sabato 27 ottobre 2012

"Dell'amore e di altri demoni" di Gabriel García Márquez

«Per te nacqui, per te ho la vita, per te morirò e per te muoio

Nel 1949, le cripte funerarie del convento di Santa Clara, a Cartagena de Indias, vengono aperte per dei lavori di ristrutturazione. Il caporedattore del giornale per cui il giovane Gabriel García Márquez scrive, reputa che presenziare all'evento possa fruttare un articolo.
Fu così e anche meglio: da una tomba scoperchiata e contrassegnata da un nome senza cognomi, Sierva Marìa de Todos los Angeles, il giovane giornalista vede emergere una lunghissima, impressionante chioma di capelli rossi, ancora attaccati al teschio di una ragazzina morta circa duecento anni prima. Si tratta forse di una Santa non meglio identificata, una dodicenne famosa nei Caraibi per essere morta di rabbia in seguito al morso di un cane e per essere stata in grado di compiere miracoli.
García Márquez unisce la suggestione dei racconti di sua nonna sulla piccola Santa e la vista perturbante di quel cranio di adolescente ancora adorno di capelli (ben ventun metri!): dal felice connubio nascono un articolo che nessuno ricorderà più e un libro che rimarrà sempre nel cuore di chi ha avuto il piacere di leggerlo.
"Dell'amore e di altri demoni" è un libro recente, pubblicato nel 1994. Eppure, ha l'irresistibile potere di trascinare il lettore in un passato coloniale ricco di suggestione. La storia della piccola Sierva Marìa si snoda tra cani rabbiosi ed esorcismi, manicomi e mercati sovraffollati, stagioni delle piogge e lazzaretti. Dalla piccola prefazione in cui l'autore racconta della nascita di questo libro, sono rimasta immediatamente catturata dal tono immaginifico e un po' macabro di "Dell'amore e di altri demoni". Sfogliando le prime pagine, sono rimasta avvinta dall'atmosfera variopinta e insieme oscura di quella Cartagena de Indias piena di mediconi e negrieri, monache e contrabbandieri. Ma sopra ogni altra cosa, e nel migliore stile "Garcìa Márquez", signore incontrastato di tutto il resto è l'amore. L'amore, pervasivo e demonico, folle e tragico, irresistibile.
Leggendo questo libro ti innamorerai di Cayetano Delaura e della sua passione disperata. Rimarrai impressionato e turbato dalla misteriosa e spettrale Sierva Marìa (o, se sei un esaltato come me, desidererai di avere una figlia da chiamare come lei). Ti calerai in un quadro dipinto a tinte forti e punteggiato di magia, e lo farai con tale intensità da continuare a sentire odore di mare e campanule anche dopo aver voltato l'ultima pagina.
Personalmente, non posso che sentirmi immensamente debitrice al mio querido Valerio, che con leggerezza mi ha regalato quello che è diventato uno dei miei libri preferiti di sempre.
E' uno spettacolo. Un vero spettacolo. 

«Lei gli domandò in quei giorni se era vero, come dicevano le canzoni, che l'amore poteva tutto. 
– È vero – le rispose lui – ma farai bene a non crederci.»

venerdì 26 ottobre 2012

"La vendetta" di Agota Kristof

«Ci sono stati degli omicidi?»
«Sì. Tutto è spazzato via dall'acqua limpida della redenzione. Ma i morti ritornano, il mare non li vuole. Li spedisce in un altro canale che li riporta qui. Dopodiché girano intorno alla città come le anime del passato.»

«Eppure sembrano felici.»
«Hanno il volto contratto in un'eterna espressione di gentilezza. Ma chi può sapere che cosa provano?»
«Tu, probabilmente.»
«Io vedo solo l'esterno. Constato.»
«Che cosa constati?»
«Che qualsiasi esterno circondato da un altro esterno diventa interno così come un interno si tramuta indiscutibilmente in esterno.»

