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sabato 26 aprile 2014

"Onirica - Field of Dogs" di Lech Majewski

A metà strada tra il racconto intimistico e il poema, Onirica - Field of dogs di Lech Majewski, è un trionfo di lirismo. Unico sopravvissuto ad un incidente stradale in cui perdono la vita la fidanzata Basia e il caro amico Kamil, Adam decide di reinventarsi un'esistenza. Conserva sul viso un'estesa cicatrice e nel cuore (come nelle parole della zia Xenia) la consapevolezza di avere sfiorato la cecità e la mutilazione: quel solo sfiorare la rovina personale, mentre i suoi cari hanno perso la vita stessa, è un rovello per il ragazzo. Oppresso dal senso di colpa per essere il solo sopravvissuto, incapace di dare un senso alla tragedia, troppo depresso e debole per affrontare il lutto ed elaborarlo, Adam chiude con la sua vecchia vita. Mette tra parentesi l'università, la poesia, le amicizie: tutto quanto ci fosse prima dell'incidente viene accantonato e rinnegato perché è troppo doloroso il confronto
La locandina del film
tra quel passato di normalità e il presente doloroso, solitario, privo di senso.

Adam trova lavoro in un supermercato e conserva un rapporto, sebbene altalenante e diffidente, solo con la zia Xenia. Cerca di reinventarsi da zero, rifuggendo la vita reale, calandosi nella Divina Commedia come in un altro mondo che inghiotta quello attuale, che oblii il nulla di una vita rimasta priva di logica. Ma il passato non accetta di venire sepolto prematuramente: i cari di Adam, Kamil, il padre contadino, Basia, lo perseguitano in sogno.

Il film alterna allora l'inconscio di Adam, una dimensione onirica resa con maestria e grande forza suggestiva, con una dimensione oggettiva e corale di tragedia e lutto: i tragici eventi che segnarono la Polonia nel 2010, dai disastri naturali all'incidente aereo che causò 96 vittime tra cui l'allora Presidente polacco Lech Kaczyński.

In un'atmosfera di tragedia diffusa, la sofferenza individuale di Adam si scioglie in quella collettiva senza per questo risultare smorzata. Il senso di precarietà della vita è amplificato dalla portata collettiva degli eventi drammatici e Adam ne ricava un sentimento più acuto di solitudine. La fragilità della vita e l'apparente assenza di logica e significato nel suo brusco infrangersi spingono Adam, senza risultato, a ricercare un senso nella religione. A differenza di un travail de deuil solitario ed introspettivo, Adam sceglie di rivolgersi alla Chiesa perché essa sembra offrire un percorso meno doloroso: l'intimità lacerata non è coinvolta né intaccata dal discorso del tutto esteriore, dai contorni rituali, offerto dal prete. Infatti, il colloquio di Adam con il sacerdote si risolve in una infruttuosa teodicea. Dio è un mistero che smetterebbe di esistere se svelato: non è che l'incarnazione della speranza di ciascuno, per ciascuno diverso e del tutto indipendente dal rito e dalla Scrittura. Queste riflessioni non spingono Adam neppure un passo più avanti nell'elaborazione del suo lutto, nel superamento del suo amore spezzato. La stessa insignificanza ricoprono le citazioni di Epitteto e Seneca che gli offre la dotta zia Xenia. La verità è che Adam è solo perfino rispetto a sé stesso e non può ricavare sollievo né dalla filosofia né da una vuota ritualità. Solo la Divina Commedia e il sogno possono accompagnarlo nella strada solitaria alla ricerca di un senso o nella fuga da esso.

