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venerdì 19 luglio 2013

"Palomar" di Italo Calvino

Calarsi nella lettura di questa raccolta di racconti, è come tessere assieme all'autore la trama di una lunga riflessione intorno alla verità come frutto di interpretazione. Perché di questo si parla: interpretazione come disvelamento, come incomprensibilità linguistica e ontologica, come ricerca di un significato latente. 
Il protagonista di tutti i racconti, Palomar, non è un uomo loquace. Assenza di parole, però, non è da intendere come sterilità intellettuale: egli si rifugia in un mondo tutto suo, un mondo che ai rapporti interpersonali sostituisce la domanda sul senso che le cose, nel loro apparire, sottintendono. 

«Un silenzio, in apparenza uguale a un altro silenzio, potrebbe esprimere cento intenzioni diverse; anche un fischio, d'altronde, parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno [...]»

È un affanno maniacale quello che lo accompagna nelle quotidiane osservazioni e speculazioni: la classificabilità di un filo d'erba, la coesione di movimenti simultanei negli sbalzi delle onde, l'incertezza dello sguardo di fronte ad una bagnante col seno scoperto diventano occasioni per ripensare le connessioni tra l'io e il mondo, tra una presunta oggettività e una invalicabile soggettività, tra una realtà inemendabile e una irrealtà incerta. La portata di questo viaggio esistenziale e intellettuale è il dissidio tra un'ontologia schiacciante e una ermeneutica scomoda, ma necessaria. «Non interpretare è impossibile, come è impossibile trattenersi dal pensare.»

«Il riflesso sul mare si forma quando il sole s'abbassa: dall'orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l'azzurro opaco del mare incupisce la sua rete. Le barche bianche controluce si fanno nere, perdono consistenza ed estensione, come consumate da quella picchiettatura risplendente. È l'ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra in acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell'acqua che dall'orizzonte s'allunga fino a lui. [...] la spada esiste solo perché lui è lì; se lui se ne andasse, se tutti i bagnanti e i natanti tornassero a riva, o solo voltassero le spalle al sole, dove finirebbe la spada?»


Palomar è, dunque, un osservatore attento: miope, si concentra sui dettagli chiaramente distinguibili da vicino. «È come un palombaro che s'immerge nella superficie». «Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, - conclude, - ci si può spingere a cercare quel che c'è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.»

Irriducibilità delle interpretazioni, quindi, ma anche progresso in negativo verso una non-verità: le porte che il signor Palomar apre sono porte che rimangono aperte, l'una dietro l'altra, senza una fine. 
Questa capacità dello sguardo è ciò che forma il protagonista non solo nella sua essenza, ma forse anche nel nome, riconducibile all'osservatore astronomico di Mount Palomar, negli Stati Uniti. Sono in molti a pensare che Palomar sia, in realtà, l'alter ego di Calvino. 


«Ma come si fa a guardare qualcosa lasciando da parte l'io? Di chi sono gli occhi che guardano? Di solito si pensa che l'io sia uno che sta affacciato ai propri occhi come al davanzale d'una finestra e guarda il mondo che si distende in tutta la sua vastità lì davanti a lui. Dunque: c'è una finestra che s'affaccia sul mondo. Di là c'è il mondo; e di qua? Sempre il mondo: cos'altro volete che ci sia? Con un piccolo sforzo di concentrazione Palomar riesce a spostare il mondo da lì davanti e a sistemarlo affacciato al davanzale. Allora, fuori dalla finestra, cosa rimane? Il mondo anche lì, che per l'occasione s'è sdoppiato in mondo che guarda e mondo che è guardato. E lui, detto anche «io», cioè il signor Palomar? Non è anche lui un pezzo di mondo che sta guardando un altro pezzo di mondo? Oppure, dato che c'è mondo di qua e mondo di là della finestra, forse l'io non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo. Per guardare se stesso il mondo ha bisogno degli occhi (e degli occhiali) del signor Palomar.»

Se la lettura procede spedita è grazie allo stile indistinguibile dello scrittore, uno stile chiaro (specie nei capitoli con riferimenti puntuali all'astronomia), ma avvincente. La raccolta sembra essere un'amalgama di tutte quelle doti che hanno reso Calvino un esempio per la letteratura successiva. Si tratta di eleganza, cultura, originalità, precisione, eclettismo mai arbitrario.
Ulteriori informazioni sul libro ci vengono fornite da Italo Calvino in persona, in una nota esplicativa: ogni cifra che numera i titoli dell'indice non è semplicemente utilizzata per una questione di ordine, ma corrisponde a una area tematica. Con le parole dello scrittore: 


«Le cifre 1, 2, 3, che numerano i titoli dell'indice, siano esse in prima, seconda o terza posizione, non hanno solo un valore ordinale ma corrispondono a tre aree tematiche, a tre tipi di esperienze e di interrogazione che, proporzionati in varia misura, sono presenti in ogni parte del libro.
Gli 1 corrispondono generalmente a un'esperienza visiva, che ha quasi sempre per oggetto forme della natura: il testo tende a configurarsi come una descrizione.
Nei 2 sono presenti elementi antropologici, culturali in senso lato, e l'esperienza coinvolge, oltre ai dati visivi, anche il linguaggio, i significati, i simboli. Il testo tende a svilupparsi in un racconto.
I 3 rendono conto di esperienze di tipo più speculativo, riguardanti il cosmo, il tempo, l'infinito, i rapporti tra l'io e il mondo, le dimensioni della mente. Dall'ambito della descrizione e del racconto si passa a quello della meditazione.
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