Conosciuti in un covo clandestino di sovversivi, fidanzati in commissariato, i due si sposano dopo un periodo di reclusione che Norberto deve scontare per la sua attività rivoluzionaria e Antonia, già incinta, trascorre tra l'umile lavoro e il nuovo interesse per la politica.
Antonia non si vota alla causa rivoluzionaria per mera osmosi né per ottusa emulazione, né tanto meno a causa di un entusiasmo passeggero legato alle lotte operaie che scuotono Torino (dove la storia è ambientata): lei vuole imparare il linguaggio della politica non per adeguarsi alle passioni del marito, non per compiacerlo, ma per capire le sue arringhe e le sue affermazioni, per seguire i dibattiti che lui tiene con gli amici, per poter fare domande e mettere bocca. L'innamoramento per il suo Saxofono è solo la scintilla che fa scattare in lei il desiderio di comprendere la sua realtà e di viverla autenticamente, in prima persona. Alla consapevolezza segue immediatamente l'azione: dal farsi interrogare dalle colleghe sarte per memorizzare meglio cosa vogliano dire termini come "massimalisti" e "turatiani", passa all'andare in giro carica di volantini di propaganda.
Quando l'attività clandestina di Norberto lo porta per l'ennesima volta dietro le sbarre, Antonia ha una vera e propria crisi di coscienza e la sua fede, che in pochi anni era nata e si era consolidata, vacilla. Si chiede se valga la pena lottare, se non sarebbe meglio avere un marito che non capisce un'acca di politica e si lava le mani dello sfruttamento degli operai, se il suo stesso impegno politico non sia superfluo o addirittura dannoso. Due anni dopo è di nuovo nel commissariato, tra una ricca industriale, il capitano di allora (intanto diventato colonnello) e un fascista, e di fronte a loro difende la causa rivoluzionaria con forza e ironia, senza risparmiare insulti e minacce, senza tentennare di fronte al potere, alla solidità dell'ordine costituito, alla violenza di chi lo rappresenta, ai sacrifici e alle difficoltà in agguato per chi insegue nonostante tutto l'utopia socialista.
Fittamente intrecciata con la vicenda personale dei protagonisti è la storia che corre dal 1911 al 1922: l'occupazione delle fabbriche a Torino, l'attività (controproducente) di sindacati e partito socialista, la frattura al suo interno che porta alla nascita del partito comunista (al quale immediatamente si votano i protagonisti), la nascita dei fascisti a tutela dell'ordine dei padroni, la repressione. In "Novecento", Bernardo Bertolucci fa pronunciare a Olmo Dalcò queste parole:
«I fascisti non sono mica come i funghi, che nascono così, in una notte. No. I fascisti sono stati i padroni a seminarli, li hanno voluti, li hanno pagati. E coi fascisti i padroni hanno guadagnato sempre di più, al punto che non sapevano più dove metterli i soldi.»
Questa stessa fenomenologia è la filigrana che si intravede nelle ultime sequenze della commedia scritta da Dario Fo, quando Antonia (interpretata da Franca Rame nel debutto del 27 marzo 1971 a Varese Belforte) ribatte con sarcasmo e sfacciataggine al borioso fascista che non incarna ancora una forza propriamente politica ma solo il braccio armato vigliacco e interessato dei ricchi industriali e degli agrari.
A proposito di un'altra sua commedia, "Morte accidentale di un anarchico", Dario Fo diceva che è sempre meglio trattare del materiale drammatico in modo comico: così facendo si evita la catarsi, la purificazione attraverso il dolore dell'immedesimazione e il pianto liberatorio. Dopo un bel pianto, l'evento triste o rabbioso che lo ha scatenato è come accantonato. Trasformare un evento doloroso in una farsa (come nel caso dell'assassinio di Giuseppe Pinelli nella commedia citata) invece contribuisce a che il dolore e la rabbia non si sfoghino ma restino nello spettatore a covare, a covare, ad alimentare rabbia e indignazioni più durature di uno sbotto o di un pianto, capaci di stimolare profondamente la coscienza. "Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?" cerca di conseguire questo stesso scopo: tra gag clownesche e battute a profusione, delinea la genesi del fascismo all'indomani di una rivoluzione mancata e la lascia a covare nello spettatore (o nel lettore), a decantare, a farsi oggetto di riflessione storica e politica.
Quando Dario Fo era "tzi tzi"!
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