Quando ho finito di leggere questo libricino, non ho potuto fare a meno di pensare alla Filosofia. Pensiero di pensiero che si radica nel quotidiano: come definire altrimenti la penna della Kristof?
Essa scrive di menzogne, delusioni, solitudini, nostalgie, alienazioni: ferisce più la penna che la spada! Ebbene, i venticinque racconti di cui questa raccolta è composta inchiodano alla meschinità di una realtà a volte grottesca, a volte estranea, a volte agghiacciante e la illuminano nella sua comprensibilità. Il lettore si immerge in queste atmosfere surreali per riscoprire qualcosa di sé-nel-mondo e non può che amare o odiare la scrittrice. Non ci sono sfumature di colore: i toni schietti e fulminanti di questa raccolta non ammettono repliche perché sussistono di per sé. E fanno esistere l'inesistente, esprimere l'inespresso, apparire il nascosto.
Questa più che una recensione vuole essere una modesta presentazione: la Kristof non ha bisogno di spiegazioni. Tutti la comprendono perché arriva dritta all'anima delle cose, come un profeta. A me piace immaginarla mano nella mano con ognuno dei suoi personaggi: ora è col ladro di appartamenti, ora ascolta la moglie omicida, ora riesuma il ricordo dell'operaio in fin di vita, ora sorride al musicista da giovane. Agota c'è e testimonia. Per noi.
Lo consiglio soprattutto a chi desidera risposte.
Buona lettura!

«Suoni» - disse
«Non riesco. Perché hanno riso?»
«Per il disagio. Non potevano sopportare la sua musica...il suo dolore.»

venerdì 19 ottobre 2012

Mo Yan, Premio Nobel per la Letteratura 2012

Per il suo realismo magico, che mescola racconti popolari, storia e contemporaneità


Questa è la motivazione per cui Mo Yan, scrittore cinese, è stato insignito del prestigiosissimo premio.

La decisione dell'Accademia Reale Svedese ha sortito perplessità e perfino critiche: Mo Yan, infatti, sarebbe ritenuto uno scrittore sottomesso e servile nei confronti del governo autoritario di Pechino, il che non gli fa guadagnare tutte le simpatie dei lettori occidentali. Infatti, lo scrittore non fa parte dei "dissidenti".
La storia della letteratura è ricchissima di autori balzati agli onori delle cronache per indubbi meriti e talento, ma anche perché dissidenti nei confronti dei governi autoritari dei loro Paesi e per questo spesso costretti all'esilio o alla fuga: Marìa Zambrano, Vladimir Konstantinovič Bukovskij, Aleksandr Solženicyn, Gao Xingjian sono solo alcuni. Mentre il placido e discreto Mo Yan ha ottenuto il più prestigioso tra i premi internazionali per la letteratura facendola in barba anche ad un altro candidato allo stesso Nobel 2012, il dissidente cubano Oscar Elías Biscet.
Lo pseudonimo che lo scrittore cinese si è scelto, in sostituzione del suo vero nome Guan Moye, sembra un messaggio subliminale al riguardo: significa "Colui che non vuole parlare".
Rumors a parte, concentrandoci sui meriti letterari di questo controverso autore, dobbiamo riconoscere di non saperne moltissimo: Mo Yan è stato infatti finora poco conosciuto presso il grande pubblico italiano, anche per via del fatto che alcune sue opere sono tutt'ora inedite nel nostro Paese (ma non dubitiamo che il conferimento del Premio Nobel sarà una spinta potente in tal senso).
Dopo una giovinezza di fatiche e sacrifici, tra lavoro nei campi e vita contadina, Mo Yan ha finalmente intrapreso la carriera letteraria nel 1981, con titoli come "Grande seno, fianchi larghi" (visione sensuale della Cina degli anni '30), "Supplizio del legno di sandalo" e l'ancora inedito in Italia "Rane".
Il più famoso fra i suoi titoli per il momento resta "Sorgo rosso", la cui fama è stata accresciuta dalla realizzazione dell'omonimo film di Zhang Yimou nel 1988.

domenica 14 ottobre 2012

Tracce di poesia - Wisława Szymborska


Oggigiorno la prosa è, quasi per definizione, quella forma di letteratura che ha surclassato e surclassa la poesia: lettori grandi e piccoli si affacciano allo scenario culturale attraverso la narrativa di qualsivoglia tipo. C'è chi predilige i romanzi gialli di Agatha Christie, c'è chi compra Guillaume Musso, c'è chi si lascia ammaliare dalla pubblicità di "Cinquanta sfumature di grigio".
Ma l'eccezione conferma la regola!
La lente d'ingrandimento, per questa settimana, si soffermerà sul Nobel per la letteratura del 1996: Wisława Szymborska, celebre (almeno per gli appassionati) poetessa polacca. In Polonia, i volumi di Wisława hanno raggiunto cifre di vendita in grado di competere con quelle della prosa. Un grandissimo traguardo, specie se a conquistarlo è stata una donna che ha da sempre nutrito una certa amarezza nei confronti dei consensi letterari.
In una delle sue più celebri poesie, "Ad alcuni piace la poesia", scrive:

"Ad alcuni -
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille."


