Su di noi

sabato 25 maggio 2019

"Notarangelo ladro di anime", regia di David Grieco

Partecipare al Bif&st per noi è una consuetudine dai tempi (ormai lontani) dell'università. Ognuna di noi, nel proprio personalissimo universo, ricorda la propria edizione del cuore: l'abbraccio tra Vittorio Storaro e Bernardo Bertolucci, la commozione quando al cinema si è potuto guardare qualcosa di Werner Herzog, l'incontro con Ettore Scola e il dispiacere all'annuncio della sua morte, la masterclass in cui Pierfrancesco Favino ha paragonato l'attore a una maniglia: la porta che apre quella maniglia è il dialogo tra l'autore del testo e il pubblico, che a sua volta è libero di sentire liberamente ciò che da quella porta viene fuori. Questi e altri momenti hanno indubbiamente segnato la nostra vita intellettuale e, di conseguenza, il nostro affetto verso questo festival che ha già raggiunto la sua decima edizione.
Quest'anno protagonista indiscusso è stato Ennio Morricone, che certamente non ha bisogno di presentazioni. Assieme a lui, ad accompagnarci in questo percorso lungo il filo rosso del cinema, altri personaggi: Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea e, dulcis in fundo, Domenico Notarangelo
Domenico detto Mimì Notarangelo
Una presenza silenziosa, la sua: scomparso nell'inverno del 2016, ci ha lasciato un patrimonio videofotografico di inestimabile valore storico. Egli, che è conosciuto soprattutto per le fotografie di Pierpaolo Pasolini sul set di "Il vangelo secondo Matteo", ci ha tramandato un archivio tra i più completi di documenti su tradizioni popolari e religiose della Matera degli anni 50-60, unendo l'impegno politico (fu attivista del Partito Comunista Italiano) alla passione per la fotografia, intesa come connubio indissolubile tra arte e storia. Le fotografie, mezzo storico per tramandare il passato, esprimono una attenzione per la composizione, una empatia per il soggetto che senza alcuna esitazione fanno accostare Domenico (detto Mimì) ad una tradizione fotografica che conta nomi come Henri Cartier-Bresson e Sebastião Salgado. 
È questa l'ottica con cui Notarangelo viene presentato nel documentario "Notarangelo ladro di anime", andato in onda in anteprima mondiale a Bari durante lo scorso Bif&st. Il film, con la regia di David Grieco e le musiche dei Soballera, prodotto e distribuito da Istituto Luce, Cinecittà, Jumping Flea e il Centro Sperimentale di Cinematografia, gioca su più voci: quella di Notarangelo stesso, quella degli abitanti di Matera che lo hanno conosciuto direttamente e quella del nipote di Notarangelo, che legge la storia del nonno dapprima come se fosse estraneo ai fatti e poi presentandosi come erede di quella tradizione tramandata il cui riserbo Notarangelo ha avuto a cuore per tutta la vita. 
Domenico Notarangelo ad un comizio del PCI, 1972
Dalle fotografie di Mimì emerge la descrizione empatica non di una tradizione, ma della gente che di quella tradizione si serviva e nutriva. Sono fotografie che hanno uno scopo antropologico e che, nella sua evoluzione, accompagnano lo sviluppo storico come diapositive di una civiltà ormai scomparsa. Si tratta della civiltà rurale di Matera, una civiltà che trovava nella solidarietà, nel duro lavoro, nel sostegno reciproco i valori in cui specchiarsi. È una civiltà che mostra visivamente, con i segni della stanchezza, che esistono due tipi di povertà: una povertà materiale, da cui ci si può rialzare o con cui si può convivere, e una povertà morale, che il denaro non potrà mai acquistare e che si risolve in una serie di precetti ineffabili ma pienamente dimostrabili nell'atto pratico. 
In questo post vogliamo condividere con voi qualcuna delle fotografie più significative di Mimì, lasciandovi anche all'ascolto di un brano dei Soballera da cui chi è meridionale, come me, sentirà chiaro il richiamo della propria terra. Casse accese e volume altissimo.






















