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domenica 6 ottobre 2019

Joker: la contro-narrazione del "villain" collettivo

La storia di Joker prima di diventare Joker documenta di una costituzione soggettiva che si afferma e definisce nell'attrito doloroso con una Gotham squallida e inospitale, con un capitalismo esasperato, con la malattia mentale e il senso acuto di emarginazione e abbandono. La storia di Arthur Fleck potrebbe essere la storia di un qualsiasi «malato mentale» in balia di una società che «lo abbandona e lo tratta come immondizia». Si svolge in una Gotham sporca e trafficata, profondamente alienata, che somiglia a qualunque periferia dell'impero e che incarna come l'essenza della metropoli statunitense, occidentale, iperliberista ed intrinsecamente individualista, inospitale fino al parossismo. In questa storia, il villain non viene fuori, con le sue crudeltà e manie, dalla solita mera storia di abusi e sofferenze infantili, il cattivo non è soltanto prodotto dal suo proprio dramma individuale, che spezza le sue possibilità di innocenza ed empatia verso gli altri. La genesi percorsa dal Joker di Phillips è questo ma è anche molto altro: il criminale è il prodotto di un tessuto sociale malato, dell'assenza di welfare, dell'insufficienza di servizi sociali ed istituzioni, dell'instabilità lavorativa ed economica, della miseria dei ghetti verticali all'ombra dei grattacieli della finanza e dello squallore delle metropolitane sporche e vandalizzate.
Il Joker di Phillips è una contro-narrazione coraggiosa e intelligente dell'eziologia del villain egocentrico, crudele perché pazzo e viceversa. È una risposta potentissima al Batman de Il cavaliere oscuro, che durante un caricaturale "interrogatorio" sibila al Joker interpretato da Heath Ledger: «Tu sei spazzatura».
Questa attribuzione manichea di ruoli e dignità (eroe contro "spazzatura" umana, cattivo, residuo della società) è spesso rovesciata e problematizzata dal cinema, ma il Joker di Phillips contesta tale attribuzione con strumenti non meramente drammatici e patetici, ma sociali e sociologici, culturali, politici, economici. Il dramma personale dell'antieroe si apre, per la prima volta con questa intensità, ad una dimensione costitutivamente collettiva e sociale, che demistifica la retorica del villain oscuro ma affascinante e mostra le viscere di una società malata che sull'esclusione dei suoi elementi più fragili e bisognosi edifica l'ipocrita esaltazione di «quelli che hanno realizzato qualcosa nella vita», nelle parole del milionario Thomas Wayne. Nelle sue dichiarazioni compiaciute vediamo l'antagonismo sociale ridotto a "invidia" dei poveri nei confronti dei ricchi, il cui capriccio e abuso è sancito da una sorta di legittimità naturale, radicata nella loro superiorità pratica e morale rispetto alle classi subalterne.



La retorica autocelebrativa di Thomas Wayne e della sua classe, che è poi la tradizionale retorica neoliberista, è demistificata da Phillips, che mostra il milionario e candidato sindaco di Gotham come un uomo arrogante e ingeneroso, che abusa della propria ricchezza e del proprio potere, destinando cinicamente la sua dipendente Penny Fleck, madre del futuro Joker, alla malattia mentale, all'ingiustizia, alla miseria anche sociale ed economica, oltre che umana e relazionale, che si colloca alla radice di molto del male a venire. Penny Fleck è vittima in quanto donna e in quanto povera, soggetta allo strapotere di Wayne come suo datore di lavoro e come uomo, e da questa ingiustizia plurima e socialmente stratificata non c'è alcuna difesa realistica. Allo stesso modo, i tre giovani ricchi che Arthur Fleck incontra in metropolitana molestano una giovane donna e brutalizzano lo stesso Arthur, in uno sfoggio crudele di come a un ricco tutto sia lecito che rende impossibile simpatizzare con loro. La potenza e l'originalità della pellicola di Phillips non risiede solo in questa narrazione da un punto di vista non tradizionale (quello del cattivo, del povero, del malato di mente), ma nella saldatura di questo punto di vista, strettamente soggettivo, sul malessere di una società impoverita e abbrutita, di una popolazione di lavoratori ed emarginati che simpatizza con i crimini di Joker, che lo difende dall'intromissione normalizzante della polizia, che manifesta fuori dal teatro durante una serata di beneficenza: dentro, alta società, donne con collane di perle e uomini con il frac, fuori, poveri che indossano maschere di clown e si offrono alla repressione dell'autorità, con la forza disperata di chi non ha molto da perdere, ma frustrazioni e ingiustizie stratificate da generazioni che aspettavano un portavoce, un catalizzatore, un antieroe diverso da qualunque altro, perché dopo un breve attimo di protagonismo e celebrità, subito si scioglie e si confonde nella folla anonima.
Le ambizioni del giovane Arthur Fleck, i suoi sogni di diventare un comico e perfino quello, tenero e desolante, di ricevere l'affetto e la stima del presentatore Murray (interpretato da Robert De Niro, icona di una televisione-spettacolo fondata sull'umiliazione e la denigrazione di chi "non riesce", antenata dei talent in cui si ridicolizzano senza pietà i "casi umani" in cerca di visibilità e attestazioni di simpatia) sono frustrate da un ambiente di lavoro difficile, claustrofobico e sterile, e possono solo sublimarsi in una nuova concezione della vita (da "tragedia" a "commedia"), capace di assumere fallimenti ed infelicità come inevitabili e insuperabili, non imputabili alle proprie incapacità individuali ma ad un complesso tessuto di difficoltà soggettive e oggettive dalle quali, imprigionati nella propria solitudine, non si può sfuggire. Qui si consuma la trasformazione Arthur-Joker, suggellata dalla sua danza sulle scale, braccato dagli investigatori e diretto ad uno show che sancirà la sua assunzione di posizione pubblica, contro la società, contro la televisione, contro quel Batman (l'eroe il cui superpotere è il mero denaro) che è ancora lontano, è e resterà fuori dalla pellicola, ma che allo spettatore suscita già un po' di antipatia.
Il merito più alto di Phillips, oltre alla sua sorprendente ed esaltante capacità estetica, è forse quello di avere declinato tematiche intelligenti (e intelligentemente espresse) in un film destinato dal proprio genere alla massima popolarità, senza cedere alla superficialità del film da botteghino né alle velleità intellettualoidi del film a tesi.
Le atmosfere metropolitane di Phillips sono cupe e angoscianti, il commento luminoso, fotografico e musicale alle miserie urbane del nostro tempo è perfetto. Ogni codice estetico, visivo, sonoro ed espressivo è calibrato con grande perizia (dalle voci cupe degli archi che corredano lo squallore urbanistico di Gotham, deserta benché affollatissima, all'interpretazione di Joaquin Phoenix che si inserisce solidamente, e giustamente, nella storia del cinema). Joker è un caso rarissimo nel cinema del genere, è una grande storia e soprattutto un grande spettacolo.

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