lunedì 25 giugno 2018

La Storia, di Elsa Morante



A scuola ci hanno insegnato la Storia con S maiuscola. Quel processo immenso, onnicomprensivo, fatto di grandi battaglie, di uomini eccellenti, della concatenazione di meccanismi economici e sommovimenti politici. La storia dei grandi imperi, delle guerre tra nazioni, dello scontro tra il mondo occidentale e i paesi colonizzati. Al di sotto di questa grande macchina complessa e di cui è difficile comprendere il funzionamento, si muove un piccolo mondo anonimo. Un mondo fatto di micro-storie sempre uguali a se stesse, di drammi mai scritti, di piccole e quotidiane lotte per l’esistenza. Il mondo anonimo della vita, per usare le parole di Husserl.

Una piccola umanità disorganizzata e mai narrata è il protagonista di questo capolavoro di Elsa Morante. Quell’umanità che mai avrà la dignità del racconto storiografico, viene accolta dal linguaggio dolce, materno, poetico della scrittrice. Un linguaggio semplice e commovente, come le storie, le piccolissime storie di cui l’autrice racconta.

Il periodo della Storia in cui il romanzo è ambientato va dal 1940 al 1947. Al di sotto della Seconda Guerra mondiale, della caduta del fascismo e della prima età repubblicana, si muove una maestra elementare, Ida, bruttina e avanti con gli anni stuprata da un giovane soldato tedesco, il figlio nato dallo stupro, Useppe, e il suo figlio maggiore, Nino. Attorno a questo piccolo nucleo famigliare si muovono una serie di uomini e donne del popolo, tutti ammassati nei rifugi per sfollati, che urlano la loro antica miseria e le loro speranze.

Il quadro creato dalla Morante è pieno di colori, di dialetti, di storie di povertà, di malattia e di morte. Di  amori struggenti, come quello tra Nino e Useppe, o tra Useppe e Bella, una pastora maremmana capitata nella famiglia per caso. Storie di grandi amicizie, come quella tra Nino e Davide, partigiani che non verranno mai citati nei libri di storia, condannati nel dopoguerra all’emarginazione sociale, alla delinquenza e alla tossicodipendenza.

Il popolo minuto, ritratto con eleganza, intelligenza e delicatezza, è la vittima prediletta della Storia. I grandi eventi lo travolgono, deturpandone l’innocenza, corrompendone l’equilibrio conquistato con lo sforzo quotidiano che l’esistenza gli impone. Come un piede che calpesta un gruppo di laboriose formiche, le quali si allontanano per riunirsi altrove, sempre alla ricerca di un luogo sicuro in cui vivere.

La figura più enigmatica, complessa e immediata al tempo stesso, il personaggio che di sicuro non si riesce a non amare  è Useppe, un bambino fragile, malato, nato per sbaglio. Un bambino che si reca scortato dalla sua cagna in un luogo fantastico sulle sponde del Tevere, che crea tante poesie meravigliose che non saranno mai scritte. Che di fronte agli orrori della guerra non riesce che a tacere.  Useppe incarna l’amore incondizionato per la vita, un amore che ha la sua origine nell’esistenza stessa, nell’essere stesso delle cose. Incarna il dolore antico dell’uomo, quello che necessariamente accompagna la vita. Useppe è la solitudine, la fragilità assoluta esposta al meccanismo impietoso della Storia. Useppe è la grande speranza dell’umanità, che la Storia fino ad oggi ha sempre tradito e ucciso.

La Storia è un grande ed un piccolo romanzo. Piccolo perché con sguardo “micrologico”, così lo chiama Adorno, descrive un mondo sempre ai margini degli eventi e del racconto. Grande perché grande è l’umanità che racconta, grande e profonda la vita che la attraversa, grande il silenzio a cui essa è destinata.


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