Nella affannata ricerca di un impiego, mi sono imbattuta in
una delle opportunità fornite dallo stato per conseguire questo nobile
obiettivo. Il governo Renzi ha stanziato non so quanti milioni di euro per fornire ai giovani una rete burocratica di servizi
che aiutano non soltanto nella ricerca di un lavoro, ma anche nella formazione
di un profilo professionale spendibile nel mercato del lavoro. Questa rete si
sviluppa attraverso diversi punti, in cui pubblico e privato collaborano al fine
di occupare i giovani, di sottrarli a quella condizione di inattività che
caratterizzerebbe la nostra generazione, affranta e sconsolata, senza valori,
né prospettive, manipolo di semi-analfabeti che bivaccano tutto il giorno sui
divani acquistati a rate, e con grandi sacrifici, dai nostri genitori.
Ebbene, cercherò di illustrarvi brevemente il percorso che
ho affrontato, un’avventura che ha confermato, ahimè, molte delle ipotesi nate
dalle mie estenuanti quanto vane riflessioni sul mondo del lavoro, sul senso
del lavoro, sulla sua dignità e qualità nella società contemporanea.
Tutto comincia con una semplice iscrizione sul sito di
Garanzia Giovani, iscrizione che consta di due tappe. Facile, basta un click!
Dopodiché, bisogna attendere la telefonata dell’ufficio di collocamento del
proprio comune di residenza, telefonata che avviene entro i 60 giorni
dall’iscrizione. A questo punto, si può procedere con il primo colloquio tenuto
dall’impiegato dell’ufficio: questo colloquio, della durata di circa due ore,
prevede una prima parte di spiegazione
del servizio e una seconda di tipo burocratico. Bisogna compilare una serie di
moduli on-line, registrarsi al portale del servizio regionale, e infine ti
viene assegnato un indice di inoccupabilità, ossia, in base al tuo curriculum e
al tuo percorso di studi, la Regione ti dice quanto sei inadatto al mondo del
lavoro e, sulla base di questo indice, l’azienda che in futuro ti assumerà,
potrà godere di tanti sgravi fiscali quanto più alto è il tuo indice. Un
laureato in Filosofia, come me, ha l’indice di inoccupabilità massimo, ossia 4.
Dopo il primo colloquio, bisogna scegliere sul portale regionale, un’agenzia
privata alla quale aderire. Ogni agenzia ha la sua “Vetrina dei servizi”, in
cui informa l’utente sui corsi di formazione e sui tirocini messi a
disposizione. Ne ho scelta una, quella che mi sembrava più fornita di offerte
di lavoro e di corsi di formazione. Non mi sarebbe mai più capitata la
possibilità di frequentare corsi di lingua, di editoria, di grafica in modo
completamente gratuito! Una volta aderito all’agenzia, questa ti chiama per “la
presa in carico” – lo stato e i privati prendono il NEET dal suo bel divano e
se lo caricano sulle spalle per gettarlo di peso nel mondo del lavoro – che
prevede un breve colloquio con il direttore locale dell’agenzia. Nel mio caso,
sono stata catapultata in una scuola di estetica, a parlare del mio futuro tra
teste di manichini, specchi e parrucche. Segue, dopo qualche giorno, il
colloquio con lo psicologo, della durata obbligatoria di due ore. Si parla di
Emerson, della formazione del soggetto, del fatto che devo avere degli
obiettivi ben precisi nella vita. Alla fine, si passa nuovamente dal direttore
dell’agenzia, il quale – ma questo è il mio caso – mi propone un corso di due
settimane di “Gestione delle risorse umane”.
-Ma io…
Sarei maggiormente interessata a quell’altro corso… Questo non mi sembra…
-Eh no, signorina,
quel corso non parte. Devono esserci almeno otto iscritti.
-Ma non
potrebbe partire in un altro paese, magari nel capoluogo? Non potrei farlo lì?
-No, perché
ogni centro si contende la realizzazione di un corso. Nessuno sarebbe disposto
ad indirizzare i propri clienti verso un altro centro.
-E invece
per i tirocini? Ho letto offerte interessanti nella vostra vetrina…
-Ma no,
quelli sono solo codici. Noi non sappiamo quali aziende offrano questi
tirocini. A volte capita che qualche
azienda chiami…
-Va bene, la
ringrazio.
Me ne vado,
pensierosa… Il direttore mi telefona e mi chiede “Beh, che ha deciso?” ed io
“Non mi interessa”. “Ma tanto, piuttosto che stare senza far nulla” -“Beh,
questo corso non è ciò che cerco. La sua agenzia millanta offerte che non ci
sono” -“È una sua opinione”.
