sabato 2 maggio 2015

«Lei non verrà mutilata»: donne contro l'escissione, "Moolaadé" di Ousmane Sembène

«Padre, è facile picchiare un figlio. Ma l'era dei tiranni è finita per sempre.»

Un giorno, in un villaggio del Burkina Faso, sei bambine scappano dalla cerimonia che le vorrebbe protagoniste: l'escissione. Quattro di loro si rifugiano da Collè, una donna che la vita ha reso ribelle e refrattaria alle tradizioni. Come tutte le donne del villaggio, da bambina è stata escissa e questa mutilazione è costata la vita delle sue due prime figlie, entrambe vittime delle complicazioni del parto. Nel dare alla luce la sua terza figlia, Collè viene incisa lungo tutto l'addome, l'enorme cicatrice che le risale fin sotto il seno è il segno visibile del sacrificio della donna per la vita della propria piccola e allo stesso tempo un monito. Collè decide di sottrarre l'unica figlia sopravvissuta al parto, Amsatou, alla mutilazione rituale, e quando la ragazza ormai cresciuta lo rinfaccia alla madre, Collè si indica lo squarcio sul ventre.
Le quattro bambine scampate al rito si rifugiano proprio da Collè, l'unica donna che ha sottratto sua figlia all'escissione, che l'ha voluta bilakoro (senza purificazione, non escissa appunto). Vogliono essere protette come è stata protetta Amsatou, non vogliono essere "tagliate". Collè le riceve nella sua casa e tira sulla soglia una fune variopinta, segno del moolaadé che nessuno deve infrangere, il sacro divieto di prendere le bambine con la forza per privarle della protezione di cui sono investite. Il villaggio si scaglia contro Collè: da un lato, gli uomini che pretendono mogli escisse per i propri figli; dall'altro, le donne stesse, fedeli alla tradizione piuttosto che commosse dal pianto terrorizzato delle piccole. Anche Amsatou rinfaccia alla madre la disobbedienza che rischia di fare di lei, come delle bimbe che protegge, un'emarginata sociale: il suo promesso sposo, un giovane emigrato a Parigi e di ritorno al villaggio per prendere moglie, deve subire le pressioni del padre per prendere in sposa una cugina poco più che bambina, piuttosto che una disonorevole bilakoro.
Personaggi chiave sono le salindane, custodi della tradizione incaricate di imporre la ferita rituale alla nuova generazione; Mercenario, ex-soldato che ha viaggiato per il mondo e non accetta più che l'assenza dell'escissione sia marchio di infamia per una donna; Ciré, il marito di Collè, che rispetta la tempra di sua moglie e la sua volontà, che non vuole imporle l'escissione dell'unica figlia nè farle violenza, e per questo motivo viene dileggiato da suo fratello e istigato contro di lei.
"Moolaadé" è l'ultimo film diretto da Ousmane Sembène, trionfatore a Cannes nella sezione un Certain Reguard nel 2004. Con la storia della ribelle Collè ci saluta una delle più importanti figure della cultura africana contemporanea, scrittore e cineasta senegalese, nato in una famiglia di pescatori e letterato autodidatta, paladino dell'identità africana all'indomani del colonialismo, sensibile ai temi più cupi e delicati legati alla società del suo Paese. In "Moolaadé", Sembène affronta il tema delicatissimo della tradizione e in particolare di quella tradizione che cozza fortemente con il diritto universalmente riconosciuto alle donne di avere salvo il proprio corpo dalle mutilazioni. L'escissione (nelle sue varianti fino a quella più invasiva e traumatica, l'infibulazione) è una pratica tanto difficile da sradicare proprio perché fortemente culturale. L'identità culturale passa anche per i suoi riti e per le connotazioni comportamentali e fisiche dei membri del gruppo: proprio questo rende l'escissione refrattaria a sradicamento nonostante molte nazioni del mondo l'abbiano ormai dichiarata fuorilegge e punibile con l'arresto. Questo punto è messo in luce da Sembéne: l'escissione non è necessariamente imposta con la violenza