«Mi permetta di presentarmi. Mi chiamo Joseph Ferdinand Gould, laureato a Harvard magna cum difficultate, classe 1911, presidente del consiglio d'amministrazione della Buona e Cattiva Sorte S.p.A. In cambio di un bicchiere reciterò una poesia, terrò una conferenza, sosterrò una tesi, oppure mi toglierò le scarpe e farò l'imitazione del gabbiano. Preferisco il gin, ma va bene anche la birra.»
Joseph Mitchell non è noto come scrittore. La sua fama è strettamente legata ai profili che scriveva per lo New Yorker. Nel 1942 scrisse, appunto per il giornale, un profilo intitolato: "Il professor Gabbiano". I profili non erano racconti di fantasia, ma ritratti di persone reali che Mitchell scopriva per caso e sulle quali poi indagava, mettendo insieme interviste, racconti, dati biografici. Negli anni '40 viveva al Greenwich Village di New York un bohémien molto famoso, quasi un'istituzione in città. Si chiamava Joe Gould.
«Era un ometto bizzarro, squattrinato e inadatto a un qualsiasi impiego, che giunse in città nel 1916 e tenne duro, a furia di sotterfugi ed espedienti, per più di trentacinque anni».
Fin da bambino era sempre stato considerato da tutti «un nanerottolo, un tappo, un omuncolo, una mezza cartuccia, una larva» e fin dall'infanzia era approdato ad una soddisfacente definizione di se stesso come «"ambisinistro", cioè mancino da entrambe le mani».
Il libro "Il segreto di Joe Gould" raccoglie quel primo profilo risalente al '42 e un secondo profilo, molto più ricco, scritto nel 1964, poco dopo la morte di Gould. Mitchell lo aveva conosciuto in occasione del primo profilo, e solo nel corso degli anni era venuto a conoscenza di quel "segreto" tragico, abnorme, che sarà oggetto del secondo scritto, e che doveva attendere la morte di Gould per essere rivelato.
Il risultato dei due profili riuniti è un libro di una straordinaria vivacità, che ritrae con incredibile vividezza un personaggio splendido, che si conficca nel cuore e stimola potentemente l'immaginazione. Una donna intervistata da Mitchell disse che l'inconscio di New York cercava di parlare a tutti loro attraverso Joe Gould.
Sì, perché Gould non è solo un senzatetto scroccone ed eccentrico. Non è semplicemente un mattacchione che va in giro ballando la ridda selvaggia imparata presso gli indiani Chippewa,
o che durante una festa noiosa attira l'attenzione iniziando a sbattere le braccia stridendo come un gabbiano. Gould è essenzialmente un nocciolo vivo di linguaggio e la sua storia è inscindibile dalla sua opera.
Joe Gould era il rampollo di una famiglia conosciuta e prestigiosa, nipote e figlio di chirurghi ed insegnanti di medicina ad Harvard. Da bambino si lasciò incanalare verso gli studi di medicina, ma raggiunta la maggiore età approdò ad una ferma decisione, che comunicò alla madre: non intendeva più studiare, ma "vagabondare e meditare". Andò a Long Island e lì si interessò di eugenetica. Entrò in contatto con l'Eugenics Record Office di Cold Spring Harbor e nel 1916 andò in North Dakota a misurare la testa di cinquecento indiani Mandan e un migliaio di Chippewa. In mancanza di finanziamenti che gli permettessero nuovi vagabondaggi nelle riserve, fu costretto (ameno per un po') a cercare lavoro a New York. Una mattina, mentre era intento a fare pausa stravaccato al sole, fu folgorato dall'ispirazione. Un'opera straordinaria, la Storia Orale del nostro tempo, si delineò per la prima volta nella sua mente. Allora mollò il lavoro e si buttò anima e corpo nella nuova impresa, perché solo una vita da senzatetto e disoccupato poteva garantirgli il tempo e la possibilità di intraprendere quel lavoro titanico.
«"Da quella fatale mattina" ha detto una volta in un momento di esaltazione "la Storia orale è stata la mia corda e la mia forca, il mio letto e la mia mensa, la mia sposa e la mia sgualdrina, la mia ferita e il sale sulla ferita, il mio whisky e la mia aspirina, la mia roccia e la mia salvezza. È l'unica cosa al mondo di cui m'importi qualcosa. Tutto il resto è ciarpame.»
La Storia Orale è una raccolta di conversazioni origliate in tram, per strada, nei locali notturni. Comprende saggi, articoli, considerazioni. È uno zibaldone di pensieri, racconti autobiografici, trascrizioni di storie riferite o vissute o tramandate o rubate. È un'opera chilometrica che occupa decine di quaderni conservati in diversi punti della città, affidati a diversi amici. Ed è un'opera che cresce continuamente a vista d'occhio, ed è scritta rigorosamente a mano.
«"William Shakespeare non martellava mica i tasti di uno schifoso aggeggio da novantacinque dollari" ha scritto Gould "e non lo farà neanche Joe Gould."»
