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domenica 11 agosto 2013

"Sogni di sangue" di Lorenza Ghinelli

Si compra questo libro, lo si legge d'un fiato, lo si richiude e prontamente affiora alle labbra un asciutto e perplesso: "E beh?"

Dramatis personae: Enoch, un ragazzino affetto da artrite idiopatica giovanile, costretto a portare dei tutori di titanio alle gambe, oggetto di crudeli vessazioni; Gino, Alex e Francesca, tre bulli ovviamente adibiti a perpetrare le suddette vessazioni; Dorotea, una madre per definire la quale il termine «algida» è usato e usato di nuovo e usato di nuovo e usato di nuovo fino alla nausea.
In apertura, Enoch torna a casa bagnato e infangato, con un occhio pesto, trascinandosi dietro il mesto clang clang metallico dei tutori. La madre riesce in qualche modo a trovare la via di mezzo fra un'accoglienza (indovinate il termine? Deng, risposta esatta!) algida e un opprimente esercizio della potestà genitoriale, subissando il figlio di consigli, premure, ordini, divieti e quant'altro. Chissà perché, il figliuolo dimostra qualche vago segno di squilibrio.
Il libro fa parte della serie Live
della Newton Compton, nelle
librerie in questi giorni. Solo 99
centesimi e questo è consolante...
E fin qua...
Poi, la tragedia. Che non è quella dei personaggi ma quella del lettore. Inizia uno stillicidio di luoghi comuni, abilmente incastrati l'uno vicino all'altro per farne entrare il più possibile in un numero esiguo di pagine. Un insostenibile collage di stereotipi della peggior specie, conditi da succulenti titoli di capitolo come "I sogni son desideri", "Occhio per occhio", "Sogno o son desto", "Il buongiorno si vede dal mattino", "Mai dire ratto se non ce l'hai nel sacco" per concludere con uno ieratico "Nei secoli dei secoli". Quanta bella originalità. Quanta freschezza.
Parlavo di luoghi comuni. Avete presente quelle dimore antiche con un che di gotico e tetro? Quelle con antica mobilia, soffitti altissimi ed enormi finestre, magari a sesto acuto? Ecco, il protagonista e la sua algida madre vivono in una casa del genere. Quale ragazzino di città non vive in un palazzo gotico?
E ovviamente, come volete che pranzino gli abitanti di cotanta signorile dimora? In signorile e austero silenzio. Tavolo lungo come una limousine... Un commensale ad un'estremità... L'altro commensale all'altra estremità.
[Tenetemi. Potrei esplodere.]
Non sto a tirarla per le lunghe. Il piccolo protagonista cerca un cantuccio solitario per fare ginnastica, i bulli sono usciti di casa con il preciso intento di rollarsi una canna, come finirà? Si incontrano tutti nei pressi di un capannone industriale (per raggiungere il quale Enoch ha camminato per mezz'ora. Oh, ma è normalissimo per un ragazzino con tutori di titanio alle gambe e per il quale anche solo salire sull'autobus è un'impresa. Già.).

Una trama a spirale magistralmente sviluppata e condotta fa emergere pian piano cosette interessanti (e niente affatto trite e ritrite, eh!) come un antichissimo medaglione egizio, che senza una sola ragione al mondo Enoch sgraffigna e porta a casa, suscitando le ire funeste della sua algida madre che pensa bene di sequestrarlo. E mentre l'algida madre tira giù duecento libri dagli scaffali e fa scorrere un pannello di legno perché (ebbene sì), ovviamente, ha un passaggio segreto che nasconde uno studio altrettanto segreto, il piccolo Enoch si dà ai suoi "sogni di sangue". Cioè, sogna di essere prima un esercito di blatte e subito dopo un vispo coccodrillo voglioso di far merenda con Alex, il capo del trio di bulli.
Volete un altro luogo comune? Lo volete proprio?
Eccovi accontentati. Enoch si sveglia bagnaticcio e in preda alle palpitazioni e l'indomani Alex non si presenta a scuola. Sarà rinvenuto stecchito qualche capitolo dopo. Ma va?
Ma il peggio deve ancora venire.
Disgrazie e misteri fittissimi, suspance in abbondanza, atmosfera tesissima e assolutamente ansiogena (ehm, no, niente di tutto questo). Ad un certo punto vengono tirati in ballo i poliziotti. E, ovviamente, la scientifica. Troppa televisione fa male davvero: anche per un peto di cane o per un bambino che cade in un tombino si scomoda la scientifica. In ogni caso i poliziotti arrivano sul luogo del delitto, il vecchio capannone e i suoi pulitissimi (giuro) condotti fognari, e la cosa più bella è che le operazioni sono guidate da Rebecca, una fricchettona sexy (testuale) nonché una zingara che non ruba e se ne fa gran vanto con gli sconosciuti nonché collaboratrice e consulente della polizia in qualità di grande esperta di culti pagani, rituali satanici e simili amenità. Non solo un simile personaggio è senza capo né coda, non solo è totalmente fuori luogo ed inutile nell'economia del racconto, ma per di più assume praticamente il controllo delle operazioni di polizia dando ordini a tizio e caio, soprattutto ad un certo poliziotto Franco non meglio qualificato con il quale sembra intendersela (e il quale più tardi, mentre si parla di un tredicenne appena morto e di uno moribondo, si incanta a immaginare un dopocena piccante con lei). A-ha. Sì. Tutto molto verosimile, oltre che molto logico ed umano.
Il racconto procede con una gran quantità di altri stereotipi (vogliamo parlare di un libro segretissimo e misteriosissimo, custodito dalla madre nel suo stanzino segreto, intitolato cripticamente "Rituali e formule di magia nera"?) e di idiozie più o meno accentuate che lascio con piacere al lettore, che troverà anche discutibili coup de théâtre e, soprattutto, nessun finale logicamente conseguente. Io amo i finali aperti, ma non è questo il caso. No, Sogni di sangue è semplicemente di una rara inconcludenza.
Peccato, perché da una finalista al Premio Strega mi aspettavo qualcosa in più. Una certa competenza di Ghinelli si nota dallo stile, certo: scorrevole ma anche molto dotto e a tratti poetico; figure retoriche interessanti, descrizioni ben condotte. Ottimo e malinconico il parco brullo e bruciato dalle scorie chimiche, uno scenario quasi post-atomico da periferia degradata. Parimenti, il personaggio meglio costruito del libro intero è il bullo Gino, di cui è descritta la vita familiare molto dura e sgradevole e per il quale si finisce per provare una triste simpatia. I capitoli che descrivono i problemi quotidiani e i rapporti dei bulli comprendono le pagine più verosimili ed interessanti, senza dubbio le più piacevoli (o meglio, le meno irritanti). Peccato anche per alcune imprecisioni soprattutto formali molto fastidiose (ad esempio, sembra che l'autrice misconosca completamente il fatto che il coccodrillo e l'alligatore siano due animali diversi, e d'altra parte creda che dei pantaloni di velluto siano «biancheria»). 
Trovo un peccato che uno stile buono come quello di Lorenza Ghinelli sia stato applicato a causa di non so che funesta ispirazione ad una storiella banale come "Sogni di sangue", che se non fosse per sesso, parolacce e hashish sembrerebbe pensata per i Piccoli Brividi.

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