Lo Xenofemminismo, o XF, può essere visto in un certo senso come un
lavoro di bricolage, dato che sintetizza cyberfemminismo, postumanesimo,
accelerazionismo, neorazionalismo, femminismo materialista e altro ancora, nel tentativo
di dar forma ad un progetto adeguato alle condizioni politiche dell’epoca
contemporanea.
Quando ho
cominciato a leggere queste prime righe dell’Introduzione, ho pensato che
questo saggio di Hester pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti e tradotto in italiano nello stesso anno, fosse uno di quegli esercizi di eclettismo sterile che
spesso ho incontrato nel mio non molto lungo percorso di lettrice di testi
femministi.
In buona
parte mi sono dovuta ricredere. La mia
maggiore perplessità riguardo al femminismo contemporaneo e agli studi di
genere è la loro parzialità, l’astratto formalismo, l’esercizio elementare di
catalogazione dei gusti sessuali e dei cambiamenti di genere che dà origine ad
una serie di categorie alienate rispetto al contesto storico, economico e
sociale, nei confronti del quale spesso si tiene un atteggiamento di spocchiosa
indifferenza, quasi a voler dire “Ma ancora dobbiamo occuparci di questioni
sociali? Il tempo delle lotte di classe è finito!” L’eclettismo,
l’individualismo e l’aperta o inconscia adesione all’ideologia di destra,
l’antimarxismo latente o palese che caratterizza spesso questi scritti, mi ha
resa diffidente e dubbiosa nei confronti di questo indirizzo di ricerca
filosofica, ormai ben collaudato e con la sua strutturata egemonia.
Non è il
caso del manifesto di Hester, la quale, aldilà di alcune eccentricità
linguistiche e contenutistiche tipiche di certa letteratura statunitense,
elabora alcuni concetti che permettono ai movimenti e alla teoria femministi di
ampliare la loro prospettiva, inserendo la questione dell’identità del genere
nel contesto in cui si dà. Proprio perché l’identità non è una definizione
teorica, ma una prassi politica, è all’ambiente sociale, all’organizzazione
politica, al tempo storico che bisogna guardare.
I concetti
fondamentali che consentono ad Hester di ampliare la sua prospettiva di genere
sono il tecnomaterialismo, l’antinaturalismo
e l’abolizionismo del genere.
A voler
essere pignoli, il termine “tecnomaterialismo” è frutto di una non necessaria
fusione tra il materialismo (storico-dialettico) e una certa filosofia borghese
che fa della tecnica un problema in sé, penso ad esempio ad Heidegger. Per il
materialismo la tecnica è un problema che c’è sempre, in ogni epoca storica, e
allo stesso tempo non è mai un problema in quanto tale: il problema delle
macchine sta nell’uso che se ne fa, ossia nei rapporti sociali che sono
costruiti attorno all’uso e alla produzione delle macchine, intorno ai fini
dell’utilizzo delle tecnologie. Ma perdoniamo questo neologismo ad Hester
poiché è proprio questo il problema che l’autrice intende porre: come si
caratterizza il mondo del lavoro nell’epoca dello sviluppo tecnologico? Come la
tecnica influenza la riproduzione biologica e sociale?
Già Marcuse
si era posto questi problemi negli anni cinquanta, interrogandosi sulle
potenzialità dello sviluppo tecnologico in atto, ma anche sulle forme di
alienazione causate dall’uso capitalistico e monopolistico delle macchine.
L’impostazione di Hester è molto simile: lo sviluppo tecnologico dà all’uomo
l’opportunità di migliorare e progredire, ma questa fiducia nel progresso non è
cieca e acritica.
L’antinaturalismo è invece un termine che si collega alla
tradizione marxista e progressista: inchiodare un’identità, un soggetto, una
comunità alla natura è tipico del pensiero conservatore, per cui le cose sono
quello che sono e sono immutabili, perché così ha voluto la Natura, o Dio, o
una qualche altra Autorità. Per un manifesto progressista come Xenofemminismo, la riproduzione
biologica e la riproduzione sociale si intersecano nel corso dello sviluppo
storico. La tecnica rende ancora più visibile questa interconnessione, ed è
proprio qui che si pone il problema politico del governo di questo sviluppo
tecnologico, che deve favorire la libera espressione dell’identità di genere
dei singoli, l’esercizio del diritto di volere o non volere dei figli,
questioni che non sono identiche per tutti ma che si differenziano a seconda
delle classi sociali e delle condizioni economiche in cui versano gli
individui.
Infine l’abolizionismo di genere sostiene che
obiettivo delle lotte dei movimenti femministi e di genere è l’abolizione dei
generi stessi, ossia il conseguimento di una uguaglianza tra gli uomini tale
che permetta loro di poter scegliere il proprio genere di appartenenza (con
tutte le infinite sfumature tra un genere e l’altro) senza dover subire alcuna
discriminazione. Un’anarchia sessuale fondata su poche regole condivise ed
inclusive.
Per quanto
abbozzato, questo manifesto costituisce il tentativo di elaborare, a partire
dalle condizioni attuali, dalle tradizioni e dalle pratiche di cui disponiamo,
una teoria progressista e razionale, critica nei confronti dello stato di cose
e che prospetta nuove possibilità.
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