La Storia Orale è variegata, è ricca, è enorme. I capitoli hanno titoli come: "La terribile moda del pomodoro, ovvero state attenti! State attenti! Abbasso il Dott. Gallup!", "Brillo come un grillo, ovvero come misurai la testa di 1500 indiani a temperatura zero" e "Echi dalle sale di servizio del Bellevue" (capitolo ambientato in una clinica e suddiviso in parti intitolate: "Operazioni e amputazioni spettacolari", "Morti orrende", "Dottori sadici", "Dottori alcolizzati", "Dottori drogati", "Dottori donnaioli", e "le cose strane che si trovano durante le autopsie".)
Il proposito di Gould è ritrarre esattamente, in modo quasi fotografico, la New York dei suoi tempi. Senza alcuna modestia, intende creare un'opera esauriente e attendibile, un'autentica testimonianza storica.
«"In futuro" disse in un'altra occasione "la gente leggerà la Storia orale di Gould per capire che cosa non ha funzionato nella nostra civiltà, un po' come oggi leggiamo Gibbon per capire la decadenza e la caduta dell'Impero romano.»
E il suo obiettivo è perseguito con costanza, con totale devozione. Una sera salì sul vagone della metropolitana, si aprì un quaderno sulle gambe e continuò a scrivere senza pause fino al mattino.
«"Quando sono uscito dalla metropolitana" dice Gould "tossivo e starnutivo, avevo gli occhi che mi bruciavano, le ginocchia che mi tremavano, una fame da lupo, e in tasca esattamente otto centesimi. Ma non me ne importava un fico. La mia storia si era allungata di undicimila parole nuove di zecca, e scommetto che in quel momento non c'era in tutta New York un banchiere più felice di me."»
Gould è un personaggio davvero straordinario. Suscita un calore e un'emozione intensi il pensare che ogni cosa riferita da Mitchell sia reale, attribuibile ad una persona realmente vissuta. Una persona pittoresca, controversa, che cavalcò per tutta la vita il limite tra la vita e la leggenda metropolitana (e solo chi leggerà fino alla fine per scoprire il suo segreto saprà fino a che punto e potrà cogliere tutta la tragicità e l'enormità di quest'uomo incredibile). Scrive Mitchell:
«Gould è ossessionato dal timore di morire prima di aver portato a termine la prima stesura della Storia orale. È già lunga come undici Bibbie. Gould calcola che il manoscritto comprenda nove milioni di parole, tutte scritte per esteso. Non è escluso che si tratti dell'opera inedita più lunga che esista.»
«Rovesciò indietro la testa e cominciò a stridere e a trillare e a gracchiare e a miaulare e a rugliare e a gloglottare e a schiamazzare e a crocidare, inframmezzando i suoni con sputacchi occasionali [...]» per poi dire che «Henry Wadsworth Longfellow si traduce molto bene nella lingua dei gabbiani. [...] Tutto sommato, se devo essere sincero, credo che suoni meglio nella lingua dei gabbiani che in inglese.»
Joe Gould è una figura così straordinaria da non potersi certo riassumere in un post. Anzi, temo che questa mia breve rassegna lo abbia banalizzato. Credo che il libro di Mitchell gli renda compiutamente giustizia e onestamente non posso che invitare chiunque a leggerlo. Personalmente, ritengo questo libro uno dei più belli che io abbia mai letto. Generalmente i libri possiedono dei picchi di gradevolezza, di interesse o di spirito. Questo non vale per Il segreto di Joe Gould, e non avevo mai trovato un libro del genere: Mitchell mostra un talento davvero straordinario nello stilare una cronaca dettagliata e brillante, vivida e potente. Non ci sono picchi, non ci sono alti e bassi. L'intero libro è omogeneamente splendido, e isolare poche citazioni come ho fatto in questo post è davvero difficile ed arbitrario.
La storia di Joe Gould è divertente e insieme profondamente drammatica. È una finestra spalancata sul mondo disperato ed incerto dei senzatetto, dei soli, degli abbandonati; è un ritratto di una New York pulsante e piena di contrasti; è l'immagine di un'epoca che si avviava a passi da gigante dalla modernità all'attuale società atomizzata e cinica. È il racconto di grandi fermenti culturali e artistici, è uno spaccato fedele, coinvolgente e decisamente interessante di una società contraddittoria. Soprattutto, è un insieme di vissuti personali intensi, sulla scia di una figura ribelle e incontentabile, ambiziosa e disperata. A Joseph Mitchell l'enorme merito di avercela tramandata.
La Storia Orale di Joe Gould, il più ampio progetto editoriale mai intrapreso, è un sogno ad occhi aperti; è il racconto corale di una New York che scelse di incarnarsi in uno dei suoi cittadini più piccoli e dimessi; è una sfida lanciata alla creatività di ognuno, è un invito traboccante di poesia.
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