Visse la sua adolescenza sotto l'occupazione tedesca: si diplomò nel 1941, seguendo dei corsi clandestini. Si iscrisse poi all'Università Jagellonica, ma non conseguì mai la laurea a causa delle scarse possibilità economiche.
Avvicinatasi all'ambiente letterario grazie al poeta e saggista Czesław Miłosz, dapprima pubblicò le sue poesie su vari giornali e periodici: riuscì a pubblicare la sua prima raccolta, "Per questo viviamo", solo nel 1952. Il regime socialista, infatti, aveva vietato la pubblicazione del volume nel 1949, nonostante la giovane Wisława fosse una sostenitrice di Stalin, Lenin e del realismo socialista. 
Pubblicò il secondo volume, "Domande poste a me stessa", nel 1954. 
A partire da quegli anni, condusse una riflessione politica che la portò, successivamente, a rinnegare il passato socialista (che definì "peccato di gioventù") e, nel 1960, a lasciare il partito. 
Dal 1957, anno di pubblicazione della sua terza raccolta "Appello allo Yeti", si dedicò a diversi giornali letterari: collaborò al settimanale di Cracovia "Vita letteraria", al giornale degli emigranti polacchi a Parigi "Kultura", al mensile "Pismo".
Negli anni 80 intensificò la sua attività di opposizione, collaborando al periodico "Arka" con uno pseudonimo e aderendo al sindacato clandestino Solidarność.
Un altro Nobel, il poeta russo esiliato in America Josif Brodskij, parlò di lei nel 1988 come di una delle grandi voci poetiche del Novecento. Da quel momento venne letta anche in Italia. 
Nel 1996 ricevette il Premio Nobel e donò il premio in denaro in beneficenza.
Nel 2005 venne pubblicata la sua ultima raccolta, dal nome "Due Punti", che ha riscorsso enorme consenso.
La poetessa, definita da La Stampa "testimone del presente", è morta proprio nel 2012 e ci ha lasciato una mole considerevole di poesie con la P maiuscola: lo stile abbraccia la semplicità, ma denuncia lo sgomento del mondo odierno. Non a caso suo grande ammiratore è il regista Ferzan Ozpetek, che mette in scena la quotidianità problematica-e-non, con un fluidità che arriva dritta allo spettatore. Bene, Wisława è proprio questo: non ha bisogno di fronzoli, paroloni. Si fa ispirare dalla nuda e chiara realtà, quella che è fatta di penombre evidenti, di gioie inaspettate, di speranze irrisolvibili.

Di seguito, uno dei più suggestivi elogi della scrittura:

 

La gioia di scrivere

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi ad un'acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio - anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola "bosco".

Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.

In una goccia d'inchiostro c'è una buona scorta
di cacciatori con l'occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d'occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C'è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere
Il potere di perpetuare.
La vendetta d'una mano mortale.

venerdì 12 ottobre 2012

"Da dove viene il vento" di Mariolina Venezia


"Non c'è niente di quanto mi sta attorno in cui mi riconosco. L'estraneità si è insinuata un po' alla volta senza che me ne rendessi conto, anche se ogni tanto, è vero, ha dato delle spallate, degli scossoni. Il risultato è che mi muovo in un mondo rassicurante ed estraneo, del quale potrei fare a meno e che potrebbe fare a meno di me."

Quattro storie diverse: quella di due amanti, Dora e Salvatore, che dopo aver avuto una storia ai tempi dell'università si rincontrano e si riamano. Dora è una docente universitaria, dall'animo sensibile, che guarda il mondo e narra la sua storia in modo profondo e poetico; Salvatore è un uomo inquieto, trascinato dalla passione e dal vizio, che nel corso della sua vita si incarnano nella droga, negli investimenti rischiosi, in Dora. La storia di un immigrato clandestino, Idir, il quale affronta mille difficoltà per giungere in Italia, attraversarla e raggiungere il suo amato cugino in Francia. Quella di Colombo, in attesa di una terra che non sembra mai spuntare all'orizzonte, preso da continui dubbi ed incertezze. Ed infine quella di un astronauta sospeso nello spazio, dimenticato lì, perchè, durante la spedizione, crolla il regime sovietico e nessuno si preoccupa di quel puntino nell'universo, tutti presi dalle vicende sulla terra. Questi personaggi, così diversi tra loro, hanno una cosa in comune: lo smarrimento. Sono tutti sospesi, in una vita che non sembra andare da nessuna parte, in un mondo che non li riconosce, tra la gente che non li capisce. Sono soli, sono perduti. Ad un certo punto, però, comincia a soffiare il vento, quel vento emanato dal respiro dell'amore (come narra la leggenda raccontata da Idir), che smuove una situazione di immobilità e di incertezza. Perchè la nostra vita dipende da noi, ma raramente siamo in grado di gestirla: e allora soffia il vento, che fa in modo che le cose tornino a posto, che ognuno trovi il suo posto.
Un romanzo delicato ma allo stesso tempo forte, incisivo, drammatico. Una prosa che sfiora la poesia per il mistero, la profondità che esprime. Un romanzo che parla di ognuno di noi. Atomi nell'universo. 

