Un grande classico scritto nel 1929, romanzo d'esordio di Alberto Moravia. 1929: siamo in un periodo cruciale, drammatico della storia italiana. Da sette anni Mussolini è al potere: Matteotti è stato assassinato, le leggi fascistissime varate, il regime fascista è pienamente consolidato.
In questo contesto, Moravia guarda al mondo che lo circonda, cui appartiene: la classe borghese. In tutti i libri di storia, leggiamo che la classe borghese sostenne l'ascesa di Mussolini, che cavalcò l'onda di violenza portata avanti dalle camice nere, il terrore per una eventuale rivoluzione socialista, che in quel periodo sembrava davvero possibile, o almeno il fascismo giustificò la sua violenza reazionaria proprio sulla base di questa possibiltà (la marcia su Roma avviene nel 1922, dopo il celebre "Biennio rosso", un periodo di grandi lotte operaie e contadine compreso tra il 1919-1920). Mussolini sale al potere per conservare lo stato di cose, per rassicurare la classe borghese. Moravia ci descrive lo stato di cose, ci descrive la classe borghese. Vediamo un po'.
La famiglia Ardengo è composta da mamma Mariagrazia, e dai due figli, Michele e Carla. Un frequentatore assiduo della famiglia è Leo Merumeci, amante di Mariagrazia; c'è anche Lisa, amica della signora. Il quadretto che ne viene fuori è di una tristezza desolante.
Mariagrazia è una donna frivola, superificiale, irritante: non ha fascino, nè eleganza, nè intelligenza. Un'oca che starnazza del nulla, e che di questo nulla si nutre, vive: balli, feste, pranzi e cene, ora del tè, passeggiata, pettegolezzi, la sua giornata è scandita da queste attività. Non ha alcuna sensibilità, alcuna delicatezza: potrebbe nobilitarla il suo amore per Leo, ma non la nobilita affatto. Se si può parlare di amore, il suo è un amore stupido, insulso, privo di intensità, si caratterizza solo come un'infantile gelosia nei confronti del suo amante: nulla a che vedere con la tragica gelosia di Otello, ma semplice insicurezza di una donna mediocre, che non sentendosi più sessualmente attraente, esterna la sua isterica frustrazione nei confronti di Leo. La preoccupazione più grande è quella di non perdere i suoi averi, in particolare la sua casa, e pur di continuare a vivere nell'agio rinuncia alla sua dignità (presupponendo che ne abbia una); la ricchezza, per Mariagrazia è tutto: "non aveva mai voluto sentire parlare di poveri, e neppure conoscerli di nome, non aveva mai voluto ammettere l'esistenza dal lavoro faticoso e dalla vita squallida".
Carla e Michele sono due ragazzi che si sentono inchiodati ad una vita squallida, vuota: vivono un senso di ribellione, che però è relegato nel loro intimo. La loro condotta di vita è assolutamente ordinaria, in nulla si distingue da quella della loro madre: nelle loro riflessioni, si evince, però, che la loro è una ribellione di facciata, esattamente come lo è la loro condotta di vita. Pensano di ribellarsi (ovviamente non lo dicono), progettano la loro fuga da quel mondo che odiano, ma non fanno nulla perchè non ci credono davvero. Vivono nell'agio e nella sicurezza, indifferenti a tutto, non soltanto ai problemi esterni alle mura della loro casa, ma anche a quelli interni: il germe della corruzione ha attecchito, e non potrà far altro che crescere, e nella decadenza morale ed estetica, questi due ragazzi condurranno la loro vita. Carla diventerà l'amante di Leo, non perchè lo ami, ma soltanto per inerzia: non si oppone al moto di squallore, di freddezza, che la trascina nell'oblio, che trascina l'anima di una ragazza che ancora deve diventare consapevole di sè, nei tristi luccicchii di feste mondane. Anche Michele vive un senso di ribellione, ma accanto a questo sentimento, c'è già la consapevolezza di essere indifferente a tutto: dovrebbe arrabbiarsi perchè Leo si comporta da padrone di casa, in casa sua, perchè è un imbroglione, dovrebbe rifiutare Lisa, una donna che lui non ama e da cui non è attratto, dovrebbe indignarsi dello squallore che percepisce attorno a sè, ma non ci riesce. Freme e resta immobile. Non avendo il coraggio di reagire, vilmente si arrende alla sua vita di finzioni: sarà l'amante di Lisa e il leccapiedi di Leo. Finirà con il credere che la sua vita sia degna e autentica, o fingerà di crederlo: "Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede".
Leo Merumeci: opportunista, sleale, meschino. Grossolano, superficiale e ignorante. Senex libidinosus. Corteggia Carla in modo stomachevole, la brama con lussuria: in casa, ogni volta che sono soli, lui approfitta per saltarle addosso. Per il resto è mediocre come tutti gli altri personaggi: il sotterfugio, l'ambiguità, la torbidità costituiscono le sfumature della sua anima.
Il boudoir di Lisa rispecchia la sua personalità: consumato dal tempo e dall'usura, dal via vai di uomini. Sembra amare davvero Michele, ma è un amore anacronistico: come può una donna matura e di esperienza, sognare un amore adolescenziale? Il contrasto tra la sua condotta di vita e suoi vaneggiamenti amorosi la rendono una donna grottesca: sembra essere invecchiata e ingrassata, senza essere mai cresciuta.
In tutti questi personaggi non c'è redenzione, non c'è speranza: alcuni non si rendono conto della tristezza della loro esistenza, altri, pur rendendosene conto, "scelgono" di sprofondarvi. Scelgono tra virgolette perchè non c'è il coraggio, non c'è la forza di una scelta, ma un semplice lasciarsi andare: questa è la borghesia che Alberto Moravia vede e che ci descrive. Una borghesia che nel fascismo e nella guerra, ha visto una possibilità di lucro, o di gloria, o di evasione dalla noia.
"...porcherie, piccole bassezze, piccole falsità, chi non ne depone in tutti gli angoli dell'esistenza come in quelli di una grande casa vuota?"
Questa è, secondo me, la "morale della favola": questa è la morale dei personaggi di Moravia, la morale del compromesso, fatta di mediocrità e soprattutto, di indifferenza.Nel romanzo si respira l'indifferenza, la si tocca, si tocca la noia e il vuoto: attraverso la descrizione non solo dei personaggi, ma anche dei luoghi, Moravia ci fa vedere, attraverso i suoi occhi, la decadenza del tempo, senza nessun moralismo, ma con fredda e drammatica lucidità.
L'ho rivalutato solo in università scoprendo che in questa storia c'è tanto della mentalità borghese e bigotta che avvelena la nostra società.
RispondiEliminaUn'ottima recensione,
un baciotto
Grazie mille! Spesso a scuola ci fanno studiare molto superficialmente questi grandi classici, senza farci capire quale sia il messaggio e il senso di queste opere. Leggendoli poi da soli, quando si è più grandi, si capiscono molte cose...
EliminaUn bacione!
Un bellissimo spaccato del nostro secolo, Moravia ha dipinto personaggi che sono ancora attuali e purtroppo significa che la nostra società non ha fatto nemmeno un passo vanti.
RispondiEliminaUn abbraccio zamposo