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mercoledì 4 novembre 2015

Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa, di T.W.Adorno

Raccolta di aforismi composta tra il 1944 e il 1947, durante l’esilio di Adorno negli Stati Uniti, pubblicata nel 1951, Minima Moralia costituisce una profonda riflessione sulla condizione dell’individuo nell’epoca della società di massa. La vita è offesa, violata, repressa, tradita da un’organizzazione economica e sociale repressiva, che riduce l’individuo a macchina di produzione e consumo. Ne scandisce il tempo, i respiri, gli aspetti più intimi e privati.

Novissimum organum. È stato dimostrato da tempo che il lavoro salariato ha foggiato le masse dell’età moderna, e ha prodotto l’operaio come tale. In generale, l’individuo non è solo il sostrato biologico, ma – nello stesso tempo – la forma riflessa del processo sociale, e la coscienza di se stesso come di un essente-in-sé è l’apparenza di cui ha bisogno per intensificare la propria produttività, mentre di fatto l’individuato, nell’economia moderna, funge da semplice agente della legge del valore. Di qui occorre dedurre, non solo la sua funzione sociale, ma l’intima struttura dell’individuo in sé.



La società capitalistica, così come si sviluppa nel Novecento, in cui il capitale è sempre più monopolizzato dalle grandi industrie, dalle multinazionali, si sviluppa come un  nuovo organismo, onnicomprensivo, che produce, dà forma agli individui. L’individuo racchiude in sé le forme sociali dominanti, è trasparente rispetto all’amministrazione totale della società, completamente informata sulla base delle leggi economiche. Ciò significa che le leggi che dominano la condotta dell’individuo, che ne regolano la vita, sono le stesse leggi che regolano l’andamento e lo sviluppo del mercato. Ma l’aspetto più complesso e più drammatico è forse questo: è necessario, affinché sia un autentico funzionario delle leggi del mercato, che l’individuo pensi di essere qualcosa di diverso da queste leggi, un “essente-in-sè”, un essere libero, autonomo, avente una sua propria sfera privata completamente separata dall’organizzazione economica e sociale vigente. È questa la “falsa coscienza”, la menzogna, la maschera che permette all’uomo di vivere come uno strumento, un ingranaggio della macchina, perché se ne fosse consapevole, non potrebbe tollerarlo. L’uomo attribuisce le sue frustrazioni a se stesso, alla sua sventura: la contraddizione tra la promessa di felicità reclamizzata dai mezzi di comunicazione, dalla pubblicità, e l’assoluta insoddisfazione e frustrazione è all’origine della lacerazione dell’individuo, della decadenza, della freddezza, del vuoto che egli avverte nella sua esistenza, ma che drammaticamente non riesce a spiegarsi. “Questa”, dice Adorno, “è la patogenesi sociale della schizofrenia”.

Da questa consapevolezza nasce il progetto di scrivere di questa vita offesa. Dall’impossibilità di poter descrivere in maniera sistematica questo fenomeno, che coinvolge l’uomo moderno nella sua totale lacerazione, la scelta di una scrittura aforistica: il pensiero si infrange contro il muro della fredda e crudele organizzazione sociale, frantumandosi in frasi intrise di fragilità. Adorno fu costretto ad abbandonare la Germania nazista: l’incubo dello stato totalitario anima quest’opera, e in generale il pensiero dell’autore. Ma il terrore più grande di Adorno è l’inquietante affinità della società nazista con la brillante e sfavillante società di massa americana. Il fascismo non è l’esito di una frattura, non è un morbo che affligge una società e una cultura perfettamente sane. Il fascismo è il capitalismo che mostra il suo volto più violento nei momenti di crisi. È continuità con la cultura occidentale, che tende a fare dell’universale una legge totalizzante e omologante, che schiaccia e umilia la vita nella sua molteplicità e diversità irriducibile.

La vita è offesa nella distanza che separa gli individui, che rompe ogni legame solidale per gettarli in un regime di concorrenza spietata che li conduce all’autoannientamento: l’incapacità di un contatto fisico, la superficialità delle conversazioni, l’inautenticità dei rapporti umani, rendono l’individuo disperatamente solo, spintonato e schiacciato dal movimento frenetico della folla. La vita è offesa nel tempo che le viene negato. Come cantava John Lennon “As soon as you're born they make you feel small/ by giving you no time instead of it all…”: il tempo del lavoratore viene suddiviso in tempo di lavoro e tempo libero. Se durante il lavoro l’uomo è costretto a sacrificare il suo tempo per la produzione, durante il tempo libero egli deve sacrificarlo per il consumo. Il mercato scandisce l’intera giornata degli individui: lavorare, comprare, avere “hobbies”, ossia spendere il proprio tempo in attività tollerate, organizzate, che costituiscono fonti di profitto. L’industria culturale ha qui un ruolo fondamentale: anche la fruizione della cultura non è esente dalle leggi del mercato. Nel momento in cui pubblicherò questo post, sarò inglobata nelle leggi dell’industria culturale. Non c’è via d’uscita, e pensare di essere degli “outsiders” rispetto al sistema, è mera illusione e cattiva coscienza. Nel lavoro, come nel piacere, entrambi irreggimentati e controllati, l’individuo muore, la vita viene offesa.
Ciò spinge Adorno ad affermare che “Il tutto è il falso”.

