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sabato 28 marzo 2015

Lo scenografo è un autore: intervista a Lorenzo Baraldi, "lo scenografo di Monicelli"

Spesso trascurato dai critici, pressoché ignorato dal grande pubblico, lo scenografo spesso non può ambire che ad essere riconosciuto come un buon professionista. Lorenzo Baraldi come introduce il suo mestiere ai non addetti ai lavori? Sei un versatile ausiliario del lavoro del regista, come buona parte del pubblico spesso ritiene?

No, non sono un ausiliario del lavoro del regista e il regista lo sa benissimo. Noi siamo dei creativi, noi siamo autori. Ogni film che ho fatto è diverso da tutti gli altri. E - noi scenografi - siamo poliedrici. Riusciamo a fare di ogni film un film d'autore. Dunque, come ho detto e ripeto, siamo veramente degli artisti. Autori, credo che sia la parola giusta.


Eppure, generalmente la paternità dell'opera dal punto di vista artistico è attribuita al regista pressoché in esclusiva (specie quando è anche sceneggiatore), mentre a scenografi, costumisti e altri collaboratori si pensa spesso e genericamente come a dei tecnici. Se si intende così (ed erroneamente) un lavoro come il tuo, si può pensare che la tua creatività debba essere limitata, come può esserla quella di un elettricista. Ti è capitato di dover disputare con un regista i tuoi spazi autoriali?

No, non mi è mai capitato. Ne ho fatti di film, tu lo sai quanti ne ho fatti, con Monicelli e tantissimi altri, se dovessi farti l'elenco di tutti i registi con cui ho lavorato...! Registi anche di gran lignaggio, come si dice. E di questi nessuno, dico nessuno, mi ha mai detto "fai questo, fai quello": mi hanno sempre dato carta bianca. Io ho dato delle idee, che poi chiaramente si guardavano insieme perché si lavora in collaborazione, ma di solito quello che presentavo al regista piaceva talmente tanto che non aveva nulla da discutere.




Negli anni di cui ci racconti, l'industria cinematografica non lesinava sui mezzi scenografici e tu ti sei espresso attraverso lavori mastodontici, dall'arredamento di circa cento ambienti per un solo film in costume alla ricreazione dell'alluvione di Firenze in teatro alla riproduzione di intere facciate di palazzi, vicoli e navi. Ma c'è stata, in tutto questo lavoro, una trovata o una creazione piccola ma capace di dare al film a cui lavoravi un tocco in più?

In tutti i film che ho fatto c'è qualcosa di speciale, una scena. Un esempio è l'isola di Salina, nel film Il postino. L'isola di Salina è un classico. Nella mia ricerca, dopo 3-4 settimane, quasi un mese di ricerche e sopralluoghi ho incontrato nell'isola di Salina ciò che mi interessava, mi piaceva. È molto particolare... l'aria, il sole, il tramonto o l'alba. Vedi, ad un certo momento lo scenografo è come il pittore: deve trovare gli elementi giusti per dipingere. Mentre cammina per strada può trovare un angolo giusto, perfetto, un po' come trovare l'isola di Salina in mezzo al mare, bellissima, con dei colori splendidi. E può capitare entrando in ogni ambiente, qualsiasi ambiente: una fabbrica, un esterno, una periferia, una qualsiasi cosa che ti impressioni, che ti dia qualcosa. Lo senti, è una cosa elettrica in effetti, e quando la incontri la fissi: se hai una macchina fotografica puoi farlo subito, altrimenti la tieni in mente e il giorno dopo, due, tre giorni dopo vai a fotografarla.


Se anche lo scenografo lavora di ispirazione, ad esempio nel rimanere colpito da un ambiente incontrato per caso, può capitare che questa ispirazione preceda la realizzazione di un film? Come in effetti accade per il regista/sceneggiatore?

Sì, può capitare. Quello che mi diceva Monicelli è: "Vai a vedere, fai chilometri, guarda, fai fotografie".
Anche quando si facevano i sopralluoghi con Mario Monicelli, vedevamo tantissime cose. Alla mia domanda: "Mario, cosa facciamo? Abbiamo visto tante cose, tante cose che in questo film non servono, alla fine. Ti interessa qualcosa?"
"No, ma nel prossimo film o nell'altro ancora ti faranno comodo. Dunque prendi tutto quello che bisogna prendere. Senz'altro lì non gireremo, perché sceglieremo le cose giuste per noi, per questo film, però questa roba è un bagaglio che tu terrai da conto."