Lunghe citazioni del poema dantesco si accompagnano a felici scelte registiche. Composizioni spettrali e criptiche sposano i lunghi, eloquenti silenzi. L'atmosfera è distorta, magistralmente deformata dal grandangolo dell'inconscio, e in questo il film mi ha ricordato molto Mulholland Drive di David Lynch. Le simbologie bibliche e dantesche delineano stati d'animo e frammenti di sogno che esplodono in tutto il loro lirismo. Tutto il film è imperniato sul rapporto con la morte, sulla sua altalenante interpretazione; ed è accarezzato da un velato e a tratti simbolico erotismo. La coppia di amanti che ascende al cielo, lasciando dietro di sé la serpe del peccato e della lussuria che viene spazzata via da un colpo d'ali della candida colomba, raffigura l'amore come è vissuto (o piuttosto, vista la morte di Basia, sognato) da Adam: come una potenza salvifica, come la sola cosa autenticamente sacra e capace di elevare l'anima dell'uomo. Basia-Beatrice regala ad Adam-Dante quel senso di vita e di eternità che non aveva saputo ricavare né dall'argomentazione razionale dei filosofi né, tanto meno, dal culto sterile e superficiale, offerto dalla Chiesa.

Il tributo a Dante, alla Commedia e alla Vita Nova, è manifesto. L'elogio della poesia e dell'amore come ancora più celeste e sublime poesia è il tema che pervade delicatamente i sogni spettrali e perturbanti come gli scorci desolanti della vita reale, tra solitudine desolante e disastri che sanno quasi di apocalisse imminente. Un freudismo sottile si insinua nell'insieme senza turbarne l'armonia né la poesia ai limiti (anzi, ben oltre i limiti) del razionale. E in tutto questo, il nome del protagonista può essere casuale?
Il giovane uomo è forse proprio quell'Adamo «a cui ciascuna sposa è figlia e nuro»: è il primo uomo, è l'Uomo, solo di fronte ai temi universali che irrorano di sé ogni autentica poesia e che ad uno sguardo appunto poetico appaiono a volte i minimi termini a cui tutta la realtà può essere ridotta, i due atomi elementali e misteriosi che da sempre incantano l'uomo e che sempre lo incanteranno: la Morte e l'Amore.