Persino nella sfera erotica permea l’ideologia borghese e capitalista. A questo proposito, l’aforisma intitolato “Il guastafeste” è illuminante. Adorno critica l’interpretazione del piacere di Schopenhauer, secondo cui l’esistenza dell’uomo è scandita dall’insoddisfazione che ci conduce alla ricerca del piacere e dalla noia che segue il soddisfacimento del desiderio. Per Adorno il merito di Schopenhauer è di aver intuito che i piaceri che inseguiamo ci rendono sempre più frustrati e insoddisfatti, ma ciò che il filosofo del dolore e della noia non ha compreso, è che questo accade perché i piaceri che noi viviamo non sono autentici, e non lo sono perché la società in cui li conseguiamo non è libera. L’idea che all’atto sessuale segua la noia, è un’idea tipicamente borghese, la cui ideologia nega ogni possibilità di stasi, di pace. L’uomo borghese deve sempre agire, muoversi, lavorare, produrre: l’eros è un’attività in cui bisogna produrre il maggior numero possibile di orgasmi, possibilmente all’interno di una coppia la cui unione è legittimata istituzionalmente e, ancor meglio, finalizzata alla riproduzione.

Il detto omne animal post coitum triste  è stato inventato dal disprezzo borghese per l’uomo: qui, più che in ogni altra sede, l’umano si distingue dalla tristezza della creatura animale. Non all’ebbrezza, ma all’amore socialmente approvato, succede la nausea […] Nell’innamorato la stanchezza si trasforma in richiesta di tenerezza, e la momentanea incapacità del sesso appare come qualcosa di contingente e affatto esterno alla passione. Non per nulla Baudelaire ha concepito come un tutto unico l’ossessione della schiavitù erotica e l’incipiente spiritualizzazione, e definito ugualmente immortali bacio, profumo e colloquio.

Nell’amante che giace tra le braccia dell’amato, la vita si rivela nella sua concreta forza e fragilità. Nel senso di appagamento, di calore, di umanità che segue ad un rapporto autentico, si rivela l’utopia di un’esistenza libera e degna di questo nome. Quel senso di appagamento dovrebbe seguire ad ogni attività dell’individuo: il lavoro, lo studio, il dialogo, il contatto con gli altri, dovrebbero lasciare in noi questa sensazione di pace, di soddisfazione.
Ciò non accade non perché l’uomo sia condannato a soffrire e ad annoiarsi, ma perché l’uomo è condannato, in questo mondo, in questo stato di cose, a soffrire e a sacrificare il proprio tempo.

Il pensiero rigidamente critico di Adorno, che condanna l'intero esistente con durezza, che non è disposto a cedere, a vedere spiragli, è animato dalla dolce utopia di una redenzione dell’umanità. Nel mondo che si rivela in tutto il suo orrore, il pensiero non può che fare “Tre passi di distanza”, criticarlo e condannarlo. Ma alla disperazione e al nichilismo del pensiero adorniano soggiace una grande idea, che rende il “Tutto” falso e terribile: che l’orrore non sia necessario, che l’uomo possa liberarsi, che l’umanità possa essere diversa e più giusta di quella che è oggi.

domenica 1 novembre 2015

Una piccola storia tra il bene e il male: "Varde" di Hanne Larsen

Varde: Google vi dirà che è un comune danese sui ventimila abitanti, un'agenzia di consulenze per investimenti con sede nel Minnesota e soprattutto una serie dell'Ikea fatta di moduli indipendenti per una cucina facile da rinnovare.
Per vie traverse e in modo totalmente casuale, ho scoperto che Varde è anche il titolo di un cortometraggio norvegese cupo e veridico, dai toni vocativi e quasi interrogativi. Una buona sinossi che ricavo dal sito dove si può vederlo in streaming conclude affermando che Varde porta a riflettere sul significato dell'amicizia. Io credo che questo corto si spinga ancora oltre, fino a interrogare l'anima più intima dell'uomo, dove si radica la scelta tra il bene e il male, insieme alla consapevolezza di compiere l'uno o l'altro.
Johan, il piccolo protagonista, è un bambino né buono né cattivo, o meglio entrambe le cose. È amico di Stig, un bambino apparentemente più piccolo, chiaramente lo sfigato della scuola: indifeso, dimesso e remissivo. Durante l'ora di educazione fisica, la ripartizione dei bambini in due squadre chiarisce subito il suo ruolo nella gerarchia:

- Potete prendere Stig.
- Non lo vogliamo.