alle donne, ma sono esse stesse talvolta a pretenderla per sé e per le proprie figlie, perché si fa così, si è sempre fatto così, perché gli uomini non sposano le bilakoro, perché quel segno sul corpo parla del proprio gruppo, della propria storia e della propria identità. Sono le stesse donne del villaggio a rivendicare le perpetrazione della violenza tradizionale, sono anche loro (e non solo gli uomini) a mettersi contro Collè, rivendicando l'appartenenza della bambine al gruppo, la loro identità etnica e culturale, mentre la protagonista rivendica delle piccole la libertà di non essere "tagliate", di fare ciò che desiderano del proprio corpo, piccolo ma non per questo impersonale. Istanze contrapposte e inconciliabili che Sembène racconta con un film delicato, semplice sul piano sia filmico che narrativo, quasi naïf, e anche per questo onesto ed efficace. La scenografia, che ha un rarissimo analogo in "Kirikù e la strega Karabà", è una relativa novità per lo spettatore occidentale e una affascinante finestra sull'Africa, da noi quasi sempre conosciuta nelle varianti cinematografiche (spesso invase di clichè) del villaggio perso nella savana pullulante di leoni e della baraccopoli abitata da sfortunati imitatori della società europea e americana.
Sembène attinge a piene mani da una materia difficilissima e prende una posizione di una chiarezza abbacinante, che però non pone la soluzione del problema ma ne inaugura lo sviluppo dialettico. In particolare, emerge la difficoltà di estirpare un'usanza quando non sia vista unanimamente come un male: nel film, l'escissione è rivendicata dai carnefici (materiali, ossia le salindane, e morali, gli uomini, difensori del modello familiare tradizionale, patriarcale e poligamico, e delle categorie valoriali che premiano nella donna qualità come sottomissione e purezza, quest'ultima attestata dalla mutilazione che viene richiesta dal matrimonio) quanto dalle vittime. Ma non tutte le donne soggiacciono a questa logica: «Collé, rendiamo onore alla tua resistenza» dice una di loro dopo che Collé riceve numerose frustate in pubblico per porre fine al moolaadé, senza per altro cedere. Di fronte alla crudezza degli eventi, le donne maturano un approccio più critico verso la pratica dell'escissione, verso i suoi costi e le sue implicazioni. Il modello positivo offerto da Collè si accompagna ad una presa di coscienza autonoma da parte delle altre e porta all'identificazione di crescita culturale e ribellione. È la radio a portare la varietà e la vastità del mondo nel piccolo villaggio senza acqua corrente, a fare sentire alle donne le parole del Grande Imam che smentiscono il nesso tra religione ed escissione (tra i pregi del film, l'aver posto l'attenzione su questo facile fraintendimento). La prima moglie di Ciré afferma che il loro problema (loro, delle donne) è di essere ignoranti. Le radio, simbolo dello sviluppo culturale e dell'apertura sull'alterità, vengono sequestrate e messe al rogo dagli anziani del villaggio quando le donne iniziano a mettere in discussione i dogmi della loro società.
La doppia inquadratura finale è in realtà l'attesa di un finale, l'inizio di un cammino ancora lungo da percorrere: all'uovo di struzzo che sormonta da sempre la moschea del villaggio si sostituisce una nuovissima e occidentale antenna televisiva. Il televisore è un dono portato da Parigi dal giovane progressista, che dopo un'iniziale soggiacenza al tradizionalismo paterno decide di sposare la bilakoro a cui era promesso (e lei, senza ancora sapere di questa decisione, lo ammonisce finalmente con fierezza di non essere escissa e di non volerlo mai essere). La lotta dialettica tra vecchio e nuovo, tra identità e apertura, tra violenza e diritto è complessa e ancora da scrivere.

«Lei non verrà mutilata. Nessuna bambina verrà più mutilata.»

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