venerdì 25 ottobre 2013

"Le stelle che stanno giù - Cronache dalla Jugoslavia e dalla Bosnia Erzegovina" di Azra Nuhefendić

«Guardando dalle finestre, di notte, le luci della città apparivano come fossero delle stelle. "Guarda, le stelle stanno giù", diceva da bambina.
Anche noi adulti contiamo le stelle di Sarajevo che stanno sotto.»

Dei punti luminosi, terreni e terrestri, scambiati per stelle cadute: è la sacralità della "fratellanza dei popoli jugoslavi" che precipita su una terra dilaniata da contrasti fratricidi. Alla morte di Tito, le contraddizioni esplodono e non ci sono più Jugoslavi, ma Bosniaci, musulmani, Serbi, cattolici, Croati, comunisti atei. I solchi sono culturali, religiosi, etnici, e laddove la lingua parlata dagli ex-jugoslavi sia quasi identica ovunque si pretende anche ci siano barriere linguistiche.
In questo magma vorticante di contrasti e violenza, la giornalista Azra Nuhefendić è profondamente avviluppata.

«Pochi mesi dopo l'inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, mi licenziarono dal lavoro. Nella capitale della Serbia, il Paese che faceva la guerra alla Bosnia Erzegovina, a Belgrado, una musulmana non poteva sperare di trovare lavoro. Disoccupata, dichiarata un nemico pubblico, cercavo di sopravvivere

Coi diciotto racconti della raccolta, Nuhefendić ci trascina nelle odissee piccole e gigantesche di chi per la guerra ha perso il lavoro, la casa, la considerazione altrui, l'identità. Le contraddizioni dell'ex-Jugoslavia ci sono raccontate attraverso la storia della Zastava di "Kragujevac la rossa", la fabbrica dal passato solidamente socialista i cui operai negli anni Duemila manifestavano per poter continuare a produrre e vendere armi; la storia del "Six billion baby", il seimiliardesimo nato dell'umanità, che divenne occasione di pubblicità e risalto per l'allora presidente dell'ONU Kofi Annan per poi essere rigettato nella sua condizione poco migliore della miseria; la storia della Haggadah di Sarajevo, un manoscritto che gli Ebrei sefarditi portarono da Barcellona dopo l'espulsione del 1492 e che, tra atti di viltà e di coraggio, riuscì a sopravvivere ai secoli e infine alla follia nazista; attraverso la storia di Alija Sirotanović, il minatore che batté il record di Stahanov (estraendo coi suoi compagni ben 154 tonnellate di carbone) e diventò l'eroe nazionale, il volto stampato sulla banconota da dieci dinari negli anni '50.

«A Belgrado, fu ricevuto dal presidente Tito in persona e decorato con la Medaglia dell'Eroe. 
Scrivevano che Tito gli avesse domandato cosa egli volesse per sé. E Alija chiese due cose: che portassero l'elettricità nel suo paesino e che lo collegassero, con pochi chilometri di strada asfaltata, alla città più vicina. Detto fatto. Dopo, insistettero perché Alija esprimesse un desiderio più personale. Fedele a se stesso chiese una vanga più grande, per poter prendere più carbone.»

Piccole storie ereditate da una Jugoslavia socialista ormai in pezzi. Racconti tenebrosi di guerra, racconti semplici e toccanti di umanità e speranza. Nuhefendić racconta la sua Bosnia (e anche la sua Jugoslavia) attraverso uno stile snello, pulito, giornalistico: stupisce, coinvolge, istruisce e commuove senza artifici né facile retorica. I suoi diciotto racconti brillano per la propria intrinseca potenza narrativa, puri plot spesso didascalici e ricchi di digressioni e divagazioni. Chiaro e potente, "Le stelle che cadono giù" si legge in mezza giornata e lascia la gola riarsa, il desiderio inappagato di lasciarsi condurre ancora da Nuhefendić nella terra pacificata della sua infanzia, in quella dilaniata della sua età adulta. È una piccola lucente sorpresa, un libro raro e delicato che spalanca una finestra su una realtà storica e geografica che è interessante ed edificante indagare nei suoi risvolti più tangibili, umani, intimi. Un autentico Hemingway bosniaco, Azra Nuhefendić ci affida le sue cronache semplici come racconti orali, chiari come articoli, vividi come frammenti di vita vissuta.
Ogni racconto è un nocciolo di luce, una stella caduta giù per farci esprimere un desiderio. Quello di un'"internazionale futura umanità" in cui gli uomini smettano di scannarsi tra loro ed immiserirsi e dimenticarsi gli uni degli altri.

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