martedì 15 aprile 2014

"Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?" di Dario Fo

La commedia in due atti, sottotitolata "lotte operaie 1911-1922", racconta di Antonia, una «ocona» svampita e frivola che l'amore per il socialista Norberto «detto Saxofono» (per via della sua voce bassa e suadente) trasforma in una militante temeraria. Al principio della fabula, Antonia capita per caso in uno scantinato pieno di ferventi socialisti intenti a complottare sabotaggi e occupazioni. Tra loro ci sono un fanatico «trombone», un certo Mussolini, e un operaio in giacca e cravatta che subito colpisce Antonia con la bella presenza e la voce appunto da saxofono. Lui ci tiene a stare in giacca e cravatta perché i padroni vogliono gli operai morti di fame, mentre lui lotta per la loro dignità e libertà dallo sfruttamento. Il colpo di fulmine fa appena in tempo ad abbattersi sulla ragazza che una retata delle forze dell'ordine fa sgomberare lo scantinato. Trascinata in commissariato, l'ingenua Antonia spiffera tutto quello che ha sentito, causando l'arresto dei due socialisti che spiccavano nel gruppo di sovversivi: al giovane Mussolini vengono fatti bere due litri di acqua e sale mentre il bel Norberto detto Saxofono, superata l'arrabbiatura iniziale per l'involontaria soffiata di Antonia, la prega di portare un messaggio ai compagni rimasti in libertà. Lei si offre di assumere un'identità fittizia, quella di «morosa» del Saxofono, e quando lui le dà il via libera, lei chiede candidamente: «Posso dirlo in giro?». E, ricevuto un nuovo, stupito assenso, prende a saltellare festosa per il commissariato: «Ho il moroso rivoluzionario più bello del mondo!».
Conosciuti in un covo clandestino di sovversivi, fidanzati in commissariato, i due si sposano dopo un periodo di reclusione che Norberto deve scontare per la sua attività rivoluzionaria e Antonia, già incinta, trascorre tra l'umile lavoro e il nuovo interesse per la politica.
Antonia non si vota alla causa rivoluzionaria per mera osmosi né per ottusa emulazione, né tanto meno a causa di un entusiasmo passeggero legato alle lotte operaie che scuotono Torino (dove la storia è ambientata): lei vuole imparare il linguaggio della politica non per adeguarsi alle passioni del marito, non per compiacerlo, ma per capire le sue arringhe e le sue affermazioni, per seguire i dibattiti che lui tiene con gli amici, per poter fare domande e mettere bocca. L'innamoramento per il suo Saxofono è solo la scintilla che fa scattare in lei il desiderio di comprendere la sua realtà e di viverla autenticamente, in prima persona. Alla consapevolezza segue immediatamente l'azione: dal farsi interrogare dalle colleghe sarte per memorizzare meglio cosa vogliano dire termini come "massimalisti" e "turatiani", passa all'andare in giro carica di volantini di propaganda.
Quando l'attività clandestina di Norberto lo porta per l'ennesima volta dietro le sbarre, Antonia ha una vera e propria crisi di coscienza e la sua fede, che in pochi anni era nata e si era consolidata, vacilla. Si chiede se valga la pena lottare, se non sarebbe meglio avere un marito che non capisce un'acca di politica e si lava le mani dello sfruttamento degli operai, se il suo stesso impegno politico non sia superfluo o addirittura dannoso. Due anni dopo è di nuovo nel commissariato, tra una ricca industriale, il capitano di allora (intanto diventato colonnello) e un fascista, e di fronte a loro difende la causa rivoluzionaria con forza e ironia, senza risparmiare insulti e minacce, senza tentennare di fronte al potere, alla solidità dell'ordine costituito, alla violenza di chi lo rappresenta, ai sacrifici e alle difficoltà in agguato per chi insegue nonostante tutto l'utopia socialista.
Fittamente intrecciata con la vicenda personale dei protagonisti è la storia che corre dal 1911 al 1922: l'occupazione delle fabbriche a Torino, l'attività (controproducente) di sindacati e partito socialista, la frattura al suo interno che porta alla nascita del partito comunista (al quale immediatamente si votano i protagonisti), la nascita dei fascisti a tutela dell'ordine dei padroni, la repressione. In "Novecento", Bernardo Bertolucci fa pronunciare a Olmo Dalcò queste parole:



«I fascisti non sono mica come i funghi, che nascono così, in una notte. No. I fascisti sono stati i padroni a seminarli, li hanno voluti, li hanno pagati. E coi fascisti i padroni hanno guadagnato sempre di più, al punto che non sapevano più dove metterli i soldi.»

Questa stessa fenomenologia è la filigrana che si intravede nelle ultime sequenze della commedia scritta da Dario Fo, quando Antonia (interpretata da Franca Rame nel debutto del 27 marzo 1971 a Varese Belforte) ribatte con sarcasmo e sfacciataggine al borioso fascista che non incarna ancora una forza propriamente politica ma solo il braccio armato vigliacco e interessato dei ricchi industriali e degli agrari.
A proposito di un'altra sua commedia, "Morte accidentale di un anarchico", Dario Fo diceva che è sempre meglio trattare del materiale drammatico in modo comico: così facendo si evita la catarsi, la purificazione attraverso il dolore dell'immedesimazione e il pianto liberatorio. Dopo un bel pianto, l'evento triste o rabbioso che lo ha scatenato è come accantonato. Trasformare un evento doloroso in una farsa (come nel caso dell'assassinio di Giuseppe Pinelli nella commedia citata) invece contribuisce a che il dolore e la rabbia non si sfoghino ma restino nello spettatore a covare, a covare, ad alimentare rabbia e indignazioni più durature di uno sbotto o di un pianto, capaci di stimolare profondamente la coscienza. "Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?" cerca di conseguire questo stesso scopo: tra gag clownesche e battute a profusione, delinea la genesi del fascismo all'indomani di una rivoluzione mancata e la lascia a covare nello spettatore (o nel lettore), a decantare, a farsi oggetto di riflessione storica e politica.