Altre fotografie qui: Muvmatera

venerdì 17 maggio 2019

"Verso un forse" di Stefano Di Ubaldo

Mi perdoni Stefano Di Ubaldo se mi appresto solo ora, dopo mesi di silenzio, alla lettura della sua fresca ma amara raccolta di poesie edita da una piccola casa editrice di Palermo. Il mio ritorno in questo spazio di condivisione è sancito, non a caso, dalla presentazione di un giovanissimo poeta: lecchese classe 93 (e dotato di una incredibile pazienza, visto il mio ritardo nel recensire la sua opera), Stefano Di Ubaldo ci invita a sederci alla tavola della poesia in maniera del tutto democratica, aprendoci le porte della propria intimità, alla stregua di un pittore che dipinge una tela per esporla al pubblico. Tutti sono i benvenuti a queste confessioni! Così Posti riservati, la poesia che apre la raccolta, ci invita uno per volta. È il poeta a chiamarci. Forse perché la sua poesia è, in sé e per sé, concepita come poesia-per-gli-altri, una poesia che ha bisogno dell'altro, dell'incontro, del confronto. Se il poeta apre le braccia al pubblico invitandolo con un elegante "vi racconto di me", il pubblico ascolta ed è al contempo il metro tramite il quale Stefano deve misurarsi.

Vorrei spogliare
il manichino che sono
dalle ambizioni che non ho
e che occorre esibisca in vetrina
come sperassi le avessero tutti.
(da Nessuna ambizione, pag. 23)

L'altro è colui il quale può far specchiare l'autore, in un gioco di rimandi: lì egli può conoscersi, nella misura in cui scrivendo si racconta e raccontandosi si specchia empaticamente nella lettura dell'estraneo. È così che si possono varcare terre desolate, percorsi impervi, tortuose scalinate verso la scoperta dei propri limiti e delle proprie velleità.


Non trova risposta chi parla a se stesso
e ottuse domande acuiscon l'eccesso; 
rinnova il rancore per tanto silenzio
e porta tristezza spalanca l'assenzio. 

Senza più l'Altro rimane lo specchio, 
con meno ritorni si viaggia parecchio;
non sono pensieri che oscurano il volto,
ma il loro vagare perenne e irrisolto. 
(da Soliloquio, pag. 25)

Chi sono io? Cosa posso rivendicare? Qual è la mia collocazione? E al contempo chi siete voi? Potete sentirmi? Sono queste le domande che Stefano sottintende e porta con sé, come uno stendardo. L'unica grande pretesa di questi quesiti è la verità, che è vera già nel momento in cui ci si impegna a cercarla. 

Mi affido alla carta 
e la lascio parlare,
come un'altra Babele
tra milioni di voci
che piovono stanche
dalle torri d'avorio,
dopo aver rigirato,
frottole impazzite,
nella vuota schiera
di una verità per finta:
parole incomprensibili
da rileggere al silenzio
della prossima pagina.
(Babele su carta, pag. 35)

La poesia è un tumulto di sinestesie che prendono forma di parole sulla carta e che, in questa evoluzione, diventano incomprensibili: possono coglierle veramente solo i puri di cuore, i sensibili.
La poesia, che è poesia-per-gli-altri, si mostra allora selettiva nella misura in cui già in se stessa si trova la codifica che la protegge. Non si tratta, però, di mera selezione (Ricordate? Tutti sono invitati a questo banchetto!), ma di semplice e giusta premura nel salvaguardare il proprio io: è come se il poeta dicesse "Mi racconto solo a chi può capire". Egli cerca se stesso, è vero. Ma non può sopportare che l'altro si appropri di sé, scacciando il compromesso empatico.

Mi volto,
mi guardo, 
presto attenzione
a ciò che è importante:
l'immagine ambigua
che lo specchio alle spalle
riflette in quell'altro,
che sfido a duello.
Sparo alla cieca
un colpo impazzito
verso lo specchio,
verso me stesso,
moltiplicato
davanti per dietro,
rifratto in un loop
che converge nel mezzo.

È questione di rispetto:
non sopporto
chi mi osserva
di nascosto.
(Ri-spettro, pag. 29)


Ed è così che ogni poesia diventa una piccola narrazione, immagini che il lettore elabora e che passano, inerpicandosi, per l'anima del poeta. Il luogo della poesia è il luogo in cui rifugiarsi quando si cercano le risposte. Eppure il poeta non ne trova! Quasi sul finire, infatti, in una poesia recita: "Il mio posto/è verso un forse". E, in un'altra poesia, "Da una parte all'altra/del mio essere uno,/sono sempre imperfetto [...]". La ricerca dell'artista non si ferma, anche dopo il completamento di un'opera. Perché l'arte è curiosità, domanda, richiesta. Questo desiderio di ricerca continua che ci accomuna all'autore non può che farci sperare di sentire ancora la voce di questo giovanissimo poeta, che si fa spazio a spalle larghe in un campo certamente non facile da percorrere, mostrando una delicata sensibilità e una ambiziosa tenacia.