giovedì 23 aprile 2020

Xenofemminismo, di Helen Hester


Lo Xenofemminismo, o XF, può essere visto in un certo senso come un lavoro di bricolage, dato che sintetizza cyberfemminismo, postumanesimo, accelerazionismo, neorazionalismo, femminismo materialista e altro ancora, nel tentativo di dar forma ad un progetto adeguato alle condizioni politiche dell’epoca contemporanea.

Quando ho cominciato a leggere queste prime righe dell’Introduzione, ho pensato che questo saggio di Hester pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti e tradotto in italiano nello stesso anno, fosse uno di quegli esercizi di eclettismo sterile che spesso ho incontrato nel mio non molto lungo percorso di lettrice di testi femministi. 

In buona parte mi sono dovuta ricredere.  La mia maggiore perplessità riguardo al femminismo contemporaneo e agli studi di genere è la loro parzialità, l’astratto formalismo, l’esercizio elementare di catalogazione dei gusti sessuali e dei cambiamenti di genere che dà origine ad una serie di categorie alienate rispetto al contesto storico, economico e sociale, nei confronti del quale spesso si tiene un atteggiamento di spocchiosa indifferenza, quasi a voler dire “Ma ancora dobbiamo occuparci di questioni sociali? Il tempo delle lotte di classe è finito!” L’eclettismo, l’individualismo e l’aperta o inconscia adesione all’ideologia di destra, l’antimarxismo latente o palese che caratterizza spesso questi scritti, mi ha resa diffidente e dubbiosa nei confronti di questo indirizzo di ricerca filosofica, ormai ben collaudato e con la sua strutturata egemonia.

Non è il caso del manifesto di Hester, la quale, aldilà di alcune eccentricità linguistiche e contenutistiche tipiche di certa letteratura statunitense, elabora alcuni concetti che permettono ai movimenti e alla teoria femministi di ampliare la loro prospettiva, inserendo la questione dell’identità del genere nel contesto in cui si dà. Proprio perché l’identità non è una definizione teorica, ma una prassi politica, è all’ambiente sociale, all’organizzazione politica, al tempo storico che bisogna guardare.

I concetti fondamentali che consentono ad Hester di ampliare la sua prospettiva di genere sono il tecnomaterialismo, l’antinaturalismo e l’abolizionismo del genere.

A voler essere pignoli, il termine “tecnomaterialismo” è frutto di una non necessaria fusione tra il materialismo (storico-dialettico) e una certa filosofia borghese che fa della tecnica un problema in sé, penso ad esempio ad Heidegger. Per il materialismo la tecnica è un problema che c’è sempre, in ogni epoca storica, e allo stesso tempo non è mai un problema in quanto tale: il problema delle macchine sta nell’uso che se ne fa, ossia nei rapporti sociali che sono costruiti attorno all’uso e alla produzione delle macchine, intorno ai fini dell’utilizzo delle tecnologie. Ma perdoniamo questo neologismo ad Hester poiché è proprio questo il problema che l’autrice intende porre: come si caratterizza il mondo del lavoro nell’epoca dello sviluppo tecnologico? Come la tecnica influenza la riproduzione biologica e sociale?
Già Marcuse si era posto questi problemi negli anni cinquanta, interrogandosi sulle potenzialità dello sviluppo tecnologico in atto, ma anche sulle forme di alienazione causate dall’uso capitalistico e monopolistico delle macchine. L’impostazione di Hester è molto simile: lo sviluppo tecnologico dà all’uomo l’opportunità di migliorare e progredire, ma questa fiducia nel progresso non è cieca e acritica.

L’antinaturalismo  è invece un termine che si collega alla tradizione marxista e progressista: inchiodare un’identità, un soggetto, una comunità alla natura è tipico del pensiero conservatore, per cui le cose sono quello che sono e sono immutabili, perché così ha voluto la Natura, o Dio, o una qualche altra Autorità. Per un manifesto progressista come Xenofemminismo, la riproduzione biologica e la riproduzione sociale si intersecano nel corso dello sviluppo storico. La tecnica rende ancora più visibile questa interconnessione, ed è proprio qui che si pone il problema politico del governo di questo sviluppo tecnologico, che deve favorire la libera espressione dell’identità di genere dei singoli, l’esercizio del diritto di volere o non volere dei figli, questioni che non sono identiche per tutti ma che si differenziano a seconda delle classi sociali e delle condizioni economiche in cui versano gli individui.

Infine l’abolizionismo di genere sostiene che obiettivo delle lotte dei movimenti femministi e di genere è l’abolizione dei generi stessi, ossia il conseguimento di una uguaglianza tra gli uomini tale che permetta loro di poter scegliere il proprio genere di appartenenza (con tutte le infinite sfumature tra un genere e l’altro) senza dover subire alcuna discriminazione. Un’anarchia sessuale fondata su poche regole condivise ed inclusive.

Per quanto abbozzato, questo manifesto costituisce il tentativo di elaborare, a partire dalle condizioni attuali, dalle tradizioni e dalle pratiche di cui disponiamo, una teoria progressista e razionale, critica nei confronti dello stato di cose e che prospetta nuove possibilità.


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