Fine della mia esperienza.
Tanti filosofi hanno detto che la conoscenza comincia con
l’esperienza, che l’esperienza è il modo più immediato, spontaneo e autentico
di conoscere la realtà. Tanti hanno anche detto che l’esperienza senza
l’intelletto, le induzioni razionali operate dalla ragione mediante la sua
attività creativa ed immaginativa, sono cieche, anarchiche e insensate. Ho
voluto fare di questo insensato spreco di energie un’esperienza. Ho voluto
trarre delle conclusioni, o meglio, degli interrogativi e dei dubbi da quello
che mi è capitato.
Ad una prima occhiata, il progetto Garanzia Giovani mi è
sembrato un’opportunità. Ad una seconda mi è sembrato insensato. Ad una terza mi è sembrato
un’organizzazione scientifica che coordina pubblico e privato al fine di
sussumere il lavoro ai rapporti di produzione capitalistici. Detto in parole
povere, un modo per non pagare i giovani lavoratori e farli sentire comunque
soddisfatti, fortunati, speranzosi, parte attiva della società e del mondo
produttivo e, d’altro canto, far sentire tutti gli altri dei parassiti travolti
dalla psicosi di corsi di formazione pubblici e privati, scrittura del
curriculum, assertività e determinazione,
che costituiscono solo uno spreco delle migliori energie e di cui
beneficiano soltanto le agenzie private che lucrano sul senso di inadeguatezza
dei giovani e sulle inefficienze del sistema d’istruzione pubblico. Perché la
mia banalissima conclusione è questa: chi trova lavoro con Garanzia Giovani lo
avrebbe trovato comunque, ma sarebbe stato pagato con uno stipendio “normale”.
Chi, invece, non ha i requisiti per inserirsi nel mercato del lavoro, ne resta
escluso. Se l’offerta lavorativa è ingannevole, quella formativa è
assolutamente inadeguata. Si propone una formazione standardizzata, un
pacchetto che viene offerto ai giovani senza alcuna cura per il loro percorso
di studi, di lavoro, di vita, che non entra minimamente in competizione con la
formazione privata. Un giovane che non ha potuto studiare, un giovane che ha
studiato filosofia hanno forse le stesse esigenze? Vogliono fare lo stesso
mestiere? Non sono interrogativi che ci
si pone perché c’è la crisi e va bene qualsiasi mestiere. Dietro questa
ideologia si nasconde ben altro: la possibilità per i privati di percepire
soldi pubblici senza preoccuparsi dei servizi che vengono forniti. Un tale
spreco di risorse pubbliche non può che preoccupare e rammaricare
profondamente.
Chi sono i “giovani”? E quali “garanzie” dovrebbe fornire lo
stato a queste persone? Qual è il significato di queste parole e quale
ideologia supportano? Giovani è una definizione biologica, ma anche sociale:
per lo stato si è giovani fino a 29 anni… Ai trenta scatta l’anzianità. Abbiamo
forse problemi differenti rispetto a quelli nati nel 1987? E il gruppo che
comprende i ragazzi dai 18 ai 29 anni è omogeneo? Qual è il minimo comune
denominatore di questa compagine? Un laureato in Ingegneria, un diplomato, uno
studente di un Università privata, un lavoratore precario non hanno le stesse
esigenze a livello formativo, né possono inserirsi nel mondo del lavoro con le
medesime modalità. Né affrontano lo stesso ordine di difficoltà nella ricerca
di un lavoro. Ma per Garanzia Giovani siamo tutti uguali, tutti “sulla stessa
barca”, ossia giovani che non hanno nessuna prospettiva nella vita, che non
sanno quello che vogliono e che dunque possono essere spinti a fare qualsiasi
cosa pur di alzarsi da quel maledetto divano.
Se le cose stanno così, io non sono giovane e non voglio garanzie.
Non mi sento inattiva, né disperata né inadeguata. Se mi guardo attorno, vedo i
miei coetanei lavorare, contribuire alle spese della famiglia – altro che
mantenuti dai genitori! – studiare, pensare, sperare… Vedo intorno a me forze
produttive non riconosciute, ignorate, irreggimentate in etichette ideologiche.
Vedo le migliori menti della mia generazione relegate nel senso di
inadeguatezza. Aspetto il momento in cui riusciremo a volgere lo sguardo
verso l’esterno, riconoscendo quell’inadeguatezza non più dentro di noi, ma nel
mondo che ci è stato consegnato.
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