«Se lui vince, se Tom salva la partita, sarò salva anch'io.»
In questo libro, il grande Stephen King dà una prova straordinaria della sua versatilità. Chi si aspetta di rabbrividire, suggestionarsi e dover dormire con una luce accesa ha decisamente sbagliato libro. Certo, mettersi nei panni della piccola e indistruttibile protagonista è molto inquietante, ma questo non rende il libro un horror propriamente detto.
La trama è semplice: Trisha, una bambina di nove anni, durante un'escursione si allontana dal sentiero e si smarrisce in un fitto e selvaggio bosco del Maine. Con lei soltanto un tramezzino, un pacchetto di patatine, una bottiglia d'acqua e una di Surge. Ma soprattutto, un walkman e il suo cappellino dei Red Sox autografata dal suo campione, il lanciatore Tom Gordon. Contro di lei: nove giorni di solitudine e fame, acquazzoni, nugoli di insetti, pantani... E soprattutto la presenza minacciosa che la sorveglia dal folto, spiandola nel buio durante la notte: il Dio dei Perduti.
Con la sua fervida fantasia, Trisha si crea la compagnia di Tom Gordon, «il palpito del suo cuore»: immaginare i suoi consigli e la sua vicinanza le darà forza durante la sua terribile disavventura, ed emularlo sarà la sua unica chance di vittoria. La narrazione si confonde tra realtà e immaginazione in un gioco di specchi.
Lo stile è piuttosto diverso da altri e più caratteristici libri di King, ma in fondo è adeguato alla giovane età della protagonista. Il ritmo è più lento, le descrizioni sono vivide e minuziose come sempre. Trovo molto bello e curioso il parallelismo fra la storia di Trisha e una partita di baseball: i diversi capitoli si chiamano come gli inning, l'epilogo si intitola Dopopartita. Le metafore sportive non mancano, e questo effettivamente spiazza un po' chi (come me) non ha mai capito una mazza del baseball. Tuttavia, l'insieme risulta originale e piacevole.
Personalmente, questo libro mi ha trasmesso una grande tenerezza: è l'avventura epica di una bambina, che trae forza dal suo grande amore per un personaggio praticamente immaginario. Dopo aver salvato una partita di baseball, Tom Gordon alza il dito verso il cielo: quel gesto, quel puntare a un Dio che sta dalla nostra parte, rincuora Trisha e le dà la forza di non arrendersi in mezzo a una palude o lungo un sentiero che sembra non condurre da nessuna parte. Di sperare che ci sia una salvezza, oltre gli sciami di vespe, il fango e gli scricchiolii notturni nel bosco.
La bambina che amava Tom Gordon è un libro che al principio mi ha lasciato perplessa, per le sue anomalie rispetto a certe pietre miliari di Stephen King e per la sua distanza da ciò che mi aspettavo. Al finale, mi ha conquistato. È una storia semplice e insieme potente, e il primo libro di Stephen King che mi sentirei di consigliare anche a un lettore giovanissimo o a chi si tenga alla larga dall'horror. È una storia vibrante di emozione e tenerissima che all'ultima pagina mi ha strappato un sorriso commosso.
«È nella natura di Dio intervenire nella parte bassa del nono.»
MERCI DE METTRE LE TRADUCTEUR
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