Con un ossequioso rispetto mi accingo a leggere "Le notti bianche" di Dostoevskij: è un libricino di 124 pagine, acquistato in un ipermercato alla modica cifra di 0,99 centesimi nella edizione Newton Compton. (0,99 cent: meno di un cornetto!)
Il titolo, che palesemente richiama il fenomeno atmosferico per il quale, in alcuni luoghi e periodi dell'anno, il sole tramonta dopo le 22, è senza dubbio emblematico: le notti bianche sono notti in cui una realtà appiattita si anima, facendo della speranza linfa vitale grazie alla quale un futuro dell’appagamento spodesta un presente dell’adeguarsi.
Una notte, il protagonista incontra Nasten'ka, una diciassettenne segregata in casa dalla nonna iperprotettiva: l'incontro fortuito risveglia l'animo introverso del giovane, che è un sognatore («Un sognatore - se è necessaria una sua definizione precisa -non è una persona, ma, sapete, un essere di genere neutro. Si stabilisce il più delle volte in qualche angolo inaccessibile, come se ci si nascondesse perfino della luce del giorno, e quando poi si rifugia a casa, allora si radica al suo angolo come una lumaca [...]») , e stuzzica la curiosità della ragazza, che cerca di dimenticare un amore ormai perduto. I due si rivedono per quattro notti, alle 22 in punto, dandosi appuntamento davanti alla panchina su cui la giovane aspetta di incontrare il ragazzo partito da un anno con la promessa di sposarla non appena avrebbe fatto fortuna. Quattro notti sono sufficienti per aprirsi l'un l'altro, dando vita a un empatico scambio di sentimenti e di vedute in cui è facile vedere il germoglio di un nuovo legame.
«[...] c'è, Nasten'ka, amica mia, un momento della mia giornata che amo particolarmente. È il momento in cui quasi tutti gli affari, i doveri e gli impegni terminano, e tutti si affrettano alle loro case per mangiare, stendersi a riposare e intanto, per strada, escogitano anche altri propositi allegri concernenti la serata, la notte e tutto il rimanente tempo libero. In quel momento anche il nostro eroe, - perché, Nasten'ka, permettetemi ancora di raccontare in terza persona, giacché in prima persona tutto ciò è terribilmente imbarazzante da raccontare, - cosicché, in quel momento, anche il nostro eroe, che lui pure ha avuto il suo daffare, cammina dietro gli altri. Ma uno strano sentimento di piacere gioca sul suo volto pallido, come un po' sciupato. Guarda con partecipazione il tramonto che lentamente si spegne contro il freddo cielo pietroburghese. Quando dico -guarda, mento: non guarda, ma contempla pressoché inconsciamente, come stanco o occupato al tempo stesso da qualche altro pensiero più interessante, cosicché forse solo di sfuggita, quasi involontariamente, può dedicare un po' di tempo a tutto ciò che lo circonda. [...] Nella camera si è fatto scuro; nella sua anima c'è vuoto e tristezza; l'intero regno dei sogni si è sgretolato intorno a lui, si è sgretolato senza traccia, senza rumore né chiasso, è svanito come una visione, e lui stesso non ricorda cosa abbia fantasticato.»
Eppure
la bianchezza di queste notti nasconde l’insidia della disillusione, la
spietatezza della lucidità, il furore dell’addio. Durante l'ultima notte, Nasten'ka scorge nel buio il vecchio amore e, senza esitare, lascia la mano del nostro protagonista per gettarsi al collo del ritrovato.
«Le mie notti finirono un mattino.[...] Non so perché, all'improvviso mi sembrò che anche la mia camera fosse invecchiata come la vecchia. Le pareti e il pavimento erano sbiaditi, tutto si era offuscato; di ragnatele ce n'erano ancora di più. Non so perché, quando guardai alla finestra, mi sembrò che la casa di fronte anche fosse diventata decrepita e si fosse a sua volta offuscata, che gli stucchi sulle colonne si fossero staccati e fossero caduti, che i cornicioni si fossero anneriti e coperti di crepe e le pareti da un colore giallo scuro brillante fossero diventate a chiazze...»
Il sognatore sprofonda nell'abisso della propria solitudine, una solitudine che, diventata estranea, risulta ancor più straziante. Nasten'ka diventa un ricordo, la vita ritorna priva di realtà e animata unicamente dall'immaginazione: si presume che il sognatore, isolato e senza amici, riprenda le passeggiate per le vie di San Pietroburgo, immaginando di parlare con quegli edifici che conosce così bene. A volte gli sembra che qualcuno, già incontrato per le strade della città, gli rivolga un saluto. È l'unico margine di realtà a cui può tristemente aspirare.
L'ho letto diversi anni fa e l'ho ricomprato oggi proprio nella stessa edizione che hai presentato tu. Amo molto Dostoevskij.
RispondiEliminaCiao, buona serata.
Antonella
Ciao Antonella!
EliminaQuella della Newton Compton è stata un'idea davvero strepitosa! E poi Dostoevskij non poteva di certo mancare!
Un libro molto bello, ma preferisco L'idiota.
RispondiEliminaUn abbraccio
Beh, cara Melinda...Magari più in là ci sarà anche un post su L'idiota! ;)
EliminaUuuh sisisisisì! Voglio tutto Dostoevskij! Lo adoro *.*
EliminaInvito - italiano
RispondiEliminaIo sono brasiliano.
Dedicato alla lettura di qui, e visitare il suo blog.
ho anche uno, soltanto molto più semplice.
'm vi invita a farmi visita, e, se possibile seguire insieme per loro e con loro. Mi è sempre piaciuto scrivere, esporre e condividere le mie idee con le persone, a prescindere dalla classe sociale, credo religioso, l'orientamento sessuale, o, di Razza.
Per me, ciò che il nostro interesse è lo scambio di idee, e, pensieri.
'm lì nel mio Grullo spazio, in attesa per voi.
E sto già seguendo il tuo blog.
Forza, pace, amicizia e felicità
Per te, un abbraccio dal Brasile.
www.josemariacosta.com
Grazie mille! Daremo un'occhiata anche al tuo blog!
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