“Moleskipersi” sono tutti quei “pensieri persi non si sa quando e neppure dove, incapaci di essere ripensati da chiunque in qualsiasi angolo della terra, mai più”, scrive l’autore nella dedica. I versi sono, quindi, pennellate fugaci, immagini ad intermittenza, gesti indescrivibili. La carta li trattiene, li fissa, li intrappola nel giogo dell'eternità. E non sono più moleski-persi. Le pagine senza numeri (l'assenza di numeri sarà voluta?) scorrono sotto il segno di un filo
rosso, quello di una critica spietata nei confronti di una società decadente che puzza di marcio. La rabbia, mascherata ora da
nichilismo (“Prepara il piano B perché può darsi / che per qualche tuo
compleanno / nessuno ti chiami.” – da "Piano B"), ora da misantropia (“Mi basta una
parola, un gesto, un segnale non convenzionale. / Vi prego ditemi che c’è
ancora qualcuno che non è uguale / a tutto là fuori…” – da "Nonluoghi"), ora da
antiborghesia (“Anni che modificano il pensiero di rivoluzionari cheguevara /
in abili pensatori manichei neo capitalistici…” – da "Tra un anno e l’altro"), sembra
permeare l’intera raccolta, nella misura in cui il poeta si pone non al di
sopra di tutti gli altri (cosa che potrebbe venire in mente ad un lettore poco
attento), ma, con grande intelligenza, in una posizione intermedia, la
posizione di colui il quale conosce la vita e ne parla, non
lasciandosi trascinare dal pessimismo cosmico, ma cogliendo un bagliore di luce.
La scrittura, infatti, esorcizza il dramma di una società che tende a incurvarsi su se
stessa, come lo spazio-tempo. Ed ecco che la penna ferisce più della spada. No,
non “è solo carta”. Quella di Bronski (chiaramente uno pseudonimo) sembra
materializzarsi sulla carta come immagini di concetti inafferrabili alla mente
umana. Il lettore si illumina: ha visto una verità che prima era un vedo-non
vedo di turpitudini e inettitudini. Non si può essere indifferenti. Il
disvelamento avviene tramite un’ironia amara che vede gli individui deformarsi: ecco quello che sono veramente. Esseri deformi. Ma, in fondo, "'a morte 'o ssaje ched''e?...è una livella" (come scriveva Totò nella sua celebre poesia) che uniforma belli e brutti, ricchi e poveri, buoni e cattivi.
FASCINOSI E SINISTRI
Fascinosi e sinistri giorni.
Fascinosi e sinistri volti.
Ti hanno licenziato
fascinosi e sinistri superiori
subalterni a qualcun altro.
fascinosi e sinistri superiori
subalterni a qualcun altro.
Che a sua volta verrà licenziato e
per lui si prospetteranno
fascinosi e sinistri momenti.
per lui si prospetteranno
fascinosi e sinistri momenti.
Chi c’è all’apice,
Chi è il grande burattinaio?
Chi è il grande burattinaio?
Chi è il fascinoso e sinistro
caput mundi plenipotenziario?
caput mundi plenipotenziario?
Un fascinoso e sinistro imbecille.
Sicuramente figlio di un fascinoso e sinistro
figlio di puttana che ha raggiunto la cima
non facendosi scrupoli di niente e di nessuno.
Sicuramente figlio di un fascinoso e sinistro
figlio di puttana che ha raggiunto la cima
non facendosi scrupoli di niente e di nessuno.
E il figlio è lì che si specchia…
Ma quanto sono fascinoso…
Ma quanto sono sinistro…
Ho il controllo di tutto…
Sono plenipotenziario…
Ma quanto sono fascinoso…
Ma quanto sono sinistro…
Ho il controllo di tutto…
Sono plenipotenziario…
Poi un giorno lo troveranno morto,
morto in un modo né fascinoso né sinistro.
Solo morto.
Come i morti.
morto in un modo né fascinoso né sinistro.
Solo morto.
Come i morti.
Poeta e musicista (per chi non l'avesse ancora capito Bronski è un bluesman, bassista e chitarrista in una band molto conosciuta) si fondono, rappresentati ora dalla sensibilità ora dalla musicalità del ritmo veloce, a tratti martellante del verso libero. Il filosofo agisce come il subinconscio: è una
presenza-assenza, ma il lettore lo percepisce assieme agli influssi di
Bukowski, De Andrè, Ginsberg. La società risulta smascherata, scarnificata,
ridipinta.
“Non preoccuparti se per tutta la vita hai scelto la forma,
l’eleganza, il bon ton, il cercare di apparire in ordine e l’andare
d’accordo con tutti…
l’eleganza, il bon ton, il cercare di apparire in ordine e l’andare
d’accordo con tutti…
Non uscirai in ordine da quella porta.
È troppo stretta.”
È troppo stretta.”
(da “Com’è stupido andarsene”)
Ecco che la finzione diventa realtà e “il vento continua a soffiare, /
il cielo a schiarirsi e ad annuvolarsi / e tu…? // E tu non sei un cazzo.” (da
“Fiction”). Anche l’amore è sempre un disamore, una nostalgia, un ricordo
fugace, una passione cruda, una disillusione, una incomunicabilità, un senso
unico alternato.
“Forse stai parlando sottovoce…
O forse è troppo il rumore intorno.
Non ti sento.“
(da “Basso profilo”)
O forse è troppo il rumore intorno.
Non ti sento.“
(da “Basso profilo”)
Il ravvedimento e il disincanto, eccoli qui i temi portanti! Il poeta
scrive perché ha aperto gli occhi, il suo
corpo ha rigettato l'invasione della società, la scrittura lo libera e ci libera. Questa poesia ci porta dove
tutto sembra riunirsi e staccarsi, perentoriamente; siamo sul filo del rasoio,
ma noi viviamo beati nel crogiuolo delle nostre vite, ignari di tutto fino a quando
qualcuno ci tira fuori dall'ovattamento. Tutto d'un tratto respiriamo.
E ci sembra di capire perché la musica oggi fa schifo, perché un musicista non può vivere di musica, perché un laureato in gamba non riesce a fare carriera, perché le piazze sono piene di anziani che parlano ancora di fascismo, perché in centro non c'è mai posto e i pomeriggi d'estate fa caldo.
Bisogna leggere questa raccolta tutta d'un fiato: strapperà un sorriso anche ai più compositi.
Noi speriamo, dalla nostra, di leggere presto altre poesie di Bronski.
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