Molti dei film a cui hai lavorato sono diventati cult: Amici miei - Atto I e Atto II, Un borghese piccolo piccolo, Romanzo Popolare sono solo alcuni esempi. La qualità complessiva del tuo lavoro è stata riconosciuta con diversi premi tra i quali spicca il David di Donatello per il miglior scenografo del 1982 per Il Marchese del Grillo. Ma ci sono dei film che a parer tuo, per la loro riuscita complessiva, meritavano un'accoglienza più calorosa di quella che hanno ricevuto?

Il pubblico è un personaggio stranissimo, perché ancora oggi nel 2015 non riesce a capire cosa faccia lo scenografo nel film, puoi immaginare. Anche il critico è un personaggio molto strano, neanche lui sa cosa facciamo noi come scenografi, non parla mai di noi né dei costumisti. Devo dirti, ci sono dei film che io ho amato, come Temporale Rosy (che ha amato anche Monicelli) che in effetti non sono riusciti. Molte volte i film non riescono, ma non perché lo spettatore o il critico dicano che è brutto. Non sono riusciti, non c'è niente da fare, ce ne accorgiamo anche noi stessi quando li andiamo a vedere montati, dopo il primo montaggio o quello finale. Però per noi sono bellissimi. È una cosa stranissima questa, però per noi son sempre belli, anche quelli "brutti", ci troviamo sempre qualcosa di interessante.



Lei ha avuto la fortuna di conoscere Monicelli. Il vostro sodalizio è durato molti anni...

Su 38 anni, per 20 abbiamo convissuto. Era come un amante, insomma.


Quindi ha potuto conoscerlo molto bene sia sul piano professionale che su quello umano. Vuole offrirci un bozzetto del personaggio Monicelli?

Monicelli era una persona onestissima, una persona che quando diceva una cosa era quella, non cambiava mai. Quando lo incontravamo per leggere il copione, tutti insieme, diceva quello che voleva e non cambiava mai, ripeto. Era molto facile lavorare con Mario Monicelli.
Come persona? Abbiamo fatto tantissimi chilometri di sopralluoghi, soli molte volte, e lui si metteva in macchina, io guidavo. Aveva il suo giornale, lui leggeva, si appisolava qualche volta. Parlavamo pochissimo io e lui. In certi momenti si parlava, in certi momenti si leggeva, in certi momenti ci si fermava, in certi momenti andavamo alla trattoria... La trattoria era una cosa classica, all'una lui doveva mangiare, mangiavamo insieme, eravamo perfettamente d'accordo e parlavamo molto poco, ma lavoravamo molto. Nel rapporto proprio umano, per me è stato tutto, mi ha insegnato che cos'è il cinema, i film, le problematiche... Ero molto vicino a lui e lui mi voleva sempre vicino, nel montaggio, anche nella sceneggiatura per esempio, a volte mi ha chiamato quando lavorava con gli sceneggiatori. Ero lì al loro tavolo mentre  lavoravano parlando del film, scrivevano eccetera, mi voleva perché dovevo captare certe cose importanti. E in pratica dall'inizio della sceneggiatura, poi mi voleva con sé per tutta la preparazione, poi tutto il girato, poi addirittura il montaggio, il missaggio eccetera, fino alla prima copia. Voleva anche tutti gli altri ma io ero il primo che chiamava quando faceva vedere il primo montaggio al produttore. Mi chiamava anche per la musica, allora si faceva la vera musica, con gli orchestrali, il maestro Rota, Morricone, i grandi. Lavoravamo con gli orchestrali, non con le cassette come adesso.
In pratica mi ha accompagnato in questi anni, mi ha fatto capire cos'è il cinema dalla A alla Z. Questo ricordo, di questo rapporto che ho avuto con Monicelli, è eccezionale.

2 commenti:

  1. E' un grande piacere avervi scovato tra i vari blog! Queste pagine racchiudono molte delle mie più grandi passioni, leggerle è stato un po' come guardarsi allo specchio (proprio come diceva Proust). Anche l'intervista a Baraldi è molto interessante... Buona scrittura!

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  2. Ciao Debora! Piacere tutto nostro di averti come lettrice. E anche di leggere rari commenti motivanti come questo. Grazie mille e sentiti la benvenuta su CV!

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