Questa volta parleremo di Dino Campana e della sua storia d'amore con Sibilla Aleramo.
Lui fiorentino, lei piemontese, entrambi appartengono a quella generazione di promesse speranze nata nella seconda metà dell'Ottocento. Dino risente del clima oscurantista dell'Italia di quegli anni: ancora ventenne, il suo bisogno di fuga viene interpretato dalla famiglia come un sintomo di pazzia.
Costretto a passare di manicomio in manicomio, è nel 1913 che si reca nella redazione fiorentina della rivista "Lacerba" per consegnare il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Consegna l'unica copia realizzata, ma il manoscritto non viene preso in considerazione e va perduto: il giovane, la cui mente è già instabile, si dispera. Arriva addirittura a minacciare i fondatori della rivista, che definisce "sciacalli".
Nella primavera del 1914, Campana riesce finalmente a pubblicare la raccolta (con il titolo di "Canti Orfici"), riscritta grazie ai pochi abbozzi tenuti da parte.
Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, il poeta viene esonerato dal servizio militare perché ormai segnalato come malato psichiatrico grave.
Nel 1916 incontra Sibilla Aleramo, la scrittrice di "Una donna". I due si innamorano follemente e intraprendono una storia d'amore, non senza problemi: lei ha ben nove anni in più di lui, è una donna intelligente e mondana; Dino, più introverso, manifesta continue crisi che successivamente saranno giustificate dai medici con la diagnosi di ebefrenia, una forma estremamente grave di psicosi schizofrenica.
La relazione procede per circa un anno, tra battibecchi che somigliano a risse, fughe e inseguimenti, fino a quando la scrittrice fa visitare Campana da Ernesto Tanzi, un illustre psichiatra. Da quel momento i due protagonisti della letteratura novecentesca si dividono (alcuni sostengono che Campana fosse affetto da sifilide), scambiandosi qualche lettera rabbiosa. È tutt'al più Dino a contattare in maniera asfissiante (si insedia in casa sua e le scrive: «Sono nella tua stanza. Dimmi se devo viverci o morirci») Sibilla, rifugiatasi in un villaggio ai piedi del Monte Rosa.
Quando per lei arriva il momento di fare ritorno a Milano e Firenze, la donna gioca un brutto scherzo all'amante, procurandone l'arresto temporaneo (sarà proprio lei stessa, poi, a rimediare).
Subito dopo (1918) Dino viene internato nell'ospedale psichiatrico di Scandicci, dove muore nel 1932.
Per approfondire la vita di Dino Campana e la sua storia d'amore con Sibilla Aleramo:
- la Feltrinelli ha pubblicato una raccolta di lettere dal nome "Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918"
- nel 2002 Michele Placido ha diretto il film "Un viaggio chiamato amore", con Stefano Accorsi e Laura Morante
- Sebastiano Vassalli ha scritto il romanzo-biografia "La notte della cometa", edito da Einaudi
In un momento
In un momento
sono sfiorite le rose
i petali caduti
perché io non potevo dimenticare le rose
le cercavamo insieme
abbiamo trovato delle rose
erano le sue rose erano le mie rose
questo viaggio chiamavamo amore
col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
che brillavano un momento al sole del mattino
le abbiamo sfiorate sotto il sole tra i rovi
le rose che non erano le nostre rose
le mie rose le sue rose.
Una scena del film "Un viaggio chiamato amore" |
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