venerdì 5 ottobre 2012

Tracce di poesia - Dino Campana

Il nostro appuntamento settimanale è arrivato! 
Questa volta parleremo di Dino Campana e della sua storia d'amore con Sibilla Aleramo.
Lui fiorentino, lei piemontese, entrambi appartengono a quella generazione di promesse speranze nata nella seconda metà dell'Ottocento. Dino risente del clima oscurantista dell'Italia di quegli anni: ancora ventenne, il suo bisogno di fuga viene interpretato dalla famiglia come un sintomo di pazzia.
Costretto a passare di manicomio in manicomio, è nel 1913 che si reca nella redazione fiorentina della rivista "Lacerba" per consegnare il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Consegna l'unica copia realizzata, ma il manoscritto non viene preso in considerazione e va perduto: il giovane, la cui mente è già instabile, si dispera. Arriva addirittura a minacciare i fondatori della rivista, che definisce "sciacalli".
Nella primavera del 1914, Campana riesce finalmente a pubblicare la raccolta (con il titolo di "Canti Orfici"), riscritta grazie ai pochi abbozzi tenuti da parte.
Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, il poeta viene esonerato dal servizio militare perché ormai segnalato come malato psichiatrico grave.
Nel 1916 incontra Sibilla Aleramo, la scrittrice di "Una donna". I due si innamorano follemente e intraprendono una storia d'amore, non senza problemi: lei ha ben nove anni in più di lui, è una donna intelligente e mondana; Dino, più introverso, manifesta continue crisi che successivamente saranno giustificate dai medici con la diagnosi di ebefrenia, una forma estremamente grave di psicosi schizofrenica. 
La relazione procede per circa un anno, tra battibecchi che somigliano a risse, fughe e inseguimenti, fino a quando la scrittrice fa visitare Campana da Ernesto Tanzi, un illustre psichiatra. Da quel momento i due protagonisti della letteratura novecentesca si dividono (alcuni sostengono che Campana fosse affetto da sifilide), scambiandosi qualche lettera rabbiosa. È tutt'al più Dino a contattare in maniera asfissiante (si insedia in casa sua e le scrive: «Sono nella tua stanza. Dimmi se devo viverci o morirci») Sibilla, rifugiatasi in un villaggio ai piedi del Monte Rosa.
Quando per lei arriva il momento di fare ritorno a Milano e Firenze, la donna gioca un brutto scherzo all'amante, procurandone l'arresto temporaneo (sarà proprio lei stessa, poi, a rimediare). 
Subito dopo (1918) Dino viene internato nell'ospedale psichiatrico di Scandicci, dove muore nel 1932.
Per approfondire la vita di Dino Campana e la sua storia d'amore con Sibilla Aleramo: 
  • la Feltrinelli ha pubblicato una raccolta di lettere dal nome "Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918" 
  • nel 2002 Michele Placido ha diretto il film "Un viaggio chiamato amore", con Stefano Accorsi e Laura Morante
  • Sebastiano Vassalli ha scritto il romanzo-biografia "La notte della cometa", edito da Einaudi
Di seguito una delle più belle poesie di Dino Campana per la sua Sibilla: 

In un momento

In un momento
sono sfiorite le rose
i petali caduti
perché io non potevo dimenticare le rose
le cercavamo insieme
abbiamo trovato delle rose
erano le sue rose erano le mie rose
questo viaggio chiamavamo amore
col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
che brillavano un momento al sole del mattino
le abbiamo sfiorate sotto il sole tra i rovi

le rose che non erano le nostre rose
le mie rose le sue rose.
Una scena del film "Un viaggio chiamato amore"
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