che resta irrisolta e tutta a vantaggio dell’uomo.

La donna clitoridea è invece una donna che non riesce ad adattarsi, che attraversa l’angoscia della sua diversità per poi affermarne la potenza e la preziosità.

«La donna clitoridea non è la donna liberata, né la donna che non ha subíto il mito maschile – poiché queste donne non esistono nella civiltà in cui ci troviamo – ma quella che ha fronteggiato momento per momento l’invadenza di questo mito e non ne è rimasta presa. La sua operazione non è stata ideologica, ma vissuta durante buona parte della propria vita attraverso ogni sorta di sbandamenti rispetto alla norma, sbandamenti che nella cultura maschile venivano interpretati come una ovvia manifestazione delle velleità dell’inferiore. Ma è stato proprio attraverso di essi che la donna ha potuto cominciare a sperimentare la propria iniziativa resistendo alla pressione della colonizzazione che la richiamava pesantemente ai ruoli con la promessa di gratificazione e consenso dell’uomo. La donna clitoridea ha registrato con rabbia, impotenza e deliberazione totale di salvare almeno se stessa, il momento in cui le proprie compagne venivano inghiottite dal mondo maschile e sparivano senza lasciare traccia di sé e non ha potuto darsi ragione di tutte quelle vite perdute, del fatalismo con cui alla fine accettavano che un altro ispirasse i pensieri e i gesti, e ha intuito una macchinazione storica contro il suo sesso. La donna clitoridea è una donna che ha resistito sull’autocoscienza reprimendo in se stessa tutta una parte di femminilità finché non ha scoperto che era la parte della femminilità che l’uomo aveva imposto e alimentato nella donna, ma lei non l’ha fatto sulla garanzia della liberazione, ma sull’autenticità che può finire nel nulla di fatto».

La donna clitoridea  è una figura psicoanalitica, storica, umana che pone, con la posizione della sua esistenza autonoma e indipendente, nuovi modi di vita e di relazione, che il femminismo interpreta ed elabora. Non è l’antagonista dell’uomo, ma semplicemente un soggetto diverso, che non rivendica l’integrazione all’interno di una società già data, ma cerca di modificarla attivamente. La donna clitoridea propone una nuova forma di sessualità in cui il piacere della donna è rispettato, e in cui l’uomo, rinunciando al suo ruolo di dominatore, elimina ogni criterio efficientistico che quel ruolo comporta (dalle ossessioni per le dimensioni del pene a quelle per la durata delle prestazioni sessuali). La donna, attraverso la presa di coscienza della sua sessualità, recupera il suo piacere immediato e spontaneo, che non genera frustrazione né angoscia. Ricostruisce la propria identità, si afferma come autocoscienza, pronta a rivivere quella solidarietà femminile che caratterizza l’infanzia e l’adolescenza. Si fa soggetto concreto e creativo e, solo in quanto tale, disposto a spendersi per gli altri.



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