«L'urto
tra le loro somiglianze, si spande l'odore della tamerice e della
sabbia, di gusci marci e di alghe morte, il loro amore come
inchiostro di seppia, un banchetto di veleni.»
«Vedo
il simbolico della nostra vita. Io vivo su due livelli, uno umano e
uno poetico. Colgo le parabole, le allegorie».
Così Anaïs Nin disse a
Henry Miller, dopo avergli mostrato le prime pagine, surrealiste, de
La casa dell'incesto.
Il
racconto (ma è poi giusto chiamarlo racconto?
Non è piuttosto un'esplosione di poesia?), infatti, è sbocciato in
una dimensione onirica e simbolica, fantasmagorica, piena di incanto.
Certo,
il surrealismo sfrenato di questa breve opera a metà tra la prosa e
la poesia disorienta un po'. Solo alla fine, dopo essere passati
attraverso le enigmatiche figure di Sabina, Jeanne e del Cristo
moderno, si afferra meglio il messaggio dell'autrice. E il
significato del titolo.
Perché
la casa dell'incesto?
Nelle ultime pagine, che descrivono l'interno di questa casa a metà
fra un ricordo e un'allucinazione, Anaïs
Nin inserisce un vivido ritratto di Lot e sua figlia, protagonisti
dell'incesto più famoso e spudorato della Bibbia. Ma non è questo
incesto reale a dare il titolo al racconto: è l'incesto metaforico
di Narciso. Di chi si innamora non del proprio fratello, ma del
proprio sé stesso che riconosce nella loro somiglianza. E' un amore
finto, autocontemplativo, autoreferenziale: è una casa che marcisce
nel chiuso, che collassa su sé stessa.
Questo
racconto, che l'autrice definì «la mia stagione all'inferno», è
la descrizione di questa megalomania, di questa eccentricità che
sconfina nella follia, nell'angoscia e nella paura. Paura della
morte, della solitudine ma anche del riscoprirsi non più sola (ma
rispecchiata e ripetuta in quel fratello tanto somigliante).
Si
legge La casa
dell'incesto
d'un fiato: il vortice variopinto e pulsante delle parole cattura e
non lascia andare prima di aver raggiunto l'ultima pagina. Lo stile
non è solo ricercato e raffinato, ma sontuoso, esotico, incantevole.
Quadri
vividi vengono abilmente dipinti e abbandonati: foreste di alberi
decapitati, donne incise nel bamboo, enormi uova di marmo bianco
poggiate su dischi d'argento. Sentieri di ghiaia vengono descritti
attraverso il connubio dei minerali, le stanze della casa
dell'incesto sono fluttuanti e infinite, piene di gemme preziose e
tappeti scarlatti. I cieli sono di zaffiro e i mari di corallo, il
canto di una donna squarcia le vele delle navi e perfino le nuvole.
Le donne vestono lunghi abiti che frusciano contro le loro caviglie e
bracciali d'acciaio cingono i loro polsi, scandendo il battito dei
loro cuori.
Le
atmosfere e le suggestioni sono mediorientali, da Mille e una notte,
nonostante si nomini New York e una delle protagoniste abbia un nome
francese.
Enigmatico
e poetico, intenso e vivido, ricchissimo: La
casa dell'incesto
è un incanto da non perdere.
«Quando
mio fratello sedeva al sole e l'ombra del suo viso si disegnava sullo
schienale della sedia, io baciavo quell'ombra. Baciavo la sua ombra e
quel bacio non lo toccava, quel bacio si perdeva nell'aria e si
confondeva con l'ombra. Il nostro reciproco amore è come il bacio di
una lunga ombra, senza alcuna speranza di realtà.»
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