Questo è il laconico scambio di battute tra i capitani. Alla fine, il piccolo Stig viene appioppato alla squadra di Johan, perché (questa la motivazione) Johan è suo amico, evidentemente l'unico. Uno dei bulli della classe, ragazzino più alto e belloccio, attacca Stig con una pallonata in faccia. Il professore rientra e vedendo il sangue di Stig chiede chi lo abbia colpito. A intervenire è Johan, e la scelta tra bene e male è già compiuta: è stato un incidente, non si sa chi sia stato, stavamo giocando. Stig ingoia l'intervento omertoso senza serbare rancore, come se in amicizia tutto fosse permesso e perdonabile.
All'uscita Johan viene avvicinato dai due bulli, la cui amicizia brama anche al costo di rinnegare l'amico impopolare, di cui prova vergogna: loro si congratulano con lui per non aver fatto la spia, lui di rimando nega di essere davvero amico di Stig. Johan viene coinvolto da due nei loro giochi, ma raggela all'avvicinarsi di Stig. Quest'ultimo spiega a Johan
che sta organizzando la propria festa di compleanno, ma avendo poco spazio in casa è costretto a invitare solo i suoi migliori amici: «Tu ed Elin della 5B».
Johan sente su di sé gli occhi dei due nuovi amici, che gli costano molto ma il cui prezzo decide di sostenere, immolando il devoto ed innocente Stig: andrà al suo compleanno, ma a patto che si cali in una botola. Nonostante il timore e il freddo, Stig accoglie la sfida senza tentennare e senza immaginarne l'esito.
Tutto questo accade nei primi tre minuti e mezzo: la tragedia è già compiuta, e il resto del corto mostra l'aspra lotta di Johan con se stesso, il dilaniarsi colpevole della sua coscienza, la ricerca della forza d'animo e della lealtà necessari a porre rimedio in qualche modo a quanto di crudele è stato compiuto.
La forza straordinaria di questo corto sta nella sconvolgente verosimiglianza del comportamento infantile. Mi viene in mente Caos calmo, con la ragazzina che pronuncia nel finale un assurdo: «Lo sai come sono crudeli i bambini!». Nel mostrare questa crudeltà, totale perché superficiale, spietata perché irriflessiva, Varde è infinitamente più sottile. Il gesto crudele viene compiuto istintivamente, in seguito ad un calcolo istantaneo dei costi e dei benefici, pensando al piccolo Stig non come ad un essere capace di soffrire o degno di essere rispettato, ma come ad una merce alienabile e sacrificabile all'idolo di un'amicizia più ambita. Ad acuire il carattere tragico di questo corto è la sproporzione dei rapporti all'interno del "triangolo" rispetto all'autenticità dell'amicizia: Stig vuole a Johan un bene incondizionato, gli è devoto e in certa misura pare dipendente da lui, al punto di subirne i torti senza ribellione e senza rancore; i due bulli concedono graziosamente a Johan una manifestazione di cameratismo e un approccio amichevole, disdegnando Stig. Johan si colloca in posizione mediana tra il massimo desideratum (la popolarità rappresentata dai due vincenti) e l'infimo grado relazionale, quello che con un'analogia religiosa definisco credente o adoratore (la devozione totale di Stig, la sua sottomissione all'oggetto del suo sentimento amichevole, senza pretesa di una mutua adorazione). 
Johan è posto evidentemente dinanzi ad una scelta di natura morale, piuttosto che sentimentale: si tratta di ricambiare (se non l'amicizia/amore, che non è oggetto di scelta) la lealtà di Stig, in qualche modo ricompensandolo, oppure di opporsi a lui in forma ostile. Stig sembra incapace, dal canto suo, di manifestare ostilità verso Johan o altri, dopo la pallonata in volto porge l'altra guancia a Johan e ai bulli accettando l'umiliazione e il pericolo di calarsi nella botola. È un piccolo Cristo, con poco scrupolo indirizzato dagli altri verso l'estremo sacrificio. Facile è allora l'identificazione dei due bulli con le autorità (insieme carnefici e pilatesche) romane e del sinedrio, mente a Johan tocca il ruolo (appunto mediano) di Pietro, per altro recitato in tutte le sue fasi, fino al fatidico canto del gallo che lo riporta alla sua colpa, commessa per un vantaggio immediato ma sleale e sproporzionato al sacrificio, al pentimento e poi alla riparazione.
Credo che l'accostamento evangelico permetta di cogliere al meglio lo spessore morale di Varde: la scelta di Johan non è semplicemente quella tra due amicizie, ma quella tra due condotte. Conseguire il bene/astenersi dal commettere il male anche se può rendere impopolari o far sfumare l'occasione di realizzare altri interessi? O piegarsi al compromesso morale, danneggiando una persona (o una causa) in nome di vantaggi immediati ma magari effimeri?
Questa che ho voluto offrire è la mia lettura di un cortometraggio bello sotto tutti i punti di vista, compreso quello tecnico, di cui non posso che consigliare la visione (ehm... lo trovate su cb01!).