sabato 25 aprile 2015

"I figli di Alcide non sono mai morti": i fratelli Cervi e la Liberazione

«Ma io scrivo ancora parole d'amore,
e anche questa è una lettera d'amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell'Orsa: ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d'amore nel silenzio.

Non sapevano soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo di razza contadina.
L'amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.»

[Ai fratelli Cervi, alla loro Italia di Salvatore Quasimodo]

I fratelli Cervi non erano dirigenti del PCI in clandestinistà, né fini intellettuali, né antifascisti idealisti di ispirazione crociana. Erano contadini della Bassa padana, erano affittuari di un appezzamento a Olmo di Gattatico e lo lavoravano con i metodi più tradizionali e pesanti prima di potersi permettere un trattore. Il terzogenito Aldo risulterà il più istruito dei sette, avendo potuto apprendere non solo dal lavoro dei campi ma anche da quella che chiamerà "l'università della prigione" (dove sconta tre anni per errore ed eccesso di zelo, avendo ferito a un dito un tenente colonnello che non aveva risposto al chi va là). L'antifascismo che anima i sette maschi della figliata Cervi fino a costituirsi in banda e farsi eroi e martiti della Resistenza non passa solo per la lettura dei libri proibiti dal regime, che Aldo e i suoi fratelli leggono e riuniscono in biblioteca, esortando compagni e vicini a leggerne a loro volta. Passa anche per il loro essere brave persone, pronte a sacrificare la propria tranquillità domestica e bucolica per liberare gli italiani che "hanno dormito per diciotto anni", come afferma stizzito Aldo (Gian Maria Volonté) nella trasposizione cinematografica del libro in cui Alcide Cervi racconta la storia dei suoi sette figli, partigiani rastrellati e fucilati dai fascisti. Dal nonno Agostino Cervi che capeggiò la rivolta contro la tassa sul macinato del 1869, la "tradizione" di casa Cervi era quella di una come istintiva opposizione alla diseguaglianza sociale.
I fratelli Cervi non si fecero partigiani per il piacere di brandire fucili o darsi allo sciacallaggio, come i più ignoranti rinfacciano agli eroi della Resistenza. Di sette maschi, sei si fecero riformare (uno con la scusa di un'ernia, un altro riconoscendo il figlio di Aldo come suo e risultando così padre di famiglia numerosa): il rifiuto netto è per la guerra ingiusta e dannosa, che va ripudiata (come poi scriveranno i nostri Padri Costituenti). Non è certo la vigliaccheria a far tirare indietro i Cervi, che imbracceranno sì il fucile, ma per la causa che riterranno giusta e che costerà loro la vita. Le armi sono l'ultima scelta, quella che non si vorrebbe fare, ma che a volte è dolorosamente necessario fare. Sempre nel film diretto da Gianni Puccini, Aldo parla di quanto ha imparato in galera sui fascisti: «non bisogna mai dargli tregua, non fermarsi mai, fargli sempre sentire il peso della nostra presenza. Con il lavoro, con la parola, con le armi se necessario.»
Così si resiste: con il lavoro e le armi, e con la parola che passa per l'insegnamento, per l'impegno intellettuale oltre che morale, per la carta stampata (durante il regime, la carta proibita). Questa è la più grande lezione che i fratelli Cervi ci abbiano lasciato: che di fronte all'ingiustizia resistere si deve, anche se costa molto, anche se è spaventoso. E che per farlo bene occorre sapere, occorre scrollare gli altri dal sonno, bisogna accendere biblioteche come falò per illuminare, per diffondere la cultura, per fare strabuzzare gli occhi e scuotere dal torpore dell'indifferenza, dell'abulia da cui Antonio Gramsci ci ha messi in guardia:
 

«L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare

Che nessuno si consoli con la comoda scusa della propria indifferenza-innocenza, perché una simile categoria storica non esiste. Esiste il passivo lasciare fare, che è un consenso silenzioso. Ed esiste il consenso acritico, che non tace ma urla per coprire le voci dissenzienti, per coprire l'eco terrificante del suo vuoto, ottuso obbedire.

 Il film del 1968, "I sette fratelli Cervi", racconta la loro storia con sobrietà e naturalezza, senza nulla concedere ai fasti dell'epopea o ai toni eroici di una santificazione postuma. Della famiglia Cervi ci mostra la semplicità contadina e l'umanità, dalla vita sentimentale di Aldo alle preoccupazioni della mamma-chioccia Genoeffa (che poco dopo l'eccidio dei figli maschi muore di crepacuore). Aldo-Gian Maria Volontè si lascia accompagnare senza retorica nel percorso di maturazione della propria coscienza politica, di consolidamento dei propri ideali di giustizia sociale, che vanno dal cattolicesimo a cui rivendica l'appartenenza al Manifesto del partito comunista che legge in carcere.
Noi di Caratteri Vaganti vi consigliamo la visione di questo film per riscoprire e meglio ricordare un tassello della nostra storia. Papà Alcide Cervi, ricevuta una medaglia che lo raffigurava come una quercia con sette rami mozzati, disse che di questa quercia occorreva guardare il seme, che è l'ideale nella testa dell'uomo. A noi piace ricordare i fratelli Cervi, Duccio Galimberti, Felice Cascione e tutti gli altri che non vollero restare indifferenti, nella certezza che la memoria storica sappia dissodare il terreno su cui questo seme possa attecchire.

2 commenti:

  1. L'altro ieri a Monte Sole si è avuto l'onore di sentir parlare sul palco Adelmo Cervi, figlio di uno dei sette fratelli (Aldo). Nonostante fosse costretto alla sedia a rotelle con la gamba ingessata, è riuscito a dimostrare una grandissima grinta. Il suo dovere è quello di farci aprire gli occhi su ciò che realmente è accaduto, portando avanti la memoria della sua famiglia... un uomo davvero da ammirare!

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